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È il titolo della tesi di laurea presentata presso l’Università di Napoli “Parthenope ” premiata con il massimo dei voti.
La Tesi di Laurea è disponibile in formato zip nella lingua Italiana nell’area download

Facoltà di Economia

Correlatore

Ch.mo Prof.
Gennaro Ferrara

Relatore

Ch.mo Prof.
Giuseppe Vito

Laureando

Giuseppe Agus

IL MAGAZZINO VIRTUALE DI UNITEC: APPLICAZIONE AD UN DISTRETTO SANITARIO

Sommario

Prefazione

Il seguente lavoro è frutto di una stretta collaborazione con la Unitec.
L’oggetto della tesi è lo studio del Magazzino Virtuale il cui termine è stato coniato dal dottor Vincenzo Marino e recentemente riconosciuto nel Dizionario dell’Economia Digitale edito dal Sole24ore.
Oltre alla stesura della tesi universitaria, si è voluto realizzare un lavoro da cui i manager sanitari possano attingere notizie e spunti per poter comprendere le nuove potenzialità loro offerte dall’applicazione delle moderne tecnologie alla gestione aziendale ed in tal caso alla gestione di un distretto sanitario.

Introduzione

“L’economia, almeno in termini fisici, si sta contraendo. Se l’era industriale si caratterizzava per l’accumulazione di capitale fisico e di proprietà, la nuova era privilegia forme intangibili di potere, raccolte in pacchetti di informazione e di capitale intellettuale. I beni materiali, ormai è un fatto assodato, si stanno materialmente smaterializzando”.

Jeremy Rifkin

La complessa fase economica che si sta attraversando è caratterizzata da una frenetica corsa all’innovazione dettata essenzialmente dal continuo progresso tecnologico.
Nel mercato odierno, in cui il cambiamento costante è la regola e non l’eccezione, si ha appena il tempo di “provare” un nuovo prodotto o un nuovo servizio prima che una versione migliorata venga messa sul mercato. In un contesto così convulso rendersi conto dei cambiamenti in atto, per poi adottare le soluzioni più appropriate, riveste per le imprese un’importanza primaria.
Ci troviamo in una fase di transizione in cui si assiste al passaggio dal materiale all’immateriale, dal fisico al virtuale, nella quale il termine stesso di “possesso” perde man mano di importanza mentre si va affermando il concetto di “accesso”.
A passo con i tempi e cercando di sfruttare a vantaggio dei propri clienti le nuove possibilità che si vanno delineando, la Unitec ha ideato il Magazzino Virtuale, una soluzione rivolta alle imprese appartenenti ad un qualsiasi tipo di distretto.
Il Magazzino Virtuale offre a tali imprese la possibilità di passare da una gestione di tipo tradizionale, a cui si associa l’esistenza di notevoli sprechi e ridondanze, ad una che prevede una cooperazione e condivisione di risorse sulla base di servizi logistici erogati dal provider (Unitec).
Il lavoro che segue ha lo scopo di illustrare come il Magazzino Virtuale possa rappresentare la base per attuare una ottimizzazione dei processi aziendali e consenta alle imprese partecipanti di ottenere una maggiore disponibilità di beni a costi minori.

1.0. IL MAGAZZINO

IL MAGAZZINO

Da sempre il magazzino è giustamente considerato uno dei punti vitali dell’impresa a cui il management dedica particolare attenzione vista la funzione essenziale che espleta all’interno dell’azienda ed in tutto il processo produttivo.
Nel linguaggio corrente il termine “magazzino” si riferisce ad un locale adibito al deposito ed alla conservazione delle merci.
Da un punto di vista economico-aziendale questa definizione risulta decisamente riduttiva poiché con lo stesso termine si fa riferimento ad una “struttura logistica in grado di ricevere merci, custodirle, conservarle, e renderle disponibili per lo smaltimento e la consegna”. Il ruolo assolto dal magazzino va quindi ben oltre a quello di mero deposito delle merci.
Esso funge da raccordo tra gli acquisti dell’impresa e i processi di trasformazione, e tra i processi di trasformazione e quelli di vendita, garantendo così la continuità del processo produttivo e la tempestività nel soddisfacimento dei bisogni della clientela.
Inoltre consente di separare due segmenti del processo distributivo (acquisto materie e vendita prodotti) dotati di differenti dinamiche al fine di ottenere una riduzione dei costi, garantire le capacità di stoccaggio ed assicurare il flusso delle merci.
Il magazzino garantisce quindi sia la continuità del processo produttivo, svincolandolo dalla tempistica degli approvvigionamenti e da eventuali impedimenti nel ricevimento della fornitura, sia la separazione dei processi su cui si struttura l’attività aziendale.
A tal proposito possiamo distinguere tre fasi tra loro collegate ma autonome e gestibili con specifiche dinamiche, cioè: approvvigionamento, trasformazione economico/tecnica e commercializzazione.

grafico1

Figura n. 1.1- Processo produttivo.

Grazie all’utilizzo di un magazzino si può provvedere agli approvvigionamenti secondo i ritmi giudicati più opportuni e nei tempi in cui i prezzi si ritengono più convenienti, indipendentemente dalle fluttuazioni delle vendite.
Ciò offre all’impresa la possibilità di svincolare gli acquisti dei fattori della produzione dalla necessità di un utilizzo immediato. Si pensi alla possibilità di acquistare un quantitativo elevato di materie prime, anche se le necessità del processo produttivo siano ben inferiori, usufruendo in un dato momento di particolari sconti o prezzi sul mercato, e depositare l’eccedenza in magazzino.
O che in presenza di un’elevata domanda di mercato, l’impresa decida di non sfruttare al massimo gli impianti produttivi (evitando così il lavoro straordinario dei dipendenti) e di soddisfare la maggiore richiesta rispetto alla propria produzione utilizzando parte della produzione precedentemente accumulata nei magazzini.
La necessità di mantenere determinati quantitativi di beni in magazzino è una caratteristica che accomuna, anche se in misura diversa, tutte le imprese: siano esse mercantili, industriali produttrici di beni (imprese industriali) o industriali produttrici di servizi (imprese di servizi).
A seconda della tipologia di impresa analizzata il magazzino assume particolari aspetti:
Il magazzino delle imprese industriali
In queste imprese a seconda delle diverse fasi di lavorazione dei beni, distinguiamo:

  1. Il magazzino delle materie prime, sussidiarie, semilavorati e componenti destinate ad essere impiegati nei processi di trasformazione.
  2. Il magazzino dei prodotti finiti che si originano nel processo produttivo, in particolare dei semilavorati e dei prodotti in corso di lavorazione nonché di sottoprodotti.

grafico2

Figura n.1.2 – Processo produttivo di un’impresa industriale.

Tale tipo di impresa generalmente è dotata di una struttura produttiva rigida, quindi non può essere modificata continuamente nel breve periodo per rispondere alla variabilità del mercato.
Non potendo adattarsi prontamente a “disturbi” provenienti dal mercato quali ad esempio l’inflazione, o la carenza di un determinato bene, si può sopperire mediante le merci conservate in magazzino.
Anche il magazzino “prodotti finiti” svolge un ruolo fondamentale perché consente di mantenere regolari e costanti i processi produttivi, ad esempio in periodi di calo della domanda sul mercato il magazzino costituisce un deposito di prodotti.
In altre parole il ruolo svolto dal magazzino dei prodotti finiti è quello di tenere separati i ritmi di produzione dalle oscillazioni della domanda del mercato finale.
Il magazzino delle imprese mercantili
Un’impostazione ben diversa da quella industriale è richiesta per un’ impresa mercantile.
Le imprese mercantili, infatti, non effettuano una trasformazione tecnica e materiale delle merci bensì una trasformazione economica nel tempo e nello spazio, limitandosi al più a modificare l’aspetto esteriore del bene per la presentazione al pubblico.
Nelle imprese mercantili il magazzino è composto principalmente dalle merci e dal materiale di consumo utile all’attività di distribuzione.

grafico3

Figura n. 1.3 – Processo produttivo di un’impresa commerciale.

Esso dà la possibilità di:

  • Garantire continuità nell’evasione delle richieste di clienti
  • Gestire gli acquisti nei momenti più convenienti
  • Gestire campagne promozionali utili ad attirare la clientela e a diffondere il nome dell’impresa.

Il magazzino delle imprese di servizi
Per tali imprese vi è l’impossibilità di immagazzinare in quanto i servizi devono essere utilizzati nel momento stesso in cui sono prodotti.
Al massimo l’impresa potrebbe aver bisogno di un magazzino per il materiale utile a svolgere il proprio servizio.

1.2 LA GESTIONE DEL MAGAZZINO

Nella gestione del magazzino il confine tra potenzialità da sfruttare e problemi da risolvere è molto sottile. Basta un niente per far diventare quello che magari in precedenza era un punto di forza, un elemento portante di tutta la struttura organizzativa, produttiva e gestionale dell’impresa, in un “settore” generante problemi di ordine economico, finanziario ed organizzativo.
Dietro un efficiente magazzino vi è un efficiente gestione ed organizzazione. Se questi dovessero venire a mancare, o presentare lacune, l’inefficienza si estenderebbe inevitabilmente a tutta l’attività aziendale.
La gestione del magazzino consiste nel razionalizzare le risorse interne aziendali al fine di implementarne l’efficienza, sinonimo di competitività nei mercati concorrenziali.
La gestione aziendale, ed in particolare quella del magazzino, una volta era considerata come un elemento puramente interno all’impresa.
Attualmente, invece, le moderne tecniche gestionali, sempre più orientate alla ricerca della flessibilità, tendono a intrecciare rapporti talmente profondi con altri attori (fornitori, clienti, altre imprese..), da rendere impossibile una distinzione interno-esterno.
Fino a qualche anno fa per ottenere efficienza era necessario incentrare la produzione sulla ricerca della qualità del prodotto.
Nel tempo però la domanda dei consumatori diviene sempre più esigente, non si accontentano più del prodotto in se per se ed alla qualità del prodotto, ora si richiede la qualità totale del prodotto.
Questo ha influito in maniera consistente sul concetto di “produrre” che a sua volta ha influenzato la gestione del magazzino.
Poiché l’efficienza non si trova più incentrando le forze sulla ricerca di una produzione di qualità del bene, ma sullo snellimento ed ottimizzazione della gestione e delle sue procedure è obbligo rivedere ed ottimizzare il magazzino.
La gestione del magazzino porta a notevoli costi fisici, e a dei ritorni non quantificabili (aumento dell’efficienza).
E’ per tal motivo che in passato vi è stato dedicato poco interesse.
Al giorno d’oggi vi è invece attribuita maggiore importanza, la quale è dettata da esigenze competitive.
Infatti la competizione sempre più spietata giocata sui mercati concorrenziali non risparmia chi presenti degli standard di efficienza inferiori agli altri. Ad esempio, nell’era di internet è quasi del tutto impensabile una gestione priva di supporto informatico.
Gli sviluppi tecnologici hanno apportato dei vantaggi notevoli, facendo la fortuna di chi li ha saputi cogliere, decretando il fallimento di chi non ne ha compreso le potenzialità.
Svolta sempre più spesso con tecniche particolari, facendo ampio uso del supporto informatico, anche in rete con i fornitori, la gestione del magazzino deve essere considerata prioritaria: comporta costi elevati ma se attuata in modo adeguato consente risparmi e incrementi di efficienza.
Questa deve essere attuata, però, in modo da non appesantire la struttura patrimoniale dell’impresa e senza gravare eccessivamente sul suo equilibrio finanziario.
Infatti l’azienda necessita di un’organizzazione interna razionale e veloce, affiancata da fattori quali:

  1. assicurare continuità e tempestività di svolgimento ai processi tecnici di produzione
  2. assicurare una continua e tempestiva alimentazione dei processi di vendita
  3. ridurre al minimo i costi connessi al mantenimento delle scorte
  4. attitudine dell’ impresa nell’ approvvigionamento delle materie prime e delle merci
  5. organizzazione logistica e commerciale per l’efficiente distribuzione del prodotto finito sul mercato
  6. predisposizione all’evoluzione.

1.3 I COSTI DI GESTIONE

Un magazzino ha costi direttamente inerenti alla sua struttura quali: costi del personale, costi relativi alle attrezzature, costi relativi ai locali ed agli spazi di ricevimento delle merci e di smistamento e spedizione delle stesse.
Costi non trascurabili sono poi quelli relativi alla conservazione in magazzino delle merci, degli imballaggi e degli altri materiali di consumo.
Detenere scorte porta una serie di vantaggi all’impresa, e la mette al riparo dagli inconvenienti precedentemente illustrati, però è da tener presente che le scorte comportano costi.
I costi sono rappresentati in particolare da 2 componenti:

  • il primo è relativo all’acquisto delle merci, che rappresenta un investimento per una durata di tempo che va dal momento del pagamento dell’acquisto delle materie prime, al momento in cui avviene l’incasso della vendita dei prodotti finiti ottenuti dalle medesime materie;
  • la seconda dai costi relativi al mantenimento (costi di magazzino). Questi ultimi vincolano enormi capitali sottraendoli agli investimenti produttivi. Si stima che oltre il 30 % annuo del capitale aziendale sia vincolato in magazzino, ovvero un magazzino da 5 milioni di euro costa solo di capitale 1,5 milioni/anno, escluso i costi di gestione.

1.4.0. LA GESTIONE FINANZIARIA DELLE SCORTE

L’obiettivo principale della gestione finanziaria delle scorte di magazzino e quello di rendere minimi i costi riguardanti l’acquisizione e l’utilizzo delle scorte medesime.
In rapporto alla loro origine esistono vari tipi di scorte: le scorte tecniche o funzionali e le scorte speculative.
Le prime sono quelle collegate alla risoluzione del problema di sincronizzare i vari processi aziendali. Le seconde sono quelle che derivano da opportunità che l’impresa ha colto nei mercati di acquisto.
Al fine di rendere ottimale il rapporto tra costi e livello di servizio (soddisfazione della domanda) il management è tenuto a perseguire 3 importanti obiettivi: un obiettivo produttivo, cioè garantire la continuità e la regolarità nel flusso dei materiali; un obiettivo finanziario, cioè mantenere bassi i volumi e i tempi di giacenza (immobilizzi) delle scorte; un obiettivo economico, cioè impegnare al minimo gli spazi e le risorse addette alla movimentazione.
Esistono almeno due alternative di gestione che soddisfano in misura diversa tali obiettivi: la c.d. gestione a scorta, nella quale i livelli di scorta¹ sono determinati in base ai consumi storici; la c.d. gestione a fabbisogno², nella quale i livelli di scorta sono determinati in base alle previsioni d’ordine.
I parametri caratteristici della cosiddetta gestione a scorta sono sostanzialmente: il lotto economico d’acquisto (LEA), quello di produzione (LEP), i livelli della scorta di sicurezza (SS) e il punto di riordino (PRM), oltre naturalmente ai vincoli di capacità del magazzino.

1.4.1. IL LOTTO ECONOMICO D’ACQUISTO

L’approccio maggiormente diffuso a livello aziendale inerente all’individuazione della quantità da acquistare è rappresentato dal “lotto economico d’acquisto”, anche detto lotto ottimale di approvvigionamento.
Il lotto economico d’acquisto è la quantità di merci o di materiali che ogni volta è opportuno ordinare per rendere minima la combinazione dei costi totali che l’impresa deve sostenere per il loro approvvigionamento (costi di ordinazione) e di quelli che si ricollegano alla conservazione delle scorte di magazzino (costi di stoccaggio). Analizzando queste due componenti si può comprendere come dal “semplice” obiettivo di minimizzare i costi si venga a determinare il “lotto economico d’acquisto”.
I costi di ordinazione (o costi di gestione degli ordini) sono tendenzialmente costi fissi poiché non dipendono dall’entità del singolo ordine. I costi relativi all’emissione dell’ordine e quelli per il successivo controllo della fattura non cambiano sia che si acquisti una sola unità di una data merce o che se ne acquisti 1000 unità.
I costi di stoccaggio, anche detti costi di mantenimento delle scorte, sono dei costi variabili, cioè direttamente correlati ai volumi delle scorte. E’ da tener conto che maggiori sono i tempi di permanenza delle merci in magazzino, maggiori sono i costi connessi agli interessi sul capitale investito, al rischio di eventuali avarie, deperimenti, obsolescenze,…Di seguito si riporta una tabella nella quale si riassumono i diversi costi di ordinazione e di stoccaggio.

grafico4

Tabella 1.1 – Riepilogo costi di gestione e di stoccaggio

1.4.2 COSTI DI ORDINAZIONE

I costi di ordinazione sono costituiti da:

  • costi amministrativi di ordinazione;
  • costi di ricevimento e di controllo qualità;
  • costi di trasporto.

I costi di ordinazione e trasporto sono proporzionali al numero di ordini e di trasporti.
Nell’analisi del nostro studio non consideriamo, almeno inizialmente, in questa categoria: i costi di trasporto proporzionali ai volumi, né le provvigioni di acquisto proporzionali ai volumi di acquisto. La formula dei costi di ordinazione può essere così espressa:

grafico5

(costo fisso per ogni ordinazione · numero degli ordini)

Nella quale indichiamo con:

  • C0 = costo fisso di ogni ordinazione di merce o del materiale considerato
  • F = fabbisogno annuo della merce o del materiale considerato
  • Qx = lotto economico o quantità ottimale da acquistare ogni volta

grafico6

Figura n.1.4 – Andamento dei costi di ordinazione

Come si può notare la curva dei costi di ordinazione ha un andamento decrescente.
In quanto tali costi sono rappresentati per lo più da costi fissi (indipendenti dalla quantità ordinata); quindi il loro totale annuo diminuisce al diminuire del numero degli ordini.
In definitiva, maggiore è Qx, minore sarà y1.

Nota 1: basata sul Look Back (guardare indietro)
Nota 2: basata sul Look Ahead (guardare avanti)

1.4.3. COSTI DI STOCCAGGIO

TI costi di stoccaggio sono costituiti da: – oneri finanziari ( oppure costi opportunità) sul capitale investito nelle scorte; – costi di obsolescenza e di deterioramento fisico; – costi di magazzinaggio e manipolazione; – oneri assicurativi. Nei costi di mantenimento consideriamo soltanto quelli proporzionali a Q, non quindi le spese generali di magazzino (illuminazione, movimentazione, amministrazione, ecc.). La formula dei costi di stoccaggio può essere così espressa:

grafico7

(costo unitario di stoccaggio o valore della scorta media)

Nella quale indichiamo con:

  • m = costo annuo unitario di stoccaggio (costo per ogni euro di merce o di materiale giacente in magazzino;
  • P = prezzo unitario di acquisto riferito ad ogni unità fisica di merce o di materiale (prezzo che si ipotizza non vari al mutare dell’entità dell’ordinazione);
  • grafico8= scorta media

Nel grafico seguente è rappresentata la curva del costo annuo di stoccaggio.

grafico9

Figura n.1.5 – Andamento dei costi di stoccaggio

Questa ha un andamento crescente poiché è formata essenzialmente da costi variabili: il loro ammontare totale cresce all’aumentare delle scorte. Quindi all’aumentare di un bisogno, aumentano le quantità che vengono ordinate (cresce la scorta media).
La funzione

grafico10

derivante dalla somma delle due funzioni sopraindicate ha il suo minimo in corrispondenza del punto in cui si incontrano le rispettive curve. Pertanto l’ascissa di tale punto si troverà in corrispondenza del valore Qx.
Punto nel quale si verifica che y1 = y2.
Con semplici passaggi matematici (moltiplicando entrambe i membri per 2Qx e posto il vincolo Qx > 0) si ha:

grafico11

Risulta quindi essere che:

grafico12

grafico13

Figura n.1.6 – Lotto economico d’acquisto

Si può notare che il lotto economico cresce al crescere dei costi di ordinazione e del fabbisogno di approvvigionamento.
Si riduce, invece, all’aumentare del costo del capitale.
Inoltre al raddoppiarsi del fabbisogno di approvvigionamento (F) il lotto economico cresce per un coefficiente pari a grafico15

TLo stesso coefficiente esprime la crescita della scorta media (Fehler!) e quindi dei costi di mantenimento, a dimostrazione dell’esistenza di economie di scala nei costi di gestione delle scorte.
Si riscontrano però alcuni limiti all’applicazione della formula del lotto economico la quale consente di ottimizzare i costi di gestione delle scorte dati i parametri relativi al prezzo, ai costi di ordinazione, al costo del capitale, al fabbisogno di approvvigionamento, nel presupposto che questi parametri rimangano costanti al variare del lotto di acquisto.
In realtà, il valore di questi parametri può modificarsi in funzione della quantità acquistata; è il caso del prezzo di acquisto, che può essere scontato in caso di lotti rilevanti; o dei costi di trasporto (compresi nei costi di ordinazione), che possono crescere se il lotto di acquisto supera una certa soglia.
In tal caso, il modello del lotto economico non è sufficiente, da solo, a dare soluzione al dilemma dell’approvvigionamento. Sovente, a causa della dimensione elevata del lotto di acquisto o di una ridotta capacità di consegna del fornitore, il rifornimento ai magazzini non è immediato ma progressivo.
In tal caso, il modello del lotto economico va ‘aggiustato’ perché la scorta media non sarà più pari a Fehler! , ma a:
Scorta Media = Fehler!o Fehler!
dove r è il tasso di rifornimento (per unità di tempo) e p è il tasso di prelievo dal magazzino (per unità di tempo).
Il lotto economico diventa allora:

grafico14

Si tratta di un valore superiore a quello in caso di rifornimento immediato. Infatti, in caso di rifornimento progressivo(vedi fig. successiva), una parte dei costi di mantenimento va a gravare sul fornitore (proporzionalmente al tempo di rifornimento), con evidente beneficio per l’acquirente.

grafico16

Figura n.1.7 – Rifornimento progressivo dei magazzini

In relazione alla formula del lotto economico d’acquisto :
a parità di fabbisogno (F), di costi unitari di ordinazione e di mantenimento, ipotizzando di adottare il modello del lotto economico di rifornimento, è più conveniente per un’impresa ricorrere al rifornimento graduale piuttosto che a quello immediato. Ciò vale sia per i costi di mantenimento che per i costi di ordinazione. Il rifornimento graduale è allora più conveniente per l’acquirente.
A ben vedere, infatti, il rifornimento graduale conduce l’impresa verso il JIT.

grafico17

Figura n.1.8 – La gestione delle scorte in ambiente JIT

La situazione limite è quella in cui il tasso di rifornimento (r) è di poco superiore o addirittura uguale al tasso di prelievo (p). In tal caso, i materiali che affluiscono al magazzino vengono immediatamente prelevati per essere impiegati nella produzione. Le scorte tendono quindi al valore ‘zero’. Esistono allora due modalità per raggiungere il JIT e le scorte zero:

  • ridurre a 1 unità (o comunque a livelli molto bassi) il lotto di acquisto, attraverso la riduzione dei costi di ordinazione;
  • realizzare, qualsiasi sia il lotto d’acquisto, un rifornimento graduale sincronizzato con i prelievi (r = p).

grafico18

Figura n. 1.9 – Rifornimento progressivo dei magazzini con tasso di rifornimento di poco superiore al tasso di prelievo (JIT)

Nella sua versione teorica, il modello del lotto economico è un modello di gestione delle scorte a “quantità fissa e tempo fisso”.
Esso infatti consente di determinare la quantità da acquistare e il numero di rifornimenti da effettuare.
Dividendo il periodo considerato per il numero di rifornimenti è così possibile determinare l’intervallo di tempo intercorrente tra un rifornimento e quello successivo. In assenza di variabilità nei tassi di prelievo (p) e nei tempi di consegna (sia essa immediata o graduale), il magazzino assumerà il classico andamento ‘a pettine’.

grafico19

Figura n.1.10 – Tipico andamento a pettine del magazzino

In realtà, i tassi di prelievo possono essere noti nella loro dimensione media ma assumere valori variabili ed imprevedibili, in relazione alla variabilità ‘a valle’, cioè nei ritmi di produzione e/o nella domanda di mercato.
Può così accadere che il magazzino si esaurisca prima o dopo il previsto.
Se il fornitore ha la flessibilità necessaria a reagire prontamente alle richieste dell’acquirente, non ci saranno problemi per quest’ultimo.
La gestione delle scorte seguirà cioè un modello “a quantità fissa e a tempo variabile”.

grafico19 grafico20

Figura n.1.11 – Andamento a “pettine irregolare”

L’andamento del magazzino sarà allora rappresentato da un ‘pettine’ irregolare, con denti ora più fitti (tassi di prelievo elevati) ora più radi (tassi di prelievo ridotti).
Spesso, però, il fornitore non ha la capacità di reagire immediatamente agli ordini dell’acquirente. Egli può cioè aver bisogno di un periodo di tempo (cd. lead-time di rifornimento) per ‘preparare’ il lotto di rifornimento per la successiva consegna (che potrà poi essere fatta in unica soluzione o gradualmente).
Ogni ordine di acquisto va allora ‘lanciato’ con un anticipo pari al lead-time di rifornimento rispetto al momento in cui dovrà avvenire la consegna, cioè al momento dell’esaurimento previsto del magazzino.
Una consegna ritardata comporterebbe una indesiderabile situazione di ‘sottoscorta’; una consegna anticipata comporterebbe invece un antieconomico esubero di materiali a scorta.
L’impresa acquirente deve quindi, tenendo conto dei tassi di prelievo dal magazzino, stimare il momento in cui il magazzino si esaurirà, per essere così in grado di lanciare un ordine di acquisto con un anticipo pari al lead-time del fornitore.
Di solito, il momento del lancio dell’ordine viene identificato con il raggiungimento in magazzino del cd. livello di riordino.
Si tratta della quantità di materiali necessaria per garantire la continuità dei prelievi durante il lead-time (cioè fino alla successiva consegna).
Livello di riordino = tasso di prelievo (p) * lead-time + scorte di sicurezza

Figura n.1.12 – La gestione delle scorte a lotto economico e livello di riordino.
ipotesi a) variabilità del tasso di prelievo

grafico21

ipotesi b) variabilità del lead time

grafico22
Il tasso di prelievo (p) preso a riferimento per la determinazione del livello di riordino è di solito un valore medio stimato sulla base dei tassi storici di prelievo.
Lo stesso tempo di consegna (lead-time) è un valore spesso soltanto indicativo e suscettibile di cambiamenti (ritardi/anticipi) quando l’affidabilità logistica del fornitore non è totale.
Una gestione delle scorte a livello di riordino non può quindi eliminare del tutto il problema dell’incertezza. Dovendo anticipare l’ordine di acquisto l’impresa acquirente si trova infatti esposta al rischio di cambiamenti improvvisi nei tassi di prelievo e nei tempi di consegna (lead-time).
Per evitare una “rottura dello stock”, cioè l’esaurimento indesiderato ed anticipato delle scorte, l’acquirente sarà allora costretto a detenere delle scorte in esubero. Queste scorte eccedenti le normali esigenze ‘medie’ dell’impresa sono dette “scorte di sicurezza” e hanno la funzione di evitare indesiderate situazioni di “sottoscorta”, con i relativi pericoli di interruzione del processo produttivo e/o di mancate vendite.
La loro entità è proporzionale al grado di incertezza insita nei tassi di prelievo e nella durata del lead-time e al grado di sicurezza voluto (livello di servizio).
Nell’ipotesi che tasso di prelievo e lead-time effettivi si distribuiscano attorno al loro valore medio secondo una distribuzione gaussiana, il livello ottimale di scorte di sicurezza è determinabile attraverso questa formula:
scorte di sicurezza(SS) =grafico23dove:

  • con grafico24 viene indicata la devianza standard del tasso di prelievo in un’unità di tempo;
  • con grafico25 viene indicata la devianza standard del lead-time. /li>

Se si vuole assicurare un livello di servizio del 100%, allora le scorte di sicurezza dovranno essere pari a:
SSmax = pmax o LTmax
Qualora soltanto il tasso di prelievo o il lead-time siano soggetti ad incertezza, la formula si trasforma, rispettivamente, in:

grafico26

Nel tentativo di ridurre i costi di trasporto, acquirente e fornitore possono trovare conveniente passare da modalità di rifornimento a quantità fissa (lotto economico) a modalità di rifornimento a tempo fisso, dove le parti stabiliscono in anticipo il momento della consegna dei materiali, fissandola, ad esempio, in coincidenza dei loro periodici “giri clienti” o “giri fornitori”. La quantità, che verrà specificata con un certo anticipo rispetto alla consegna (che potremo, per comodità, indicare col termine lead-time), dovrà garantire la regolarità dei prelievi durante tutto l’intervallo di tempo tra un rifornimento e il successivo. Noto il tasso medio di prelievo per unità di tempo, possiamo indicare col termine “livello di reintegro” la quantità di materiali che dovrà essere presente in magazzino all’inizio di ogni intervallo per assicurare una media copertura delle necessità di prelievo:
livello di reintegro (L. RE.) = p o T + SS
dove p è il tasso medio di prelievo per unità di tempo e T è il numero di unità di tempo tra un rifornimento e quello successivo.
La quantità di approvvigionamento deve essere definita con un anticipo pari al lead-time rispetto al momento della consegna, e sarà così determinata:
quantità ordinata = L.RE. – quantità stimata in magazzino al momento del rifornimento dove:
quantità stimata in magazzino al momento del rifornimento = quantità in magazzino al momento del lancio dell’ordine – prelievo previsto durante il lead-time.

grafico27

Figura n.1.13 – Metodo di gestione delle scorte a tempo fisso.

E’ evidente che la quantità ordinata può soltanto casualmente coincidere con il lotto economico di acquisto.
Per quanto concerne, invece, la determinazione del livello delle scorte di sicurezza, occorre considerare che l’ordinazione vincola l’acquirente per un periodo pari a (lead-time + T).
Il significato di lead-time di rifornimento è qui diverso che nel rifornimento a quantità fissa: si tratta semplicemente del tempo di preavviso col quale l’acquirente informa il fornitore delle quantità da consegnare. Può trattarsi di intervallo anche sensibilmente inferiore a quello richiesto dal fornitore per apprestare la consegna a tempo variabile.
Possiamo inoltre ritenere che fissando il tempo del rifornimento in anticipo si possa contare su una maggiore puntualità di consegna (ipotesi: assenza di variabilità del LT).
La formula per la determinazione del livello ottimale di scorte di sicurezza è la seguente:

grafico28

1.5. GLI INDICI DELLE SCORTE

Gli indici delle scorte sono importanti perchè forniscono al management dati importantissimi su cui poi basare l’intera strategia aziendale. Infatti un livello di scorte eccessivo o insufficiente può generare nei casi più gravi il fallimento dell’azienda, o, nei casi blandi avere effetti indesiderati come: Problemi causati da scorte eccessive:

  • obsolescenza dei materiali presenti nelle scorte
  • impossibilità di sfruttare bene le variazioni dei prezzi di mercato, quando queste si verificano
  • erosione del capitale liquido nel caso di acquisto eccessivo, ponendo l’azienda in una situazione di non essere in grado di far fronte agli obblighi a breve
  • aumento di certi costi come: interessi su acquisti, immagazzinaggio, assicurazioni e necessità di ampliamento dei magazzini /li>

Problemi causati da scorte insufficienti come: ritardi nelle consegne, sottoutilizzo di risorse (personale e macchinari), rotture di stock.
Per una corretta gestione delle scorte non è sufficiente individuare il livello della scorta di sicurezza, determinare il lotto economico d’acquisto ed il punto di riordino, ma bisogna tener sotto controllo anche altri fattori importantissimi, se non vitali, per una oculata gestione come ad esempio il tempo in cui i beni sostano i magazzino (durata del ciclo di rinnovo).
Il parametro più utilizzato ed efficace per apprezzare la velocità di circolazione delle merci (durata del loro ciclo di rinnovo) è “l’indice di rotazione delle scorte”.
Questo indica il numero delle volte in cui avviene il completo rinnovo degli stock in un determinato periodo di tempo.
Una volta calcolato tale indice bisogna interpretarlo tenendo conto delle caratteristiche dell’attività svolta dall’azienda e dei beni che essa tratta.
E’ logico che un magazzino di una impresa che tratta prodotti deperibili (es. frutta) debba avere un indice di rotazione più alto di un’altra che tratti tutt’altra categoria di merce (es. giocattoli).
E’ facile comprendere come si dia particolare attenzione a questo indicatore poiché un elevato indice di rotazione si traduce in minori capitali investiti in scorte, minori costi finanziari, minori costi di gestione del magazzino.
A contrario, un indice di rotazione basso comporta, oltre a quelli finanziari, altri inconvenienti economici rappresentati da “fattori di rischio” legati ad un eventuale ribasso dei prezzi di mercato e a mutamenti nella domanda (variazione delle preferenze dei consumatori).
Il calcolo dell’indice di rotazione può avvenire attraverso due modalità a seconda che si prenda in considerazione quantità fisiche o valori.
Il metodo che utilizza quantità fisiche è calcolato in base al rapporto tra le quantità vendute od utilizzate in un dato periodo di tempo e la quantità della scorta media registratasi nello stesso periodo.

grafico29

Questa formula permette di calcolare la velocità di rinnovo di singole merci o di singole materie,oppure di gruppi di merci o materie che si possano esprimere quantitativamente con una comune unità di misura, ed è assai utile per individuare quali articoli tendono a sostare troppo a lungo in magazzino.
La scorta media si può calcolare in 2 modi:

  1. (metodo meno preciso) grafico30
    La semisomma della quantità esistente all’inizio del periodo (Si) con quella in rimanenza alla fine del medesimo (Sf)
  2. (metodo con approssimazione più precisa) grafico31 Questo si ha dividendo per 13 la somma dell’esistenza iniziale (S1) e delle 12 consistenze rilevate alla fine di ciascun mese solare (S1+S2+….+S13).

TSi preferisce questo metodo al primo quando si vuole fare un’analisi delle giacenze in magazzino ed individuare quali articoli tendono a sostare troppo a lungo in magazzino.
Per percepire il ritmo di rinnovo di magazzino a livello globale oppure con riferimento a gruppi di beni i cui quantitativi si esprimono con unità di misura differenti, è necessario calcolare l’indice di rotazione relativo alla generalità dei beni trattati dall’azienda o al complesso degli articoli che formano un dato gruppo merceologico.
A tal fine è opportuno rendere omogenei fra loro i dati esprimendoli in termini monetari, cioè di valore.
In tal caso avremo:

grafico32

E’ ovvio che l’azienda parte dall’obiettivo di mantenere o migliorare l’indice all’interno della media di settore: questo si ottiene principalmente giocando sul tasso di rotazione.
Se il tasso di rotazione è basso si possono avere problemi di bassa movimentazione del magazzino che possono incidere sul flusso di cassa.
Se il tasso di rotazione è molto alto potrebbe generare rischio elevato di mancanza di merce da vendere.

1.6 IL PARADOSSO RELATIVO ALLA RIDUZIONE DELLE SCORTE

La ‘filosofia’ di gestione nota col termine Just-in-Time (JIT) mira ad ottenere una struttura gestionale nella quale le imprese acquirenti si riforniscano dei materiali di acquisto ‘appena in tempo’ per utilizzarli.
Un caso di applicazione “esasperata” di JIT è quello della Toyota, che si rifornisce dai suoi fornitori ad intervalli di 15-30 minuti.
In imprese come questa, l’obiettivo ‘zero scorte’ non è affatto un’utopia, ma una realizzazione concreta. Questo obiettivo non deve però essere perseguito a tutti i costi e in ogni caso: al di là degli evidenti problemi di realizzabilità pratica, tale condizione operativa può, infatti, non essere conveniente sul piano economico.
Nel definire le proprie politiche di approvvigionamento le imprese si trovano infatti ad affrontare un vero e proprio dilemma economico, dove la riduzione dei costi di mantenimento conseguente alla riduzione del livello delle scorte implica un lotto di acquisto molto basso, con conseguente aumento dei costi di ordinazione e trasporto.
D’altro canto, la minimizzazione dei costi di ordinazione e trasporto richiede un rifornimento in unica soluzione, con gravose conseguenze sul livello del capitale investito nelle scorte.
In altre parole si viene a creare un paradosso relativo alla gestione delle scorte. Questo è dato dal fatto che in una oculata gestione delle scorte bisogna conciliare 2 esigenze contrastanti: da una parte, mantenere alto il loro livello, per garantire il soddisfacimento delle esigenze aziendali (produzione, manutenzione,..) in presenza di possibi accelerazioni dei consumi.
Dall’altro, minimizzare il loro livello per ridurre al minimo i costi ad essi connessi. In pratica, errate politiche di gestione finirebbero con lo squilibrare il risultato della gestione finanziaria aziendale.

2.0. IL MAGAZZINO VIRTUALE

2.1. TIL MAGAZZINO NELL’ERA DELL’E-COMMERCE: IL MAGAZZINO VIRTUALE

Il vantaggio del commercio elettronico è quello di annullare in modo virtuale lo spazio ed il tempo che separano la domanda e l’offerta, ampliando, potenzialmente le possibilità di business.
Perché questo sia ottenibile, è necessario che le imprese adeguino le proprie strategie, strutture e processi in modo da trarre vantaggio dalle nuove “enabling technologies”, evitando che inefficienza interna e incapacità di adeguarsi vanifichino le opportunità.
Le diverse soluzioni che si possono adottare nell’ambito del commercio elettronico riguardano il tipo di rapporto che si instaura tra venditore ed acquisitore. Un primo tipo di soluzione si limita a realizzare un rapporto di pura compravendita, supportando l’esecuzione della transazione commerciale.
Altre soluzioni tendono a privilegiare i rapporti di collaborazione tra più soggetti, creando aggregazioni che hanno lo scopo di massimizzare il beneficio attraverso lo svolgimento di azioni comuni.
Nell’ambito dello sviluppo dei rapporti di collaborazione i due modelli più innovativi sono l’outsourcing dei processi di acquisto, e la condivisione delle disponibilità di magazzino, attraverso la costituzione di un Magazzino Virtuale³.
L’applicazione del concetto di fornitura integrata, assieme allo sfruttamento degli strumenti messi a disposizione della communication and information tecnology, permette di gestire in outsourcing, completamente ed in modo efficiente, i processi di fornitura, riducendo i costi di tipo amministrativo sul numero di ordini prodotti e permettendo di beneficiare della riduzione di prezzo che l’outsourcer ottiene sulla base dei volumi di più clienti (aggregazione indotta della domanda).
Oltre alle tradizionali funzioni di acquisto (sourcing, ordering ed expediting), può venire offerto il servizio di pagamento, mediante l’emissione di un’unica fattura, sollevando il cliente dalla gestione del numero di pagamenti relativi ad un approvvigionamento multi-fornitore.
Il Magazzino Virtuale consiste nella condivisione delle disponibilità di magazzino di più aziende che impiegano le stesse tipologie di materiali o componenti ed operano in un ambito territoriale che rende facili ed economici gli scambi.
L’obiettivo è la riduzione delle scorte uguali presenti in tutti i magazzini e la riduzione dei surplus.
Un’impresa non avrà presenti fisicamente in magazzino tutti i tipi di materiali di cui necessita, ma ne dovrà avere comunque la disponibilità immediata.
Il Magazzino Virtuale rappresenta una possibilità di riduzione costi, attraverso la riduzione delle immobilizzazioni, introducendo una gestione flessibile delle scorte mediante la loro condivisione con altri soggetti.
Il funzionamento è assicurato da un soggetto esterno, il Provider di servizio, il quale ha la visibilità delle scorte complessive e, attraverso sistemi informatici e procedure gestionali dedicate, gestisce i magazzini calcolando le necessità delle aziende ed i livelli di ridondanza di materiali all’interno del distretto.
Le richieste di materiale transitano per il Provider che dispone l’approvvigionamento da un magazzino interno al gruppo delle aziende aderenti, o, eventualmente, da un fornitore esterno.
Il Magazzino Virtuale necessita di una informatizzazione di base comune alle imprese partecipanti e l’adozione di procedure e protocolli standard, in modo da avere una completa omogeneità dei dati utilizzati nel sistema.

grafico33

Figura n.2.1 – Flusso di fornitura nell’outsourcing dei processi. Tratto da www. logisticamente.it

Nota 3: Il termine Magazzino Virtuale è stato coniato dal dott. Vincenzo Marino, amministratore delegato UNITEC (vedi Dizionario dell’Economia Digitale edito dal Sole24ore).

2.2. CONDIVISIONE DI INFORMAZIONI E RISORSE

Nel tempo le tecnologie dell’informazione hanno consentito l’abbattimento dei costi di comunicazione e di coordinamento che si frapponevano in passato ad un’efficiente gestione delle attività economiche disperse territorialmente.
Le tecnologie dell’informazione si presentano soprattutto come tecnologie di coordinamento il cui effetto primario è il supporto della risorsa umana con l’informatica.
Un effetto secondario della riduzione di tali costi è l’aumento della quantità totale di coordinamento impiegata. Tanto per portare un esempio, i sistemi attuali di prenotazione degli aerei consentono alle agenzie di viaggio di prendere in considerazione con facilità più possibilità di volo per un cliente, favorendo così il moltiplicarsi di tariffe speciali e sconti.
Un altro effetto della riduzione dei costi di coordinamento è una tendenza all’adozione di strutture con maggiore contenuto coordinativo e che interessano più imprese con l’attuazione di rapporti di tipo collaborativo (make together).
Al momento di una vendita di un maglione in un negozio in Italia, ad esempio, la registrazione di codici a barre potrebbe attivare automaticamente le funzioni di ordinazione, consegna e produzione lungo tutta la filiera fino al magazzino di lane appartenente al network situato in un altro continente.
Un altro caso di reti interaziendali costituiti non solo tra fornitori e acquirenti, ma anche tra concorrenti è quello di un consorzio interaziendale nel quale le imprese mettono in comune dati, servizi,software e risorse per una gestione comune finalizzata all’abbattimento dei costi e degli sprechi.
Grazie a reti telematiche le informazioni sulla domanda diventano disponibili in tempo reale, permettendo alle società collegate di gestire le attività condivise in modo più efficiente e redditizio di quanto sarebbe possibile per la singola agenzia.
Tutto ciò porta a livello internazionale alla creazione di imprese sempre più concentrate sul proprio core business e in grado di operare a livello globale o transnazionale ricorrendo al mercato.
In base alla dicotomia williamsoniana del make or buy, ogni organizzazione deve scegliere tra produrre i beni e i servizi di cui ha bisogno o acquistarli all’esterno.
A questo proposito è interessante l’analisi di Antonelli circa l’impatto delle tecnologie dell’informazione sui costi di coordinamento e di transazione.
I costi di coordinamento e di transazione si definiscono come costi di ricevimento, trattamento, valutazione, raccolta e trasmissione delle informazioni riguardo l’ambiente interno ed esterno all’impresa.
In particolar modo i costi di coordinamento si definiscono come quei costi relativi al controllo del processo produttivo e delle sue attività relative integrate, mentre quelli di transazione – così come definiti per la prima volta da Coase – sono dati dai costi d’uso del mercato.
Antonelli4 presenta uno schema riassuntivo al fine di capire l’effetto delle nuove tecnologie sull’evoluzione dinamica di tali costi valutandone in dettaglio tale impatto.
Nell’attività di coordinamento ci si imbatte in costi derivanti da situazioni di:

  • Razionalità limitata
    La razionalità limitata è causata dall’estensione dell’ampiezza del controllo, con la conseguente perdita d’efficienza nella supervisione da parte dei managers dell’evoluzione delle attività d’impresa. Le tecnologie dell’informazione rendono possibile recuperare, elaborare e memorizzare informazioni a un costo molto più basso e quindi ridurre il vincolo imposto dalla gestione manuale.
  • Monitoring e shirking
    L’attività di monitoring consiste in un controllo dei singoli inputs di un processo produttivo al fine di impedire possibili shirking, ossia che la produttività marginale cada al di sotto del costo dell’input rendendo il processo inefficiente. L’introduzione delle nuove tecnologie d’informazione può ridurre lo shirking e quindi i costi del controllo (monitoring) soprattutto quando si considerino unità organizzative separate e situate in altri paesi. In questa maniera si rafforza il controllo del management centrale sulle unità periferiche.
  • Creazione di risorse tampone
    Le strutture multidivisionali o matriciali possono essere considerate una struttura intermedia tra le due soluzioni istituzionali del mercato e della gerarchia, ed in quanto tali vengono definite come “tampone” tra i due estremi. La riorganizzazione multidivisionale e matriciale rende possibile all’impresa un mix organizzativo in cui i costi di coordinamento e di transazione, raffrontati con quelli tra imprese, sono minori. L’introduzione delle tecnologie dell’informazione può ridurre ulteriormente l’incidenza di tali costi oppure portare a processi di cambiamento organizzativo di tipo innovativo.
  • Federazione
    Le “federazioni” sono definite come relazioni di complementarità strette tra compratori e venditori che si instaurano senza stabilire un’effettiva integrazione verticale. Anche la “federazione” può essere vista come attività organizzativa intermedia tra la gerarchia e il mercato, solo che rappresenta, al contrario delle “risorse tampone” uno dei primi passi del processo dal “mercato” verso la “gerarchia”. L’introduzione delle nuove tecnologie dell’informazione favorirà sempre più il costituirsi di “federazioni” o di rapporti di cooperazione informale tra imprese, anche al di fuori dai confini nazionali, grazie alla aumentata capacità nel controllo a distanza dei processi produttivi, ai miglioramenti nella gestione degli input produttivi, dei flussi e dei componenti produttivi, e alla riduzione dell’incertezza sulla qualità e sui termini di consegna dei prodotti intermedi. Possiamo poi analizzare l’effetto delle tecnologie dell’informazione sui costi di transazione:
  • Opportunismo
    Opportunismo è uno sforzo per realizzare guadagni individuali attraverso una mancanza di sincerità e onesta nelle transazioni. Le tecnologie dell’informazione possono ridurre l’asimmetria nella distribuzione dell’informazione e quindi il vantaggio nel comportamento opportunistico.
  • Relazioni di scambio
    Con le nuove tecnologie dell’informazione è possibile estendere il numero di imprese coinvolte in qualunque transazione e quindi evitare o ridurre i rischi del comportamento opportunistico o l’asimmetria dell’informazione su entrambi i lati del mercato. Le tecnologie dell’informazione rendono possibile incrementare sostanzialmente insieme le capacità di trasmissione, ovvero le capacità di raggiungere imprese localizzate in mercati lontani e le capacità di elaborazione dati, ovvero la capacità di recuperare, valutare e riprodurre informazioni. Per esempio, grazie alle nuove tecnologie dell’informazione le imprese possono cercare nuovi fornitori o clienti sui mercati internazionali, senza incrementi significativi nei costi per trattare l’informazione necessaria.
  • Information impactedeness
    E’ una forma di asimmetria d’informazione legata a due aspetti: una conoscenza specifica relativa ad un contratto e non ad una informazione generica; per la parte con minore informazione, ottenere parità di conoscenza è costoso. Le tecnologie dell’informazione possono ridurre solo lo svantaggio derivante dal secondo aspetto abbattendo i costi dell’informazione.
  • Natura imperfetta della conoscenza
    La conoscenza è un tipico bene pubblico caratterizzato dalla:
    indivisibilità,
    non appena è stata fatta una scoperta e divulgata, quest’ultima può essere estesa a tutte le imprese a costi marginali nulli;
    non escludibilità
    ossia non possibilità di esclusione di altri soggetti dall’apprendimento della conoscenza.

Per sopperire alle inefficienze derivanti dalla mancanza di mercati della conoscenza e di prezzi appropriati, le imprese tendono a creare mercati interni per trasferire le conoscenze.
Le tecnologie dell’informazione, a questo proposito, possono diffondere la conoscenza rendendola divisibile, suddividendola in tanti bit di informazione.
Ad esempio, le imprese licenziatarie possono sostituire la divulgazione della conoscenza con un continuo flusso, mediante collegamenti on-line di istruzioni specifiche e dettagli tecnici senza rilevare la chiave dell’intera informazione.
Le imprese possono scegliere se sfruttare le loro conoscenze internalizzandole nei mercati interni o esternalizzandole attraverso la vendita diretta sui mercati dei brevetti e delle licenze evitando il rischio della totale divulgazione.
Le tecnologie dell’informazione possono avere effetti significativi sulle transazioni di tecnologia, riducendo l’imperfezione dei mercati.

Nota 4: Antonelli – C. – Cambiamento tecnologico e impresa multinazionale: il ruolo delle reti telematiche nelle strategie globali, Milano: F. Angeli, 1984.

2.3. LA LOGISTICA

La logistica riveste oggi notevole importanza in quanto non è più intesa come “la semplice pianificazione dei costi di trasporto e di distribuzione”, ma si afferma sempre più come leva strategica per affrontare il mercato e seguirne tempestivamente i cambiamenti. L’evoluzione della logistica nelle aziende, fa sì che questa si imponga sempre più come funzione di integrazione aziendale che controlla e governa tutta la gestione dei flussi.
La “logistica moderna” si occupa, infatti, della politica di approvvigionamento, dei sistemi informatici di controllo, della pianificazione e del controllo dei materiali, del magazzinaggio, della movimentazione, della gestione degli stock, della distribuzione e dei trasporti internazionali. Semplificando si può affermare che la logistica opera in modo che, materie prime, materiali, semilavorati e prodotti finiti siano disponibili al momento giusto nel posto giusto ed al minimo costo.
Tale obiettivo è perseguibile se si attua un processo logistico flessibile e a costi variabili di cui l’azienda mantiene il controllo strategico; cercando inoltre di terziarizzare al massimo tutte quelle attività operative che venivano storicamente svolte all’interno dell’azienda. Da recenti studi effettuati dalla A.T. KERNEY risulta che il costo logistico globale (base 100) di un’impresa media può essere scomposto come segue: 15% costi amministrativi; 23% costi di stoccaggio; 21% costi di magazzinaggio; 41% costi di trasporto.
Un’immagine ideale di azienda è quella in cui l’afflusso di materie prime sia esattamente commisurato al fabbisogno produttivo, ed in cui a loro volta le quantità di beni prodotti corrispondano in maniera precisa alla richiesta del mercato; un’azienda dove i rifornimenti giungano al momento ed al posto giusto e che serva i clienti con tempismo e nel modo più vantaggioso.
Un’azienda così non avrà scorte, non avrà giacenze, gestirà un magazzino grande quanto basta perché il flusso di materiali e merci non s’interrompa e non subisca strozzature: ciò significa comprimere i tempi, ridurre gli spazi, abbattere i costi5.
Il 3 Dicembre scorso è stato presentato, presso la facoltà di architettura del Politecnico di Milano, l’Osservatorio nazionale sul trasporto merci e la logistica (ONLTM) promosso dalla Fondazione BNC 6 e ISFORT7.
Il convegno di presentazione è stato anche l’occasione per una tavola rotonda sulla logistica cui hanno partecipato alcuni protagonisti del settore.
Dal convegno è emerso che nell’ambito italiano, le imprese dimostrano di aver compreso i vantaggi e le opportunità della logistica, ma non sono ancora capaci, per vari motivi, di farli propri.
L’evoluzione del mercato della logistica può essere schematizzato con la tabella sottostante (Tab 1).
In base a tale tabella la quasi totalità delle imprese italiane sono attualmente ferme alla prima fase.

grafico34

Tabella n.2.1 – Evoluzione del mercato della logistica

L’arretratezza degli operatori italiani è causata sia da fattori interni (piccole dimensioni, scarsa capacità di innovazione, bassa internazionalizzazione) sia esterni (carenze infrastrutturali, sistema formativo lacunoso, scarsa liberalizzazione di alcuni comparti).
Tuttavia ci sono alcuni segnali positivi che evidenziano un innalzamento del livello di cultura logistica che è il presupposto principale per la sua evoluzione.
Questi segnali sono rappresentati dal maggiore interesse delle imprese verso la logistica come fattore competitivo e dall’aumento degli investimenti nel settore.

Nota 5: I criteri gestionali relativi a tale arco costituiscono il sistema logistico globale.
Nota 6: Banca Nazionale della Comunicazione.
Nota 7: Istituto superiore di formazione e ricerca per i trasporti.

2.4. I VANTAGGI DEL MAGAZZINO VIRTUALE

A seguito dell’adozione del modello del Magazzino Virtuale, il principale vantaggio conseguito deriva dalla riduzione delle scorte in magazzino.
Le scorte costituiscono per l’impresa una immobilizzazione di capitali, quindi una passività, e a seguito della loro diminuzione si ottiene un aumento di liquidità, un ampliamento della possibilità di nuovi investimenti ed un minore ricorso all’indebitamento.
Inoltre le scorte comportano dei costi di gestione: l’ottimizzazione delle scorte in magazzino si basa sull’eliminazione delle scorte di sicurezza, che nella maggior parte di un esercizio non vengono utilizzate, ma comunque detenute per far fronte ad inaspettati picchi di domanda.
Appena applicato, il Magazzino Virtuale, comporta una diminuzione delle scorte che la Unitec quantifica in circa il 20% e non esclude una percentuale maggiore in seguito, quando verrà applicato un controllo maggiore sulle scorte.
La diminuzione delle scorte fa sì che gli stessi costi di immagazzinamento (affitto locali, costi energetici, sicurezza) possono essere ridotti, soprattutto se la riduzione delle scorte è significativa.
Inoltre il Magazzino Virtuale offre la possibilità di raggruppare un numero elevato di acquirenti in una specie di partnership, creando la possibilità di trattare con i fornitori con maggiore potere di contrattazione. Di conseguenza è possibile definire a vantaggio della partnershp condizioni quali prezzo, quantità, tempi, qualità della fornitura, che al piccolo acquirente non erano permessi.
Si avrebbe, in altri termini, quella che si chiama la “buyer aggregation”.
Un ulteriore vantaggio consiste poi nella possibilità di conoscere le quantità e le necessità di magazzino in tempo reale, e nel corso dei mesi e degli anni conoscere i lead time di approvvigionamento delle forniture, permettendo di gestire in maniera più efficace ed efficiente il magazzino.
E’ molto difficile prevedere le fluttuazioni dei valori di stock per piccoli magazzini indipendenti, ovvero quelli delle singole imprese, ma è relativamente più facile avere il controllo sull’andamento del magazzino distrettuale, poiché si avrebbe a che fare con numeri decisamente più grandi. Se a questo si dovesse aggiungere un controllo preciso e puntuale sull’andamento storico (analisi delle serie storiche) del Magazzino Virtuale, si avrebbe un abbattimento notevole delle scorte di sicurezza (funzione anche della tipologia merceologica).
Infine, bisogna tenere conto del fatto che si avrebbe a disposizione, per l’utente del Magazzino Virtuale, un aumento notevole della disponibilità e della possibilità di scelta di materiali che altrimenti sarebbe molto difficile avere in magazzino normalmente. Se ad esempio si dovesse verificare un particolare tipo di commessa, che non era mai stata preventivata, e che ha bisogno di una apparecchiatura speciale, ci sarebbe un’elevata probabilità che essa sia invece reperibile nel comprensorio distrettuale tramite il MV.
Il suo proprietario forse l’ha resa disponibile perché la usa raramente, e quindi spera di ricavarne dell’utile rendendola disponibile per altre aziende. Tutto questo meccanismo di razionalizzazione però, non può essere portato avanti a compartimenti stagni, ma tenendo conto dell’effetto sinergico di una ristrutturazione complessiva, anche graduale, ma complessiva della struttura distrettuale e mettere mano ai processi aziendali (Business Process Reengineering).
Il fatto di partecipare ad un Magazzino Virtuale comporta ulteriori vantaggi accessori quali:

  • eliminare gli overhead gestionali;
  • minimizzare i costi di struttura;
  • salvaguardare l’ambiente riducendo il traffico generato da trasporti di lungo percorso.

L’adozione del Magazzino Virtuale, quindi, permetterebbe di ridurre le spese gestionali (overhead gestionale).
Infatti, spesso non si tiene conto del tempo che viene perso praticamente nella ricerca del materiale, nella sua scelta, nel suo acquisto, nel suo riapprovvigionamento.
Senza parlare del tempo ulteriore che viene perso quando anche in una sola di queste fasi “amministrative” si vengono a creare degli intoppi. Spesso bisogna ricominciare tutto il processo daccapo. A questi tempi morti, se ne aggiungono altri ancora, perché non vengono sfruttati i moderni mezzi che la tecnologia mette a disposizione.
Questi tempi “d’ufficio” non sono gratuiti, ma vengono profumatamente pagati “indirettamente”, perché chi si occupa di questi passaggi burocratici non può essere operativo e dedicarsi a compiti a più alto valore aggiunto. Se questi problemi venissero risolti, magari con il passaggio delle forniture ad un unico outsourcer degli approvvigionamenti, che sollevi gli operativi dai rapporti burocratici con i fornitori, si avrebbe un miglioramento immediato delle forniture, per tempi e qualità, ma anche di costo perché tutte le fasi di approvvigionamento “passivo” verrebbero eliminate.
E’ importante sottolineare come attraverso il Magazzino Virtuale si raggiunga anche il risultato inseguito più tenacemente dalle politiche d’Inventory Management, ossia la riduzione degli investimenti nel magazzino senza compromettere la disponibilità delle scorte e quindi senza rischiare di perdere potenziali ordini.
Nella figura seguente viene rappresentata graficamente la quantità minima di materie prime (espressa in valore) che devono essere presenti in un magazzino gestito secondo i criteri tradizionali dell’Inventory Management, al di sotto della quale non è possibile scendere senza compromettere la continuità produttiva.

grafico35

Figura n. 2.2 – Livello di Optional service ( fonte Execulink, 2000)

Ciò significa che, diminuendo la quantità di scorte al di sotto del “minimum cost” indicato nel grafico, sarebbe possibile ottenere dei risparmi, a discapito, però, di crescenti costi dovuti alla perdita di potenziali vendite.
Riducendo eccessivamente le scorte, d’altro canto, l’impresa diminuirebbe la sua capacità di produrre la quantità e la qualità della merce richiesta dal mercato (optimal service). Nel grafico sono rappresentate la curva del costo di gestione del magazzino (stockholding costs), che risulta crescente all’aumentare delle disponibilità di scorte, e la curva dei costi derivanti dalla potenziale perdita di ordini (potential lost sales costs), la quale ha un andamento opposto rispetto alla curva precedente.
La scelta ottimale sarà determinata dal punto minimo della curva del costo totale (in rosso), determinata dalla somma dei costi delle altre due.
L’adozione del Magazzino Virtuale modifica radicalmente lo schema appena illustrato. Essendo la disponibilità delle materie prime costantemente assicurata in ogni momento dall’outsourcer di servizio, i costi delle potenziali mancate vendite, subiranno una certa diminuzione, che si tradurrà in un appiattimento della relativa curva.

grafico36

Figura n. 2.3 – Rappresentazione dei Potential low sales costs. ( fonte Unitec, 2000)

Allo stesso tempo la curva dei costi di magazzino tende ad abbassarsi, in conseguenza del fatto che la quantità di materie da immagazzinare diminuisce sensibilmente, proprio perché non è più necessario che la singola impresa del distretto detenga fisicamente tutti i tipi di materie necessari a garantire la continuità produttiva.

grafico37

Figura n. 2.4 – Rappresentazione dei Stockholding costs. ( fonte Unitec, 2000)

La combinazione dei movimenti delle due curve comporta la modifica della posizione della curva del costo totale che si abbasserà e si sposterà verso destra.

grafico38

Figura n. 2.5 – Rappresentazione dei Potential lost sales cost & Optimal service ( fonte Unitec, 2000)

2.5. LA SOLUZIONE DEL PARADOSSO RELATIVO ALLA RIDUZIONE DELLE SCORTE

La continua ricerca della riduzione delle scorte all’interno di ogni realtà aziendale (fig. A), ha causato però, quale diretta conseguenza, un incremento numerico spropositato delle operazioni di approvvigionamento e, quindi, dei relativi costi ad esse associati (fig. B).

grafico39

Figura n. 2.6 – Evoluzione nel tempo delle scorte, approvvigionamenti e costi ( fonte Unitec, 2001)

grafico40

Figura n. 2.7 – Relazione ottimale tra scorte e numero degli approvvigionamenti.

3.0. PRESUPPOSTI E CONDIZIONI PER LA REALIZZAZIONE DI UN MAGAZZINO VIRTUALE

3.1. CLUSTER INDUSTRIALI

Prima di passare ad analizzare nello specifico l’attuazione del modello del Magazzino Virtuale ad un caso pratico è d’obbligo illustrare le basi teoriche e il contesto economico in cui esso si è sviluppato.
A tal proposito si presentano di seguito 3 argomenti quali: i cluster industriali, l’outsourcing e i processi produttivi.
I paragrafi che seguono non hanno la presunzione di esporre gli argomenti trattati nella loro interezza, ma solo di sottolinearne alcuni aspetti fondamentali, la cui comprensione giustifica ed avvalora il ricorso al Magazzino Virtuale.

3.1.1. DEFINIZIONE ED IMPORTANZA

L’apparato produttivo italiano è costituito in prevalenza da imprese di piccola e media dimensione. Una delle sue caratteristiche fondamentali è l’integrazione delle imprese all’interno delle aree cosiddette “distrettuali” che mitigano gli effetti negativi della dimensione esigua sull’efficienza aziendale e sulla capacità competitiva del sistema.
Il “cluster industriale” definito in Italia “distretto industriale” può essere considerato come una “concentrazione territoriale” di piccole-medie imprese con accentuata specializzazione nei settori manufatturieri, le quali, in virtù delle relazioni tra loro e del ruolo svolto dall’ambiente esterno nella trasmissione del know-how specifico e dei valori del lavoro industriale, riescono a produrre in modo efficiente ed a competere sui mercati con imprese di maggiore dimensione”.
Nel nostro Paese il riconoscimento e la regolamentazione dei distretti industriali è avvenuta con molto ritardo rispetto la nascita del fenomeno, tramite la Legge 5 ottobre 1991, n. 317 :
“Art. 1. Finalità della legge e definizione di piccola impresa. La presente legge ha la finalità di promuovere lo sviluppo, l’innovazione e la competitività delle piccole imprese, costituite anche in forma cooperativa…”
Lo scopo principale legato alla nascita dei distretti industriali è quello di favorire, in zone con determinate caratteristiche economiche, la creazione e lo sviluppo di attività produttive nei settori dell’industria e dei servizi.
Molteplici sono i criteri che possono essere utilizzati per definire il “cluster industriale”. Di conseguenza non è possibile individuare il numero esatto presente in Italia. A seconda della definizione utilizzata e dei parametri scelti (geografici, giuridici o economici) il risultato della stima varia in modo significativo. Le discipline economiche insegnano che le piccole imprese, da sole, non sono in grado di competere sui mercati internazionali. Eppure i risultati ottenuti dalle piccole-medie imprese appartenenti a distretti industriali sembrano smentire in pieno tale affermazione. Ciò è possibile in quanto la competitività di tali imprese è rafforzata dalle interrelazioni e dai legami che si stabiliscono sul territorio in forza della comune specializzazione settoriale e della concentrazione spaziale. Questo modello produttivo, fino a poco tempo fa tipico della realtà italiana, si sta diffondendo nell’industria manifatturiera su scala mondiale. Le tendenze in atto mostrano, infatti, un orientamento imprenditoriale volto sempre più a favorire le relazioni tra imprese. Tali relazioni, da strutture gerarchiche si stanno evolvendo verso forme più flessibili in grado di fronteggiare meglio i cambiamenti ambientali e di mercato. Le imprese che operano nei distretti basano la loro competitività su:

  • minori costi di alcuni fattori produttivi e servizi tra cui scorte, ricambi, lavorazioni di piccole serie;
  • benefici legati alla massa critica delle attività caratteristiche quali: bacino di operai e tecnici con particolari competenze, scuole tecniche, depuratori centralizzati, rete di spedizionieri, montatori, immagine del territorio come centro di eccellenze;
  • facilitazione di tutte le attività connesse alla innovazione : circolazione di informazioni, prototipi, creatività, fiere;
  • clima propizio alla costituzione di nuove imprese: progetti imprenditoriali realizzati senza richiedere necessariamente investimenti in tutte le fasi del processo produttivo, esperienze diffuse, fiducia da parte delle altre imprese nel fornire materie prime o nel lavorare in conto terzi….

Il distretto industriale dimostra inoltre di essere un ambiente ideale per avviare e coltivare rapporti collaborativi finalizzati ad incrementare ulteriormente la competitività grazie a:

  • clima di collaborazione che si crea a livello locale tra enti locali, sindacati e associazioni di categoria come investimenti in infrastrutture, relazioni industriali non conflittuali…;
  • ccollaborazione tra imprese anche concorrenti tra di loro che tendono ad assumere, più spesso di quanto non succede fuori dai distretti, atteggiamenti cooperativi;
  • capitale sociale collettivo quale: fiducia reciproca, relazioni interpersonali, reti di amici che facilitano la circolazione di informazioni….

Lo sviluppo e la concentrazione di tante attività possono però generare, oltre a benefici, anche costi e diseconomie legate a:

  • congestione (traffico, prezzi delle aree edificabili,..);
  • pressione sull’offerta di lavoro (rarefazione di figure professionali,..);
  • cambiamenti nel sistema dei valori (appannamento delle energie imprenditoriali, giovani che orientano le proprie carriere professionali verso altri settori …);
  • ridondanze logistiche, amministrative e strutturali.

Ma dai risultati riscontrati i vantaggi superano decisamente gli svantaggi. C’è però da evidenziare che dopo anni di congiuntura favorevole, la situazione dei distretti industriali sta evolvendo rapidamente. Globalizzazione, concentrazione e spostamento del baricentro delle filiere produttive verso la distribuzione stanno avendo un impatto consistente sui distretti e gli effetti si evidenziano sullo scenario competitivo internazionale.
Molti distretti industriali che fino a pochi anni fa erano riusciti a riposizionare la propria offerta nei mercati competitivi, ora sono in evidente difficoltà. Dai dati degli ultimi anni sulle quote nel commercio mondiale, per l’Italia si evidenzia una flessione; ed il fenomeno ha subito un’accelerazione negli ultimi due anni.
In effetti i vantaggi derivanti dalla localizzazione tendono sempre più ad assottigliarsi soprattutto per via dell’utilizzo di nuove tecnologie e dell’impiego di internet.
Inoltre il ruolo estremamente vantaggioso, giocato fino ad oggi dallo spazio e dalla geografia viene a ridimensionarsi considerevolmente. Questi cambiamenti sembrano porre in discussione la sostenibilità del modello che fino ad oggi ha contraddistinto lo sviluppo economico italiano: quello dei distretti industriali basati su una forte connotazione territoriale e locale. Probabilmente una parte non secondaria dei disagi dipende da un rapporto non fluido tra le imprese dei distretti e le ITC8.
Basti pensare che l’incidenza media delle spese informatiche sul fatturato delle aziende è pari all’1,55%. Inoltre il 61,4% delle imprese si dichiara non soddisfatta della propria informatizzazione. Cosa ben diversa accade negli altri paesi industrializzati europei, i quali cercano di sfruttare al massimo i servizi innovativi di comunicazione con l’obiettivo di supportare il loro core business.
Secondo il rapporto Fair9, queste società appartengono principalmente a tre gruppi:

  • piccole e medie imprese dei settori high-tech e media, guidati dall’attrazione che si stabilisce tra il loro business via Internet e gli sviluppi di nuovi mercati;
  • cyberimprese che sfruttano le opportunità offerte dal commercio elettronico nei settori dei servizi;
  • piccole e medie imprese integrate all’interno della supply chain delle grandi compagnie spinte all’innovazione dalla pressione dei loro principali clienti.

I distretti industriali del nostro paese devono far rotta verso il commercio elettronico, soprattutto nelle sue forme B2B, creando i cosiddetti “distretti virtuali”.
L’idea è di utilizzare Internet e le moderne tecnologie per consentire alla PMI un miglior approvvigionamento di materie prime e condivisione di risorse.
Nel concetto “tradizionale” di cluster, l’istruzione e la tecnologia spesso hanno avuto un ruolo marginale. Ora le cose sono cambiate e sono proprio questi gli elementi su cui puntare per ritrovare nuovi spunti per un rilancio della competitività distrettuale.
Lo dimostra il fatto che i nuovi “cluster” stanno emergendo nelle aree periferiche dove questi fattori sono abbondanti10.
E’ da sottolineare però che nonostante i cambiamenti a cui è sottoposto il cluster, questo rimane sempre e comunque una “business comunità”, il cambiamento vero e proprio riguarda il mercato il quale sta evolvendo da mercato fisico a mercato virtuale.
L’importanza del passaggio da fisico a virtuale sembra essere stata colta dalla Unitec la quale sta proponendo con successo il suo ultimo prodotto : il Magazzino Virtuale.
Già alcune realtà imprenditoriali, come ad esempio quelle appartenenti al distretto del marmo di Massa-Carrara hanno sperimentato con ottimi risultati questo modello.
Con esso il concetto di cluster, viene ripreso, ampliato e stravolto allo stesso tempo. Guardando al passato, l’evoluzione nelle tecniche di gestione della produzione è stata sostanzialmente orientata a ridurre tali costi.
Ciò si è avuto soprattutto attraverso una maggiore integrazione tra i soggetti presenti nella filiera11.
Ebbene ora questa integrazione viene estesa paradossalmente ai “concorrenti”.
D’altra parte ai distretti è richiesta (se non imposta) una forma sempre più estrema di integrazione per poter conservare i propri margini di competitività nei confronti delle imprese di dimensioni maggiori.
Occorre cioè che le single imprese attuino una fattiva condivisione di risorse. In passato tentativi del genere hanno prodotto scarsi risultati in quanto le imprese hanno avuto timore di perdere quell’autonomia gestionale ed operativa che da sempre ha contraddistinto la versatilità delle PMI. Questo si è avuto soprattutto quando la condivisione riguardava gli approvvigionamenti di prodotti strategici, tramite i quali tali imprese sono in grado di offrire alla propria clientela, quel valore aggiunto che riesce a contraddistinguere l’azienda dalla diretta concorrenza12.
Al giorno d’oggi tali remore non sono più consentite. Sia perché come già detto è un lusso che le PMI non possono più concedersi. Sia perché le nuove tecnologie di information e communication offrono la possibilità di condivisione delle informazioni, di beni e servizi, pur conservando una propria singola identità.
La proposta di Unitec è quella di far funzionare l’intero distretto come se fosse un’unica “entità” composta dalle diverse imprese partecipanti, la cui gestione di determinate attività comuni però, viene affidata ad un operatore specializzato e neutrale rispetto a tutte le aziende del distretto.
Questi avrà il compito di assicurare e garantire la trasparenza per tutte le partecipanti al progetto provvedendo centralmente, alle attività di gestione condivise. Così facendo quello perseguito da ogni singola impresa non sarà più un egoistico vantaggio economico, bensì un vantaggio di tipo paretiano.
Inoltre la Unitec sostiene che tale soluzione può essere applicata con vantaggi uguali se non superiori ad altre realtà che presentano aspetti analoghi a quelli dei distretti.
Infatti nei capitoli successivi si farà riferimento all’applicazione di tale modello ad un distretto sanitario.

Nota 8: Information Communication Technologies.
Nota 9: Il rapporto Fair è un rapporto sull’IT che ogni anno un consorzio di ricercatori stila per l’Unione Europea.
Nota 10: Per esempio, nel Sud d’Italia l’area di Napoli nel campo d’Internet business.
Nota 11: Basti pensare al JIT.
Nota 12: Fabio Ulgiati 2001, Evoluzione dei rapporti di Business to Business tra piccole e medie imprese,Università la Sapienza, Roma.

3.1.2. LA CATENA DEL VALORE

Il modello della catena del valore disaggrega l’impresa nelle sue attività principali, allo scopo di comprendere se e in quale misura esse concorrono a determinare dei vantaggi competitivi.
Il termine “catena” fa riferimento ad una serie di attività tra loro legate da interdipendenze sequenziali (cioè da rapporti di input-output, come gli anelli di una catena), ma tecnologicamente distinte.
Il termine “valore” fa invece riferimento al valore creato a favore dei clienti, che a sua volta determina la posizione competitiva dell’impresa. La catena del valore visualizza il valore totale creato dall’impresa distinguendone due elementi:

  • le attività generatrici del valore;
  • il margine di profitto.

Il margine di profitto è dato dalla differenza tra il valore totale e il costo complessivo per svolgere le attività generatrici di valore. Il valore creato deriva dalla capacità del prodotto (bene o servizio) di attivare un ulteriore processo di creazione del valore al livello della catena del valore dell’acquirente: sia sgravandolo da compiti che questi non intende svolgere direttamente, per potersi invece concentrare sulle attività dove possiede un vantaggio comparato; sia “mobilitando” il cliente, cioè aiutandolo a fare cose che prima non avrebbe potuto fare o a farle meglio.
La creazione di valore implica dunque uno spostamento di attenzione dal prodotto al cliente: l’impresa considera se stessa un sistema di supporto, cioè un’entità che opera in quanto capace di aiutare i clienti a creare valore e successo per se stessi e per i propri clienti.
Dal punto di vista del cliente, quanto appena detto significa che sono le offerte e non le imprese a competere sul mercato, perché sono le offerte e non le imprese ad entrare nel suo processo di creazione del valore.
Le attività generatrici del valore si possono suddividere13 in attività primarie ed attività di supporto.
Sono attività primarie in un’impresa manifatturiera (produzione di beni):

  1. approvvigionamento e gestione magazzini di input14;
    comprende – oltre alle attività di rifornimento di input (materie, parti, componenti) – la gestione e il controllo dei magazzini e la programmazione dei trasporti;
  2. produzione;
    comprende le lavorazioni in officina, i processi di assemblaggio, la manutenzione dei macchinari, la gestione degli impianti e le attività di logistica interna;
  3. distribuzione fisica;
    comprende il magazzinaggio dei prodotti finiti, la gestione dei vettori di consegna, l’elaborazione degli ordini, la programmazione delle spedizioni; /li>
  4. marketing e vendite;
    comprende la gestione della forza di vendita, il controllo dei canali distributivi, la gestione del marketing mix;
  5. servizi accessori alla clientela;
    si tratta di attività di fornitura di servizi atte a migliorare o a mantenere il valore del prodotto: installazioni, riparazioni, addestramento, fornitura di ricambi e accessori.

Sono attività di supporto quelle attività che non contribuiscono direttamente alla creazione del valore, ma che sono comunque necessarie al funzionamento complessivo dell’impresa e all’efficace svolgimento delle attività primarie:

  • attività infrastrutturali;
    comprendono molteplici attività quali la direzione generale, la pianificazione e controllo, l’amministrazione, la finanza, le pubbliche relazioni, e tutti i servizi generali.
  • R&S – ricerca e sviluppo;
    comprende tutte le attività di sviluppo del patrimonio tecnologicoaziendale.
  • gestione delle risorse umane;
    comprende attività come il reclutamento e la selezione del personale, l’addestramento e la formazione, la definizione delle politiche retributive e dei programmi di carriera e sviluppo, le relazioni industriali.

Se un impresa gode di una redditività durevolmente superiore a quella dei concorrenti ciò significa che i costi che essa sostiene per il complesso delle attività di valore gestite incidono sui ricavi in misura strutturalmente inferiore a quanto accade per la concorrenza. Ciò può verificarsi per due ragioni diverse:

  1. minori costi a parità di prezzi: ovvero vantaggio di costo;
  2. minori prezzi a parità di costi: ovvero vantaggio di differenziazione.

La configurazione della catena del valore diventa pertanto il modello di riferimento per il governo dell’ASA stessa, utile sia per definire gli interventi da apportare all’assetto in essere dell’ASA che per monitorare il differenziale competitivo rispetto ai concorrenti. Si identificano alcuni principi utili a orientare la ricerca di una configurazione della catena del valore coerente con la posizione di vantaggio competitivo ambita. È opportuno analizzare ogni attività sotto due profili:

  1. sotto il profilo della rilevanza strategica: si tratta di esaminare l’importanza che ogni attività presenta rispetto al vantaggio competitivo perseguito in modo da distinguere tra quelle maggiormente critiche e quelle che svolgono un ruolo soltanto accessorio.
  2. Sotto il profilo della competenza interna: si tratta di identificare il livello di capacità, sia attuale che potenziale, con cui un’impresa è in grado di gestire ogni attività.

A tale riguardo, alcuni elementi particolarmente importanti da prendere in considerazione sono : l’esperienza acquisita, la dinamica tecnologica e competitiva. Inoltre bisogna tener conto che ogni attività è interessata da un diverso grado di turbolenza in relazione alla dinamica delle forze competitive che la coinvolgono: sviluppi tecnologici, evoluzioni normative, sommovimenti concorrenziali. Quanto più elevata è l’esperienza accumulata dall’impresa e quanto meno essa è messa in discussione dalla dinamica tecnologica e competitiva, tanto più solida può essere considerata la competenza dell’impresa in una determinata attività e tanto più essa avrà l’opportunità o l’interesse di presidiarla direttamente. La considerazione congiunta dei due profili esaminati, rilevanza strategica e competenza interna, consente così di identificare alcuni principi utili a orientare la configurazione della catena del valore. I principi che orientano la catena del valore sono i seguenti:

  1. Le attività rilevanti dal punto di vista strategico e per le quali l’impresa dispone di una elevata competenza interna sono destinate a rappresentare il nucleo fondamentale della catena del valore dell’impresa in una determinata ASA.
  2. Le attività nelle quali l’impresa dispone di una elevata competenza interna, ma che non rappresentano rilevanza dal punto di vista strategico, costituiscono invece l’unico caso appropriato per tentare le strade descritte. Più in particolare due sono gli indirizzi fondamentali di cui possono formare oggetto: lo sfruttamento e la trasformazione in ASA;
  3. Le attività rilevanti dal punto di vista competitivo e per le quali l’azienda presenta una debole competenza interna costituiscono un problema assai delicato: la loro criticità spingerebbe l’impresa ad appropriarsene direttamente, al fine di averne un presidio sufficientemente sicuro; d’altra parte la scarsa affinità che esse presentano con il know how e le competenze distintive dell’impresa rendono altamente probabile che gli sforzi per appropriarsene finiscano per essere un investimento senza ritorno. In tale situazione, due sono i percorsi maestri per uscire dall’impasse: l’acquisizione e la pertnership. Nell’impossibilità di svilupparla direttamente, l’impresa può acquisire la competenza che le necessita da terzi che la posseggono. Un’alternativa alla acquisizione delle competenze consiste nello stabilire stabili rapporti di pertnership, cioè accordi di collaborazione strutturali e di lungo periodo, con partners dotati delle competenza ricercate. Tali alleanze possono assumere diverse forme, dall’assunzione di una partecipazione di minoranza alla costituzione di una joint-venture, alla stipulazione di contratti commerciali pluriennali.
  4. Per le attività, che oltre non avere rilevanza strategica, si presentano anche meno affini alle competenze dell’impresa è evidente l’opportunità di non disporre di strutture interne ad esse dedicate, ma di lasciarle ad imprese terze. Rispetto all’alternativa tra make or buy, esse rappresentano il caso opposto alle attività trattate nel punto 1: per quelle la scelta conseguente è la gestione diretta(make); per queste l’acquisto dall’esterno(buy). Due pertanto sono gli indirizzi principali di governo di tali attività: disinvestimento e politiche di acquisto. La turbolenza impone all’impresa di focalizzare le sue energie sulle attività più importanti, evitando di disperderle in troppe direzioni.

La catena del valore può essere costruita anche con riferimento ad imprese non manifatturiere (come le imprese di servizi), con qualche opportuno aggiustamento nelle categorie sopra presentate. Vale il seguente principio fondamentale: dovrebbero essere isolate e separate le attività che hanno logiche economiche diverse, che possiedono un alto impatto, anche potenziale, sulla differenziazione, oppure che rappresentano una porzione di costo crescente e significativa.

Nota 13: Modello di Porter.
Nota 14: Quella che Porter definisce “logistica in entrata”.
Nota 15: Quella che Porter definisce “gestione delle scorte e dei trasporti.
Nota 16: Quella che Porter definisce “logistica in uscita”.

3.1.3. TLA RETE DISTRETTUALE, GLI ACQUISTI, LA LOGISTICA

Le discipline che hanno operato sul tema delle reti sono numerose: economia, ingegneria, informatica, ricerca operativa, scienze dell’organizzazione. Il termine reti allude infatti a concetti ed applicazioni diversissime: reti telematiche, reti di processi, reti di relazioni, reti di conoscenze, reti di imprese, reti di impresa e territori, e a molto altro. Il termine è insomma adoperato in modo specifico per indicare ogni sorta di connessione.
Il problema è che molte di queste sono connessioni parallele, si incrociano e si intrecciano nel funzionamento dei sistemi sociali ed economici. Molte diatribe tra scuole diverse sono state determinate dalla sottolineatura dell’uno o dell’altro aspetto, più che da diversi impianti teorici.
Tralasciando di entrare nello specifico di tali correnti teoriche, la condizione essenziale per la costituzione e sopravvivenza di una rete distrettuale è l’esistenza di una strategia condivisa e perseguita dai membri della rete.
Una comune strategia comporta una riduzione dei costi complessivi attraverso il raggiungimento di economie conseguibili tramite la centralizzazione dei fabbisogni dei diversi clienti e settori industriali.
Si tratta dunque della possibilità di ottenere risparmi sia dall’ottimizzazione dei processi aziendali sia sul puro prezzo d’acquisto.
Qualunque forma di condivisione richiede però, il passaggio di alcuni poteri (decisionali ed economici) dalle singole imprese ad un’autorità governativa dell’intero gruppo. Per progettare e gestire una “rete distrettuale” è necessario che si realizzino due condizioni:

  • a) che esista una agenzia strategica che si faccia carico di concepire e realizzare questo progetto. A seconda delle condizioni questa agenzia può essere un “comitato di governo privato-pubblico17” , un gruppo imprenditoriale di riferimento18, una media “impresa distrettuale” (Varaldo), una grande impresa o altro.
  • b) Che la rete si metta in condizione di:
    • controllare la “rete del valore “;
    • gestire i processi di rete;
    • generare e sviluppare sia unità organizzative interne che operano come “quasi imprese”, sia imprese economicamente autosufficienti (“nodi vitali”);
    • configurare, selezionare e tenere attive le connessioni multiple tra unità organizzative interne e imprese esterne (“connessioni di rete”);
    • sviluppare insieme: una struttura gerarchica, un mercato, un sistema informativo, un sistema logistico, un sistema di comunicazione, una cultura, un sistema politico (“strutture composite e coesistenti”);
    • sviluppare un sistema di governo.

È da evidenziare che all’interno del distretto, tali agenzie avviano progetti di cambiamento del sistema produttivo e sociale di un territorio che hanno per oggetto strutture organizzative di concezione nuova.
Per la costituzione di una rete distrettuale vi sono quattro tesi:

  • a) non esiste la necessità di alcun meccanismo di governance;
    b)b) vi è una impresa guida;
  • c) vi è una impresa distrettuale;
  • d) esiste una varietà di forme di governance, alcune più efficaci altre meno a secondo dei territori e dei processi produttivi.

Delle ipotesi indicate non esiste una soluzione migliore in assoluto, in quanto sarà la ricerca sul distretto che darà una risposta a questo quesito.
Un’ulteriore alternativa, che sembra dimostrarsi valida, è rappresentata dalla possibilità di affidare la governance logistica ad un operatore specializzato esterno al distretto, quindi di ricorrere all’outsourcing.
Infatti attualmente sul mercato sono presenti alcuni validi outsourcer specializzati in grado di poter attuare e gestire una rete distrettuale riuscendo a conseguire ottimi risultati avvalendosi delle più evolute tecnologie informatiche.
Affrontando il tema delle reti distrettuali non bisogna dimenticare che il principale gap tra grandi e piccole imprese è rappresentato dall’impossibilità delle seconde di ottenere economie di scala.
Quindi il ricorso ad un’aggregazione in una rete industriale da parte delle PMI consente loro sia di colmare tale gap, sia di poter utilizzare tecnologie di cui non avrebbero potuto usufruire operando singolarmente.
D’altra parte l’interesse sempre più crescente verso le applicazioni informatiche sembrano spingere l’orientamento delle PMI verso tale soluzione, basti pensare al fatto che i processi aziendali hanno sempre più luogo sulla rete di telecomunicazione e in particolare sul WEB19.
Inoltre la logistica e le nuove tecnologie di rete, costituiscono delle vere e proprie infrastrutture strategiche tramite le quali, soprattutto le PMI, possono ridisegnare la propria organizzazione WEBproduttiva20.
Il flusso dei beni tra i diversi luoghi di produzione necessita di nuovi strumenti atti a ridurre le barriere operative che tradizionalmente hanno rappresentato un limite allo sviluppo delle attività economiche delle PMI su scala globale. La nuova concezione della logistica, grazie alle nuove tecnologie, permette alle imprese di poter intraprendere politiche integrative precedentemente impensabili.
L’organizzazione logistica assume una strategia competitiva soprattutto per tutte quelle piccole e medie imprese e dei sistemi produttivi locali (distretti).
Però per le imprese di minori dimensioni in cui vi è mancanza di mezzi, infrastrutture, risorse e tecnologie atte a garantire il perseguimento di tali strategie a bassi costi, l’evoluzione della logistica rischia di tradursi in una minaccia piuttosto che in un’opportunità.
Questo soprattutto per le difficoltà insite nella condivisione di risorse tra più aziende ed in modo particolare all’interno di quei distretti definibili come concorrenziali, ossia dove tra le imprese stesse risulta particolarmente difficoltoso, organizzare un “gioco di squadra21”.
Al fine della costituzione di una rete distrettuale, un ulteriore elemento di analisi da non sottovalutare è quello giocato dal “nuovo ruolo degli acquisti”.
L’estensione dei processi all’esterno dell’impresa con il conseguente coinvolgimento dei fornitori all’interno della struttura del business, la ridefinizione della supply chain con il trasferimento ai fornitori di maggiori responsabilità e rischi, la necessità di impiegare standard commerciali, i nuovi modelli di fornitura possibili con l’e-business, modificano in modo sostanziale sia il modo di operare che il ruolo aziendale degli acquisti.
La responsabilità della gestione della quota più alta dei costi e di un parco fornitori che, di fatto, condiziona il risultato tecnico ed operativo dell’azienda, configura la “Funzione Acquisti” come una delle leve del business dell’impresa.
In questo scenario cambiato, la “Funzione Acquisti” deve affrontare l’evoluzione del suo ruolo, da esecutrice operativa delle indicazioni dell’utenza, a compartecipe del raggiungimento dei risultati generali d’azienda, attraverso la realizzazione e gestione della supply chain, la ridefinizione dei processi di fornitura, la realizzazione di politiche per le alleanze, lo sviluppo di capacità di market intelligence, lo sviluppo di strategie coerenti con gli obiettivi di business aziendali.
Domanda interna, mercato dell’offerta, processi e struttura operativa del sistema degli approvvigionamenti sono le leve sulle quali il management può agire per mantenere il controllo della spesa e dei costi interni indotti dagli approvvigionamenti. Il raggiungimento dell’obiettivo economico complessivo non è assicurato solo dalla governabilità di queste leve, ma dipende anche dalla reale capacità di utilizzarle.
Per adeguare la funzione ai nuovi compiti è necessario, per ogni azienda, seguire un percorso che, individuati i punti di forza e di debolezza del sistema attuale, definisca le azioni da compiere secondo un piano adeguato alle caratteristiche della realtà specifica, in termini di tipologia e di modalità di attuazione. Risultati ottenuti con interventi parziali o avviati unicamente sulla base di esigenze specifiche o settoriali non sono generalmente mantenibili nel tempo se non è stata sviluppata la capacità di governo delle leve di gestione22.

Nota 17: Come a Prato negli anni 80
Nota 18: Come a Biella (Locke)
Nota 19: È il caso degli: acquisti, comunicazioni interne all’azienda, informazioni interaziendali…
Nota 20: Fabio Ulgiati 2001, Evoluzione dei rapporti di Business to Business tra piccole e medie imprese,Università la Sapienza, Roma
Nota 21: Coro’ Giancarlo e D’Agostino Zeno, in “Dai sistemi dei trasporti alla organizzazione logistica”, Rapporto sulla logistica, Camera di Commercio di Mantova, giungo 2001
Nota 22: Da www.logicamente.it

3.1.4. LE RIDONDANZE LOGISTICHE, AMMINISTRATIVE E STRUTTURALI

Il concetto di distretto industriale è stato ampliamente affrontato da molteplici studiosi economici i quali nell’esporre i risultati delle loro analisi ne hanno sottolineato sia i limiti che i vantaggi.
Staccandosi da tali impianti teorici ed esaminando i distretti industriali alla luce delle moderne tecnologie emergono nuovi elementi di analisi.
Innanzitutto prendiamo in considerazione la concorrenza che si sviluppa fra imprese uguali, cioè imprese che lavorano lo stesso prodotto e svolgono la medesima attività.
Tale concorrenza contribuisce da una parte a conferire al sistema uno spiccato dinamismo, infatti le imprese sono stimolate a ricercare ed adottare le soluzioni produttive meno costose, impegnandosi generalmente in una modesta ma proficua attività di ricerca di nuove soluzioni innovative.
Dall’altra la dinamica concorrenziale interna al distretto porta a forme di conflittualità latente o manifesta, la quale, nonostante abbia avuto sino ad oggi un effetto positivo a livello di sistema, ha anche determinato negli imprenditori una forte avversione a tutto ciò che può avere la minima parvenza di collaborazione o di esplicita cooperazione con gli altri attori distrettuali che non siano direttamente coinvolti in forma complementare nel proprio network produttivo.
Ciò si rivela dannoso per quelle politiche, tipiche dell’attività logistica, che si basano principalmente sull’aggregazione di flussi operativi di imprese diverse, e sulle conseguenti economie di scala e di scopo ottenibili.
Non a caso, molte proposte che in passato sono state avanzate in questa direzione hanno avuto poco seguito.
Come già sottolineato, il distretto industriale esprime i propri vantaggi se al suo interno si viene a creare una rete di interrelazioni tra tutti gli attori della filiera. Tradotto in altre parole: nei distretti si potrebbero ottenere notevoli economie condividendo in modo organizzato le risorse ed informazioni disponibili.
In un distretto industriale si utilizzano le stesse tecnologie, gli stessi impianti produttivi, gli stessi ricambi, le stesse materie prime, le stesse maestranze e potenzialmente la stessa logistica.
Analizzando i costi che si generano al suo interno, vediamo che le singole imprese potenzialmente affrontano gli “stessi costi di struttura”, ma in maniera individuale.
Sommando tutti i costi di struttura delle singole aziende si ottiene un costo di area del polo industriale.
Quindi l’esistenza di una pluralità imprese genera una pluralità di costi di gestione, creando inevitabilmente all’interno del distretto dei duplicati strutturali.
Considerando che in un distretto di 50 Km di raggio esistono mediamente 400 aziende partecipanti alla stessa catena del valore, le “ridondanze” sia gestionali che strutturali generate sono enormi.
Tali sprechi fino ad ora, non potevano essere evitati.
Oggi invece, con l’ausilio delle nuove tecnologie di rete e delle nuove modalità logistiche, è possibile intervenire su queste ridondanze riducendole drasticamente e quindi evitare “sprechi” e recuperando risorse economiche, spazi e strutture ed ottenere un aumento della competitività delle singole imprese.
La soluzione ideale per ottenere tali risultati è rappresentato dall’integrazione delle singole imprese in una rete distrettuale.
Il fatto di esercitare la propria attività all’interno di una rete distrettuale favorisce senza ombra di dubbio il conseguimento di migliori livelli di efficienza delegando all'” autorità centrale23″ molti problemi gestionali.
Inoltre tale soluzione è ideale per poter innescare economie di scala. Ciò sarebbe possibile in virtù di una comune strategia incentrata a sfruttare una gestione delle attività collettive.
Un progetto di condivisione, consente quindi a dette imprese, di eliminare sprechi ed ottenere nuove risorse economiche.
La Unitec propone l’applicazione di tale strategia alla gestione dei magazzini. All’interno di ogni magazzino industriale è normalmente presente una certa quantità di materiali, utili a garantire la continuità produttiva soprattutto qualora si verifichino imprevisti o picchi di domanda.
In caso di inutilizzo però, tali scorte, devono essere dimesse senza che siano mai state utilizzate, creando così forme di spreco economico (si pensi anche ai casi connessi alla sostituzione degli impianti e/o obsolescenza dei componenti).
E allora come evitare tali sprechi di risorse interne al distretto? Molti problemi potrebbero essere risolti, magari con il passaggio delle forniture delle singole imprese ad un unico outsourcer degli approvvigionamenti il quale si farebbe promotore della citata strategia comune.
Inoltre l’outsourcer solleverebbe le imprese dai rapporti burocratici con i fornitori ottenendo un miglioramento immediato delle forniture, per tempi e qualità, ma anche di costo perché tutte le fasi di approvvigionamento “passivo” verrebbero eliminate.
Riepilogando le ridondanze che inevitabilmente si presentano all’interno di un distretto nascono dal fatto che anche se le imprese perseguono lo stesso fine (abbattimento dei costi) lo fanno agendo individualmente.
Risultati ben diversi si avrebbero perseguendo obiettivi inquadrabili in un’ottica di ottimo paretiano, cioè puntando ad un vantaggio collettivo (di distretto) e non egoistico.

Nota 23: In tal caso ci si riferisce all’aggregazione di più imprese coordinate da un soggetto superpartes.

3.2.1. DEFINIZIONE ED IMPORTANZA

Anche nel caso dell’outsourcing non è possibile fornire una definizione univoca in quanto, nel tempo, molti studiosi hanno provveduto a esprimere una propria visione di volta in volta orientata a mettere in risalto particolari aspetti.
Tuttavia il concetto generale può essere espresso in forma estremamente sintetica, descrivendo l’outsourcing come quel processo che porta alla “acquisizione da un fornitore esterno di prodotti o servizi attualmente risultanti dalla diretta attività produttiva e di gestione interna dell’azienda”.
Nei Paesi anglosassoni ed in particolare negli Stati Uniti l’outsourcing ha acquisito fama in seguito alla crisi economica degli anni ottanta: alcuni giganti dell’industria automobilistica, le cui dimensioni erano divenute abnormi anche per effetto dello sviluppo di aree complementari al core-business, adottarono come soluzione fondamentale al problema del risanamento contabile proprio l’outsourcing.
Il principio era semplice: far fare agli altri ciò che fanno meglio di noi, in modo tale da ridurre i costi, migliorare la qualità dei servizi o dei prodotti intermedi di cui si ha bisogno, e liberare così le risorse necessarie per lo sviluppo di ciò che costituisce la vera attività d’impresa.
Attualmente tale pratica manageriale assume un’importanza fondamentale nel quadro delle grandi trasformazioni che si stanno verificando nell’organizzazione delle imprese e delle loro strategie soprattutto con l’avvento della New Economy.
Allora acquista sempre più importanza il saper concentrare gli sforzi aziendali sui processi che richiedono efficacia e competenze distintive/differenzianti, delegando a terzi “l’efficientamento” degli altri processi e il loro continuo riallineamento alle esigenze mutevoli del proprio business.
Ciò consente anche di riallineare la propria organizzazione su configurazioni a breakeven molto più basso, rischiando molto meno nei momenti di crisi del proprio settore di mercato.
Questo obiettivo va perseguito sistematicamente e con determinazione, per ottenere la massima variabilizzazione dei costi prima fissi.
Tali processi24 nel momento in cui vengono esternalizzati, devono garantire la capacità di continuo aumento della loro efficienza, ma anche quella di un continuo adeguamento alle mutevoli esigenze operative dei nostri processi di business (volumi, mix , tipo di performance).
L’outsourcing trasforma di fatto un’attività marginale, svolta in modo poco efficiente nell’ambito di un’impresa, nell’attività principale (core business) di un’altra.
Spesso delegare a fornitori esterni la gestione di tali attività costituisce l’unica via praticabile per raggiungere l’obbiettivo e concentrarsi sul core business.
Le figure implicate nell’outsourcing sono essenzialmente tre: oltre all’impresa che esternalizza la propria attività, ritroviamo il provider (o vendor o outsourcer) e le imprese alle quali il provider si rivolge.
La figura centrale è senz’altro il provider, cioè quell’impresa che s’impegna a fornire i beni ed i servizi richiesti, nei tempi desiderati all’impresa che ha esternalizzato l’attività.

Nota 24: Si fa riferimento a quelli di supporto alle attività di business vero e proprio.

3.2.2. I VANTAGGI E GLI OSTACOLI

Un numero sempre maggiore di imprese si sta oggi muovendo verso l’adozione dello strumento dell’outsourcing.
Le conseguenze positive nel lungo e nel breve periodo ad oggi riconosciuti e riscontrati sono piuttosto importanti.
Innanzitutto, le risorse dell’impresa possono essere concentrate in quelle attività che rappresentano il business principale dell’impresa, evitando di dover investire in attività secondarie che oltretutto, per raggiungere livelli di competitività assoluta, necessiterebbero di investimenti ingenti, comunque non giustificabili da risultati proporzionalmente adeguati.
Inoltre si otterrebbe la flessibilizzazione di costi che normalmente sono fissi: lasciando gestire le forniture ad un provider si potrà acquistare solo quello di cui si ha bisogno e nel momento in cui se ne ha veramente bisogno.
In particolare si pensi di quanto potrebbe essere ridotto il capitale immobilizzato, a volte anche per lunghi periodi di tempo, in materie prime e semilavorati se si adottasse una politica di outsourcing delle forniture.
Esternalizzando le attività secondarie al core business, le strutture interne, operative e gestionali, diventano più snelle; non si tratta solo di ridurre i costi (ad esempio dell’amministrazione e dei processi di controllo), ma anche di rendere la struttura più pronta e flessibile al mutare delle esigenze di mercato.
Conseguenze positive non certo secondarie, ricadono poi sul personale che ne viene valorizzato: non più impegnato in lavori di routine, può concentrarsi maggiormente sugli aspetti focali della sua attività, migliorando ragionevolmente la professionalità; l’impresa può accedere a tecnologie altrimenti precluse, ottenendo informazioni preziose; il provider può partecipare alla definizione dei bisogni e delle esigenze dell’impresa: grazie alla modularità dell’outsourcing, e, a seconda dei contratti stipulati, è possibile estendere le aree aziendali di intervento, cambiare il tipo di servizio offerto, oppure parallelamente ridurlo, al cambiare delle esigenze dell’impresa. La qualità dei servizi offerti e dei prodotti forniti tende a migliorare perché il provider tende a inserire nel “paniere” dei fornitori al quale si rivolge, solo quelle imprese che assicurano standard qualitativi elevati: anche per questo è importante fare riferimento ad un vendor di consolidata esperienza e professionalità.
A dimostrazione di quanto detto, viene riportata un’indagine svolta dalla Outsourcing Europe su un campione di imprese di tutto il mondo che si affidano all’outsourcing. Si rileva, tra l’altro, che:

  1. l’87% dichiara che il BPO (Business Process Outsourcing) permette loro di concentrarsi al meglio sulle competenze a maggior valore aggiunto (core business);
  2. il 76% dichiara di aver riscontrato, grazie al BPO, un incremento considerevole di efficienza senza avere alcuna necessità di investire ulteriormente in personale e tecnologia;
  3. per il 66% delle imprese intervistate, l’adozione di politiche BPO ha aiutato in maniera rilevante la loro impresa ad aumentare la sua capacità di produrre profitto, con riflessi positivi sul valore delle azioni. Qui di seguito viene riportata una tabella contenente un riassunto piuttosto indicativo sui benefici riscontrati su base globale dalle imprese mondiali intervistate.

grafico41

Tabella n. 3.1 – I benefici dell’outsourcing rilevati su un campione di imprese internazionali [Outsourcing Europe, 2000].

Affinché l’outsourcing si sviluppi come tecnica di gestione aziendale è necessario che siano soddisfatte, fra l’altro, due condizioni: la prima ha carattere oggettivo e consiste nella presenza sul mercato di operatori sufficientemente professionali e specializzati, che garantiscano un efficiente espletamento della funzione da esternalizzare; la seconda ha invece natura più soggettiva e riguarda il superamento da parte del management societario di varie remore psicologiche, in particolare il timore di un “autoridimensionamento” professionale.
Di questi due punti il maggior ostacolo all’implementazione dell’outsourcing è rappresentato dalle resistenze di ogni genere che si incontrano a tutti i livelli della struttura gerarchica aziendale oltre che sindacale.
Solamente a livello di top management si è ormai diffusa la consapevolezza del fatto che un’impresa agile e snella, la quale abbia il meno possibile di struttura fissa ed acquisti all’esterno i servizi “generali” sia il modello vincente nei mercati attuali e che solo delegando tutte le funzioni ausiliarie a fornitori specializzati diviene possibile concentrarsi sulle attività per le quali si possiede un’effettiva competenza ed un vantaggio competitivo.
A testimonianza di questa circostanza può essere riportata una recente ricerca del Benchmarking Club di Business International, secondo la quale nel 93% dei casi è il top management a definire le politiche di outsourcing anche quando questo tipo di decisione non riguardi aspetti strategici.
Molto di rado accade che sia un dirigente di funzione ad assumersi tale responsabilità: ricorrendo all’outsourcing infatti, questi correrebbe il rischio di trovarsi con minor potere all’interno dell’azienda.
Viceversa i top manager propendono più che in passato per il ricorso all’outsourcing, in quanto ritengono che ciò possa portare ad una riduzione dei costi (in particolare di quelli fissi) e ad una maggiore flessibilità dell’impresa.
La situazione di “scollamento”, spesso riscontrabile tra i top manager ed i manager di funzione o di dipartimento, fa sì che i fornitori di servizi tendano oggi a rivolgersi sempre più ai primi piuttosto che ai secondi.
L’esperienza pratica mostra inoltre come spesso i responsabili di funzione tendano ad ostacolare il corretto svolgimento del rapporto cliente-provider, specie nella fase sperimentale tendente ad affinare la collaborazione tra provider e personale interno dell’azienda-cliente, il quale deve necessariamente collaborare all’espletamento della funzione da delegare.
In realtà le soluzioni attualmente offerte dal mercato non comportano necessariamente la totale perdita del controllo: innanzitutto perché nelle forme per così dire “base” di outsourcing, il controllo sulle attività delegate può rimanere al cliente del vendor; in secondo luogo perché terziarizzare un’attività non significa affatto acquistare un servizio o un prodotto a scatola chiusa: vi sono, infatti, accordi ben precisi che legano le imprese e gli outsourcer; infine perché i vantaggi ottenibili sono ampiamente premianti. Una volta che si sia accettata l’idea di esternalizzare la maggior parte delle funzioni aziendali, la difficoltà diventa, come sempre, l’esecuzione.
Nelle aziende si riscontrano sempre forti resistenze nel momento in cui si deve diminuire la dimensione complessiva delle proprie attività; esse sono restie a privarsi della gestione diretta di alcuni servizi, quando non possano contestualmente acquisirne la gestione di altri.
La diffusione dell’outsourcing viene dunque ostacolata dalla preoccupazione comune a molti responsabili di perdere il controllo di una parte del sistema aziendale. Non bisogna infatti dimenticare che l’outsourcing non solo riguarda esclusivamente attività non direttamente legate alla missione aziendale, ma è anche destinato a fallire nel raggiungimento dei propri obiettivi, ove venga adottato come soluzione finalizzata esclusivamente alla riduzione dei costi aziendali e dunque quando la sua implementazione non sia direttamente mirata ad una maggiore focalizzazione dell’impresa verso il proprio core-business.
In altre parole e come dimostrano i successi e gli insuccessi conseguiti nelle diverse implementazioni dell’outsourcing, esso è destinato a produrre successi solo se ben inserito in un piano strategico aziendale, del quale costituisca sicuramente parte fondamentale, ma allo stesso tempo subordinata al raggiungimento di obiettivi di crescita dimensionale o quanto meno di aumento di produttività nelle attività proprie dell’azienda.
La soluzione delle difficoltà citate deve consistere, in primo luogo, nel mettere in moto un meccanismo di riallocazione pressoché simultanea (operazione dipendente esclusivamente dalle capacità del top management interno) e, in secondo luogo, nella capacità di introdurre l’outsourcing in modo graduale, così da non aumentare le difficoltà che inevitabilmente comporta l’impatto di questa decisione all’interno dell’azienda (questo tipo di operazione dipende invece dalla flessibilità e professionalità del provider).
Per concludere va sicuramente detto che l’Italia si presenta come la “cenerentola” della terziarizzazione, se confrontata con il resto dei principali paesi europei. Le ragioni di ciò risiedono nella grande rilevanza che hanno le medio piccole imprese manifatturiere all’interno del mercato italiano e nel forte scetticismo dei loro imprenditori verso una potenziale perdita di controllo della propria attività.
Nonostante tutte queste difficoltà, per i prossimi anni il movimento verso un ruolo più rilevante dell’outsourcing è irreversibile: le grandi imprese cercheranno di decentrare tutte le attività che possono essere prodotte all’esterno in modo più competitivo, concentrandosi invece su quelle in cui vi siano competenze distintive ben evidenti e non riproducibili altrove.
È evidente che nel corso di questo processo la grande impresa si “snellirà”, nel senso che avrà meno dipendenti in organico, mentre i compiti della direzione assumeranno sempre più funzioni di regia differenti da quelle tradizionali; ma non è affatto detto che la sua forza complessiva, in termini di network che essa “comanda”, sia destinata a diminuire.
Oggi il business dell’impresa ha nuovi confini; outsourcing, terziarizzazione, specializzazione ed internazionalizzazione sono parole d’ordine che devono essere prese seriamente in considerazione da tutte le aziende, se si vuole aumentare l’efficienza complessiva del sistema produttivo.

3.2.3. METODI PRODUTTIVI E GESTIONE DELLE SCORTE: STORIA E SVILUPPO DAGLI ANNI ’50 AD OGGI

Le evoluzioni in atto sia all’interno delle imprese, sia sui mercati sono frutto di un percorso già in atto da tempo e finiranno con l’essere solo una fase di transizione.
Per comprendere le tendenze odierne bisogna comprendere le evoluzioni passate.
L’attenzione analitica e di discussione dovrà naturalmente centrarsi sull’oggi e sulle possibili linee di tendenza, tuttavia, anche nel far questo è indispensabile avere alcuni elementi di “sfondo storico”, per operare confronti e ricavare tendenze. La nostra analisi inizia negli anni ’50 nei quali viene introdotto nei supermercati americani un metodo di riapprovigionamento delle merci completamente nuovo: dai prodotti addebitati alla cassa viene decisa l’ordinazione dei prodotti che li rimpiazzeranno.
In questo modo, sono le vendite effettive che “commissionano” direttamente gli approvvigionamenti.
Taiichi Ohno, ingegnere alla Toyota, partendo dall’osservazione della gestione degli stock realizzata nei suddetti supermercati americani sviluppò in Giapponen il Kan-Ban.
La traduzione letterale in italiano è “cartellino”, infatti gli operai non fanno altro che compilare un cartellino nel quale viene riportata la quantità ed il tipo di pezzi prelevati.
I rimpiazzi, dunque, vengono riordinati ai reparti a monte o ai fornitori esterni dopo la raccolta dei cartellini, cioè dopo che se ne manifesta la reale esigenza.
Precedentemente invece ogni cosa veniva rigidamente programmata dalla burocrazia, che definiva centralmente le scorte, cioè gli “stock” di pezzi di ogni tipo da immagazzinare.
Tutto questo però comportava la necessità di detenere quantità elevate di merci in magazzino per far fronte ad eventuali aumenti improvvisi degli ordinativi, a difetti o a variazioni della domanda dei prodotti. Si creavano così diseconomie dell’ordine dell’80 per cento rispetto al risparmio di scorte realizzato con il metodo del “cartellino”.
Negli anni ’60 in Toyota prendono corpo le prime applicazioni JIT.
E’ lo stesso Taiichi Ohno, che sulla base del Kanban sviluppa un nuovo metodo di produzione incentrato sull’eliminazione degli sprechi e dei tempi morti.
In pratica il Kanban finisce con il rappresentare il mezzo utilizzato per far circolare le informazioni in una produzione di tipo JIT. Il JIT rappresenta la nascita di una filosofia aziendale che consente di controllare:

  1. Entità delle scorte:
    il sovradimensionamento è puro spreco di materie prime e di energie (per realizzarle) e di spazi (per l’immagazzinamento )
  2. Conformità della qualità dei prodotti e componenti:
    gli scarti rappresentano uno spreco di materie prime tempo macchina, mano d’opera, energia per la trasformazione.

Alla fine degli anni ’60 tale nuovo metodo di produzione inizia ad essere adottato in USA dove viene coniato il termine JIT (just in time) con queste motivazioni :

  • Produrre i prodotti finiti appena in tempo per consegnarli.
  • Produrre i semilavorati appena in tempo per utilizzarli.
  • Acquistare i materiali all’esterno appena in tempo per trasformarli.

E’ in tale periodo che si inizia ad intendere il magazzino non solo come mero deposito merci; la gestione del magazzino inizia ad essere concepita in modo diverso iniziando a prendere coscienza dei costi che genera e dell’importanza strategica che riveste nell’organizzazione aziendale.
Nel periodo 70-73 si assiste a drammatici incrementi del prezzo delle materie prime (innescati dal cosiddetto shock petrolifero) con conseguenti gravissime ripercussioni su una industria dipendente “in toto” dalle importazioni, quale quella giapponese.
Il management giapponese capisce allora che per sopravvivere alla competizione internazionale, deve attuare una più efficiente gestione delle risorse basata sulla lotta agli sprechi e volta al miglioramento continuo. Ciò porta ad una diffusione capillare del JIT e del TQC25, con relative conseguenze:

  • capacità di produrre volumi elevati della qualità voluta a prezzi assolutamente competitivi;
  • ricerca quasi ossessiva di ridurre al minimo le scorte in magazzino puntando all’obbiettivo “scorte zero”.

In tale contesto è d’obbligo un’ottimizzazione della gestione del magazzino, si assiste così ad esempio all’introduzione di nuove tecnologie per la movimentazione della merce in entrata e in uscita (materia prima, semilavorato, o prodotto finito che sia) indipendentemente dalle caratteristiche della supply chain.
Rispetto al Giappone, in occidente invece il JIT ha stentato ad affermarsi, soprattutto perché esso non è semplicemente “pura tecnica organizzativo-gestionale”, ma una vera e propria cultura d’impresa basata per quanto possibile:

  • sul decentramento decisionale con deleghe anche al livello di singolo operatore (che accetta di buon grado ed è conscio del suo ruolo);
  • sulla necessità di predisporre l’intero sistema aziendale in una logica JIT;
  • su un modello produttivo relativamente semplice.

Ciò è in piena antitesi alla visione centralistica e deresponsabilizzante della cultura aziendale occidentale per la quale il baricentro è rappresentato non dall’individuo, ma dal sistema (spesso assai complesso).
Introdurre il JIT richiede quindi necessariamente un ampio coinvolgimento delle maestranze comportando l’accettazione di principi generali che debbono venire tradotti in fatti organizzativi non generalizzabili e tipici di ogni realtà produttiva.
Un tale approccio comporta alcune peculiarità non trascurabili:

  • Il miglioramento organizzativo è frutto dei piccoli contributi di molti e non delle grandi e costose innovazioni studiate dai pochi.
  • Il coinvolgimento sui problemi dell’azienda deve essere esteso a tutti i livelli gerarchici (e non solo ai manager).
  • L’introduzione dell’innovazione deve mutare dallo schema prettamente occidentale, che prevede tempi brevi di ideazione e tempi molto lunghi ed incerti per la realizzazione, allo schema giapponese che ha tempi medio lunghi per l’ideazione (in quanto coinvolge i molti soggetti al cambiamento) e tempi relativamente brevi, ma pressoché certi, per la realizzazione. In assenza di questa nuova mentalità l’azienda continuerà a dimostrare una bassa propensione, se non proprio una sostanziale incapacità, ad entrare nella logica fondamentale della “innovazione continua” e anzi spesso sarà portata a rifiutarla per i tempi lunghi di attuazione generati dalle resistenze passive di soggetti coinvolti e non disponibili per mancanza di un’adeguata fase preliminare di acculturamento al problema. E’ per via di tali motivi che il JIT statunitense e quello giapponese si differenziano per presupposti di fondo assolutamente diversi.

Infatti:
Il JIT USA ha una origine di natura meramente finanziaria.
Il JIT Giapponese è una vera e propria rivoluzione del concetto di gestione della produzione volta anche ad ottenere ricadute positive sul versante dell’economia aziendale.
Negli anni 70 le imprese cominciano ad affidare a fornitori esterni alcune produzioni che prima venivano effettuate in casa propria.
Avviene quella che possiamo definire la “ristrutturazione controllata”, con decentramento produttivo e primi elementi di “terziarizzazione”. In questa fase iniziano i processi di ristrutturazione tecnologico-organizzativa della grande impresa. Il numero delle medio-piccole imprese aumenta notevolmente e si iniziano ad intravedere i tratti caratteristi dei distretti industriali nord-italiani. Si arriva così agli Anni 80: anni della ristrutturazione e terziarizzazione.
Si assiste all’adozione del Just in Time per le catene di montaggio.
Inoltre i processi iniziati negli anni 70 trovano il loro pieno sviluppo: la “terziarizzazione” si afferma sia nel suo significato “macro” (prevalenza dell’occupazione nel terziario), sia in quello “micro”, di “terziarizzazione di attività” da parte delle grandi imprese (non solo industriali).
Negli anni ’90 inizia un progressivo processo di integrazione degli attori della supply chain nel quale l’impresa cerca di delegare la gestione delle scorte a terzi al fine di diminuire i costi e poter concentrarsi con maggior libertà sul proprio core business.
Tale processo possiamo così sintetizzarlo:
dagli inizi degli anni ’90, i fornitori costruiscono i propri stabilimenti nelle immediate vicinanze del cliente;
dal 1995 ai fornitori vengono assegnati degli spazi all’interno degli stabilimenti e la loro produzione confluisce direttamente negli impianti automatici di montaggio;
Nel 2000 ai fornitori viene richiesto di essere in grado di assumere il ruolo di partner attivo nella definizione e sviluppo delle strategie aziendali e contribuire al raggiungimento di obiettivi economici.

Nota 25: Total Quality Control.

3.2.4. OUTSOURCING PROCEDURALE

L’outsourcing “procedurale”, ha come obiettivo primario la flessibilizzazione dei costi di gestione delle forniture.
Dai dati in possesso di Unitec, risulta che una normale procedura di approvvigionamento richieda non meno di cinquanta/sessanta operazioni concatenate, che possono arrivare a coinvolgere fino ad una decina di enti aziendali di vari livelli, dalla direzione alle unità produttive, per un numero di persone che mediamente si aggira tra le dieci e venti unità.
I costi che gravano su procedure così strutturate possono essere facilmente immaginabili specialmente se si considera che sono indipendenti dal tipo di fornitura necessaria.
In sostanza vengono adottati procedimenti così dispendiosi – in termini di risorse aziendali – sia per beni che contribuiscono in maniera diretta al valore aggiunto prodotto dall’impresa, sia per beni che, seppur indispensabili, sono marginali rispetto al core business – si pensi ad esempio, ad una fornitura di neon o di lampadine -: in questo caso parliamo di “non-production goods”.
Di fondamentale importanza per introdurre l’outsourcing procedurale degli approvvigionamenti, risulta l’analisi del processo di approvvigionamento dell’impresa cliente, considerato fino ad entrare nei dettagli dei flussi delle microattività che lo compongono.
La schematizzazione di ogni singola procedura, e la valutazione delle risorse coinvolte, rende subito l’idea di quanto dispendioso sia approvvigionarsi. Unitec, offre il proprio servizio per analizzare i processi di fornitura, e ridisegnare i flussi delle attività collegate.
Nell’ousourcing procedurale, il controllo delle operazioni rimane all’azienda cliente.
Possiamo affermare che si tratta di un’applicazione dell’outsourcing di base, caratterizzata, appunto, dall’esternalizzazione di un’attività non strategica, il cui controllo rimane interno all’impresa.
L’effetto di maggior valore aggiunto, come detto, deriva in gran parte dalla flessibilizzazione dei costi: le prestazioni di Unitec sono fonti di costi per l’impresa solo quando sono richieste e per di più, sono facilmente monitorabili in ogni momento.
Trasferire la gestione delle forniture ad Unitec, che di tale attività ha fatto la propria specializzazione, significa ricorrere a risorse esterne per elevare le performance di quelle interne, il cui risultato finale, è quello di migliorare l’efficienza dell’impresa attraverso l’abbattimento degli sprechi ed il migliore utilizzo delle risorse26.

Nota 26: Argomento tratto da www.unitec .it

3.2.5. OUTSOURCING AMMINISTRATIVO

Partendo dalla constatazione che il numero delle procedure di un processo di approvvigionamento aumenta in modo proporzionale al numero di ordini che si rendono necessari, e dal fatto che la gestione della mole di informazioni generate necessitano di molto tempo ed impegnano parecchie risorse, Unitec si propone come outsourcer esterno, in grado di razionalizzare e gestire i processi legati alle forniture, attraverso l’outsourcing amministrativo, che corrisponde al tipo di outsourcing più esteso.
L’introduzione dello strumento dell’outsourcing amministrativo, è mirata a ridurre specificamente anche le procedure interne di amministrazione e controllo.
E’ indubbio che queste ultime, infatti, assorbano preziose risorse e mezzi che sono fortemente finalizzate per essere impiegate in altri ambiti più remunerativi: il recupero di efficienza di queste aree aziendali passa attraverso il loro snellimento.
E’ importante sottolineare come, specialmente attraverso l’outsorucing amministrativo, le imprese possano ottenere dal provider prezzi unitari molto concorrenziali, perché, per quest’ultimo, diventa possibile operare coordinando l’insieme degli ordini di tutti i suoi clienti verso i fornitori, i quali, in virtù della gran mole di acquisti, concedono prezzi ribassati.
Tuttavia, si è già visto come uno dei motivi di maggior ostacolo all’implementazione di un outsourcing più esteso, sia il timore di perdere il controllo della situazione per quanto riguarda le attività esternalizzate; allo stesso modo si era detto che questa difficoltà andava superata, analizzando i vantaggi economici derivanti, considerando la possibilità di controllo indiretto della gestione delle attività in outsourcing che avviene attraverso la definizione dei ruoli e gli ambiti di competenza, e soprattutto, la garanzia che, attraverso la modularità dell’outsourcing, esiste sempre la possibilità di estenderne o eventualmente ridurne il raggio d’azione.
Unitec, per l’outsourcing amministrativo, ma anche per l’outsourcing procedurale, ha sviluppato una sua applicazione modulare facilmente introducibile nelle strutture aziendali esistenti, configurata sulle esigenze aziendali, che consente il raggiungimento di risultati riscontrabili immediatamente, e per ogni modulo applicato.
I moduli predisposti da Unitec sono tre, e concepiti per essere applicati in ordine sequenziale.
Con l’applicazione del primo modulo si trasferisce ad Unitec la gestione delle semplici evasioni delle richieste di approvvigionamento senza che la proprietà delle merci venga trasferita; con il secondo modulo, al servizio di evasione delle richieste di approvvigionamento, si aggiunge quello relativo alla gestione della logistica e delle attività amministrative, il che presuppone il trasferimento della proprietà delle merci; il terzo modulo applicativo, estende l’outsourcing alla gestione del magazzino e alla banca dati degli articoli.
Le attività sono trasferibili da subito ed i risultati sono subito quantificabili.
Le possibili estensioni dei moduli possono riguardare alcuni servizi, come il reporting, che permette, oltre ad una consultazione precisa dei risultati registrati, l’analisi delle interferenze interne ed esterne ed il suggerimento delle relative possibili soluzioni studiate per ridurle; inoltre sono possibili servizi di ricerca internazionale di fornitori alternativi, di aggiornamento sui listini dei prezzi.
Unitec si rende disponibile all’invio di parte del proprio personale presso l’impresa cliente, per una gestione più mirata delle operazioni.
Come si dirà meglio in seguito, Unitec si propone anche come fornitore di software applicativi interni, creati su misura delle esigenze riscontrate.
Attraverso l’attuazione completa dell’outsourcing amministrativo si riducono radicalmente le attività interne dell’amministrazione e del controllo: il cliente deve solo interfacciarsi con Unitec comunicando la quantità ed il tipo di merce desiderata insieme al termine di consegna e ricevere la merce richiesta con un’unica fattura ed un’unica bolla di accompagnamento attraverso un’unica consegna periodica (giornaliera, settimanale, mensile a seconda delle esigenze 27).

Nota 27: Argomento tratto da www.unitec .it

3.2.6. OUSTOURCING: LA SOLUZIONE DI UNITEC

La Unitec ha sviluppato il proprio business dedicando particolare attenzione all’aspetto di un’introduzione modulare dell’outsourcing, che permetta un approccio graduale ed un ritorno economico immediato ad ogni passo effettuato nella direzione di un outsourcing completo.
L’introduzione modulare si fonda su una serie di proposte e possibilità applicative, basate su di un modello adattabile alle dimensioni ed alle necessità aziendali e soprattutto orientato a rendere il meno traumatica possibile l’introduzione dell’outsourcing nella struttura aziendale per mezzo di formule intermedie di outsourcing “parziale”.
Un aspetto di fondamentale rilievo a proposito dell’introduzione modulare dell’outsourcing riguarda la necessità di costituire un team di lavoro o task force, composto da rappresentanti dell’impresa cliente e rappresentanti del provider.
Tale team verrà presieduto da un coordinatore che può essere indicato con il nome outsourcer.
Il team in questione, oltre ad avere il compito di monitorare costantemente l’impatto sulla struttura aziendale dell’introduzione modulare dell’outsourcing nelle sue varie fasi, dovrebbe fornire una garanzia di reversibilità della strada intrapresa; esso in altre parole dovrebbe rassicurare il cliente sull’effettiva possibilità di interruzione in qualsiasi momento del rapporto instaurato e di ritorno ad una gestione autonoma degli approvvigionamenti, rendendo così meno difficoltosa la decisione di ricorrere ad un partner esterno.
Un altro aspetto di fondamentale importanza nell’ambito dell’introduzione modulare è costituito dalla necessità di una dettagliata analisi del processo di approvvigionamento del cliente. Solo una tale analisi preventiva potrà garantire un’accurata selezione dei sottoprocessi o moduli dai quali iniziare l’attività di delega e potrà, inoltre, consentire di evitare rischi di incongruenze o contrasti di competenza nelle varie fasi di introduzione.
Va aggiunto come l’analisi delle procedure e la loro valutazione costituiscano un’occasione per evidenziare l’entità delle risorse aziendali assorbite dalle attività di approvvigionamento e possano, dunque, conferire, ove necessario, maggiore autorevolezza alla decisione di delegare.
L’introduzione modulare dell’outsourcing è parte integrante del servizio offerto dalla Unitec e consiste essenzialmente nella possibilità della sua introduzione in una maniera configurabile sulla base delle attività che si ritiene opportuno delegare in fasi successive.
All’aumentare delle dimensioni d’impresa aumentano in maniera più che proporzionale i vantaggi connessi a soluzioni di outsourcing. Al contempo cresce tuttavia la complessità nel trasferimento all’esterno di fasi gestionali ed il numero di fattori da tenere in considerazione.
L’introduzione di un nuovo concetto quale l’outsourcing degli approvvigionamenti, pur potendo apportare notevoli vantaggi all’efficienza complessiva della gestione aziendale, può fallire completamente il raggiungimento dei propri obiettivi qualora vengano sottovalutate le difficoltà connesse alla sua introduzione o si proceda a quest’ultima in maniera eccessivamente traumatica e non graduale.
Pur tenendo conto delle particolarità connesse inevitabilmente a ciascuna differente situazione ed a ciascun cliente, la Unitec ha formulato una procedura di introduzione graduale del proprio servizio, che si fondi su passi predefiniti e che comporti vantaggi quantificabili al raggiungimento di ciascuno di essi. Le caratteristiche principali di questa procedura modulare sono le seguenti:

  • risultati immediati in termini di “flessibilizzazione dei costi”;
  • replicabilità del metodo per diversi impianti produttivi appartenenti allo stesso cliente;
  • reversibilità delle fasi portate a termine;
  • limitazione del rischio di insourcing.

E’ stata predisposta dunque una scaletta standard composta da tre moduli principali, che devono susseguirsi in ordine temporale in modo tale da rendere le attività immediatamente trasferibili.
Va ricordato, peraltro, che ciascuno di questi moduli può essere ampliato aggiungendovi singole attività, onde consentire un migliore adattamento ai processi aziendali “di partenza” presenti presso il cliente.
In conclusione, l’introduzione e l’applicazione dell’outsourcing amministrativo e degli approvvigionamenti ha permesso al management di risolvere definitivamente i paradossi decisionali che abbiamo citato all’inizio e di ottenere costi realmente flessibili, recuperando anche la preziosa risorsa tempo, componente fondamentale per dedicarsi sempre più efficacemente alle attività strategiche e primarie dell’azienda.
Con il recupero degli spazi di tempo in tutte le aree dello stabilimento, è immediatamente aumentato il grado di efficienza interno, permettendo una migliore visibilità delle risorse e iniziando una spirale positiva di sinergie.
La consapevolezza dell’importanza di questo risultato ha fatto comprendere che se tutti i collaboratori sono concentrati sul core business l’azienda può fare miracoli28.

Nota 28: Argomento tratto da www.unitec .it

3.2.7. LE OPPORTUNITÀ PER LA GESTIONE DEL MAGAZZINO

Tra le funzioni o aree delegabili in outsourcing rientrano: i sistemi informativi, l’ufficio legale, le risorse umane, la formazione e consulenza, la revisione interna, ma soprattutto la logistica ed il magazzino.
L’outsourcing di magazzino e della logistica, aree che rivestono un ruolo essenziale all’interno della new economy, conviene essenzialmente per due motivi:

  1. La trasformazione dei costi da fissi a variabili;
  2. La contemporanea riduzione delle scorte e l’aumento della disponibilità di merci; in particolare nell’ambito dei distretti industriali o delle filiere quando le merci possono essere considerate simili o sostituibili.

L’analisi dei presupposti per il ricorso all’outsourcing degli approvvigionamenti deve tenere in considerazione alcuni aspetti fondamentali, e cioè:

  1. la riduzione del numero dei fornitori;
  2. la tendenza a sostituire le scorte di magazzino con informazioni più precise sulle future necessità produttive;
  3. la distinzione tra materiali per i quali conviene ricorrere a politiche di local sourcing e materiali invece per i quali il ricorso al global sourcing, ossia la ricerca del fornitore sui mercati mondiali, sembra preferibile.

Nel ricorso all’esternalizzazione delle funzioni interne è altresì necessario che l’azienda valuti attentamente i seguenti fattori che contribuiscono a delineare le caratteristiche ottimali del provider da selezionare:

  1. la capacità di fornire un servizio qualitativamente accettabile;
  2. il prezzo;
  3. le referenze e la reputazione;
  4. la flessibilità sotto l’aspetto delle condizioni contrattuali;
  5. l’ampiezza del ventaglio dei servizi offerti;
  6. l’adattabilità alla cultura aziendale del cliente, eventuali precedenti collaborazioni e l’ubicazione.

In termini di analisi strategica, l’elemento più favorevole, finalizzato ad ottenere un risultato positivo, risiede nel fatto che le organizzazioni vedano l’outsourcing di magazzino, e l’outsourcing in generale, come uno strumento di cambiamento organizzativo.
Sicuramente, la più importante tra le ragioni di carattere tattico che inducono a ricorrere all’outsourcing di magazzino è legata alla necessità di ridurre o tenere sotto controllo la crescita dei costi fissi aziendali o, più in generale, dei costi operativi.
L’outsourcing di magazzino e della logistica rientrano nei servizi rivolti all’outsourcing di singole funzioni aziendali o parti di esse.
Va aggiunta, infine, un’ulteriore distinzione tra outsourcing “puro” a terzi fornitori ed altre forme, per così dire, spurie o modalità alternative, quali l’outsourcing in joint-venture con terzi o lo scorporo di attività interne e la creazione di aziende controllate.

3.2.8. LA VARIABILIZZAZIONE DEI COSTI

Le imprese già presenti sul mercato sono minacciate, oltre che dalla concorrenza tradizionale, da nuovi entranti, facilitati dall’accessibilità dei mercati, da prodotti e servizi sostitutivi reperibili su un mercato diventato più ampio, dall’aumentato potere contrattuale degli acquirenti, che dispongono di una maggiore possibilità di scelta, e dei fornitori che godono di mercati di sbocco teoricamente senza limiti per ridurre la dipendenza dai clienti tradizionali.
Ne conseguono nuove sfide per le imprese, costrette a migliorare la capacità di competere attraverso il rafforzamento della propria struttura economica ed operativa, la riduzione dei prezzi (e conseguentemente anche dei budget di acquisto), la qualità e funzionalità dei prodotti.
La riduzione dei costi fissi comporta, da un lato, il contenimento della dimensione globale delle aziende, eliminando quelle strutture (risorse umane e beni strumentali) che non sono direttamente in relazione con il core business o con il mantenimento del know how, e, dall’altro, l’acquisizione dall’esterno dei beni e servizi precedentemente prodotti all’interno.
Il modello di organizzazione che ne deriva è quello di una organizzazione snella dei beni e servizi precedentemente prodotti all’interno e nella quale, di fatto, i processi di business dell’azienda vengono estesi all’esterno, resi accessibili da parte di terzi, e condizionati nei risultati dalle prestazioni dei fornitori.

3.3.1. CONTABILITÀ PER CENTRI DI COSTO ED A.B.C.

Al giorno d’oggi particolare attenzione è concentrata ai centri di analisi meglio conosciuti come centri di costo. Fino a qualche tempo fa nelle contabilità industriali, i costi erano direttamente attribuiti ai prodotti senza filtrarli ai centri d’imputazione in cui avevano avuto origine. L’utilizzo dei centri, ormai di grande diffusione ed utilizzo è particolarmente utile per i motivi seguenti:

  1. Corretta imputazione dei costi, specialmente per quelli indiretti, ai singoli prodotti; con i centri si evita cioè d’imputare dei costi a prodotti per i quali in realtà non si sono sostenuti;
  2. Maggiore controllo e responsabilizzazione delle diverse aree aziendali;
  3. Disponibilità di dati nei processi decisionali sulle singole unità operative.

In pratica la costruzione del costo di un prodotto avviene in base alla valutazione di due differenti tipologie di costo: i costi diretti ed i costi indiretti.
I costi diretti sono facilmente attribuibili ad un prodotto o ad una commessa di produzione, come ad esempio: i costi sostenuti per l’acquisto o l’estrazione delle materie prime, per la lavorazione al fine di ottenere un prodotto finito. I costi indiretti sono, per la maggior parte, derivati da costi di amministrazione, di commercializzazione e di rappresentanza. Tramite la procedura dei centri di costo sarà possibile definire dei modelli mediante i quali i costi indiretti vengono scomposti e ripartiti sui vari prodotti.
La scomposizione del costo avviene attraverso il metodo della ripartizione proporzionale che si basa sul concetto di centro.
Poichè un costo indiretto non può essere attribuito al prodotto che lo ha sostenuto, allora lo si attribuisce al suo centro di appartenenza.
Il centro costituisce un’entità univoca ed autonoma riconoscibile all’interno della struttura aziendale (una azienda è composta quindi in più centri).
Ogni singolo prodotto riceve una quota di costo riferito ad un centro in proporzione all’uso che ha fatto del centro. L’usura del centro si può basare su un qualunque criterio di riferimento:

  • può essere il numero di ore lavorate;
  • il numero di quantità prodotte;
  • il tempo macchina impiegato;
  • i metri quadri del locale;

La suddivisione dell’azienda in centri richiede comunque che questi abbiano requisiti di:

  • a) Uniformità per quanto riguarda l’unità di produzione;
  • b) Omogeneità del tipo di dotazione di fattori produttivi (macchine e uomini) e quindi dei costi relativi al fine di evitare di imputare ai prodotti dei costi mediati che non rispecchiano la realtà. Anche per quanto riguarda l’impegno uomo i parametri, nel work- in-process sono diametralmente opposti per cui si rende necessario avere una suddivisione di centri; addirittura dove le macchine fossero di natura e quindi di costo diverse le une dalle altre si può rendere necessaria la creazione di un centro per ciascuna di esse.
  • c) Significatività per cui valga la pena di impegnare risorse amministrative che non siano suffragate da un effettivo ritorno in termini di controllo e di costo.
  • d) Responsabilità: occorre che per ognuno di questi centri ci sia chi poi ne risponde.

grafico42

Figura n. 3.2 – Esempio di A.B.C.

Al fine di calcolare il “costo vero” attribuibile ad un prodotto, un diffuso approccio è l’Activity Based Costing.
Questo trova una precisa motivazione nella seguente considerazione: tra il prodotto e il consumo di certe risorse non c’è un legame diretto. Pertanto non è il prodotto che genera direttamente i costi e non può essere quindi l’unico oggetto di calcolo a cui imputare direttamente tutti i costi.
Il prodotto, infatti, per essere ottenuto e venduto richiede che vengano svolte delle attività e sono queste ultime che consumano risorse e generano i costi.
In quest’ambito le singole attività sono definibili come quell’insieme di azioni o di compiti elementari che hanno per obiettivo quello di erogare un servizio o produrre un output tangibile (un semilavorato o un componente di un prodotto) che consenta, direttamente o indirettamente, di “confezionare” l’offerta che l’impresa propone ai suoi clienti.
Il grado di dettaglio con il quale queste attività vengono definite può essere molto vario e la scelta non può che essere conseguente ai fabbisogni conoscitivi che ci si pone nel caso specifico.
L’analisi della gestione per attività permette di capire meglio che cosa avviene all’interno delle funzioni e delle corrispondenti unità organizzative e di cogliere i legami tra le funzioni e gestire l’azienda come sistema. Volendo definire le fasi logiche che caratterizzano l’introduzione di un processo di determinazione del costo di prodotto secondo l’A.B.C., si possono indicare le seguenti fasi:

  • a) si definiscono le attività e il conseguente piano dei conti, con l’indicazione dei centri di costo per attività (activity cost pool),
  • b) si attribuiscono alle attività i costi specificamente ed oggettivamente ad esse attribuibili; si tratta quindi di determinare le risorse assorbite dalle diverse attività attraverso degli indicatori di impiego delle risorse (resource driver) come possono essere le ore uomo, le ore macchina, le percentuali di utilizzo;
  • d) si calcola il costo delle singole attività per unità di determinante di costo (cost driver), dividendo il costo totale dell’attività per il valore complessivo attribuito alla determinante di costo,
  • e) se lo si ritiene necessario, si può anche procedere ad imputare a cascata, attraverso prescelti cost driver, i costi dalle attività di supporto, che non si reputa possibile imputare direttamente al prodotto, alle attività di fabbricazione e vendita; questa imputazione indiretta è molto discutibile, così alcuni studiosi suggeriscono di non allocare questi costi ai prodotti in quanto attinenti ad attività alle quali spesso manca qualsiasi legame di causalità diretta con il prodotto; sono le attività destinate a far funzionare la struttura aziendale nel suo complesso;
  • f) si imputano i costi totali delle singole attività ai prodotti, moltiplicando il costo per unità di cost driver per il valore che il cost driver assume con riferimento al prodotto oggetto di calcolo.

3.3.2. REINGEGNERIZZAZIONE DEI PROCESSI AZIENDALI

La grande novità introdotta dal concetto di “reingegnerizzazione dei processi” consiste nel mettere il cambiamento dei processi al centro dell’analisi e della progettazione dei nuovi sistemi aziendali.
Tra le caratteristiche essenziali del BPR si annoverano pertanto la riprogettazione radicale, l’obiettivo della discontinuità delle prestazioni, l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione, integrate con gli interventi organizzativi.
La caratteristica principale della reingegnerizzazione consiste nel guardare ai processi come se si trattasse di ripensarli ex novo, senza essere condizionati da come si svolgono attualmente, ma immaginando soluzioni alternative anche radicali, cioè molto lontane dalla situazione vigente.
Un esempio tipico di riprogettazione radicale è quello di mettere le attività in parallelo anziché in sequenza: spesso la sequenza delle attività non è dettata da un ordine “naturale”, ma è imposta artificialmente, secondo modelli di organizzazione del lavoro tradizionali.
La reingegnerizzazione si chiede sempre se non sia possibile modificare la sequenza delle attività, fino ad eliminarla, mettendo le attività in parallelo. In questo modo si possono raggiungere forti miglioramenti del tempo totale “di attraversamento” del processo, perché si eliminano i tempi morti di attesa.
Un altro esempio tipico di BPR può consistere nella ricomposizione di attività frammentate: spesso attività leggermente diverse sono assegnate a persone o uffici diversi, nell’idea che la specializzazione spinta delle mansioni migliori l’efficienza della singola attività; in effetti, l’efficienza globale del processo peggiora, per effetto dei tempi di coordinamento.
La reingegnerizzazione dei processi tende a ricomporre attività frammentate, introducendo nuove mansioni, a cui spesso viene dato il nome di case manager, cioè “gestore del caso”, perché nella nuova mansione sono raccolte tutte le attività che servono a dare una risposta esauriente, tempestiva e personalizzata al singolo “caso”, cioè alla singola richiesta del cliente.
L’introduzione di sportelli polifunzionali può essere considerata come un’applicazione nel settore pubblico.
Lo sportellista polifunzionale è messo in grado di dare risposte complete all’utente, evitando a quest’ultimo di dover “pellegrinare” tra diversi uffici.
Un’altra opportunità può essere la categorizzazione e differenziazione dei flussi nei processi: spesso accade che vengano trattati allo stesso modo (con le stesse regole, gli stessi tempi, la stessa qualità) richieste o casi diversi, solo perché incanalati nello stesso processo.
Questo effetto di “appiattimento” viene superato nella reingegnerizzazione che non tende – come tradizionalmente si tende a fare – a separare i processi in presenza di richieste diverse, ma a differenziare le richieste e a trattarle come versioni diverse nell’ambito dello stesso processo.
L’applicazione di questo principio di reingegnerizzazione richiede in genere l’identificazione all’ingresso del tipo di richiesta, e la “tracciatura” del caso – cioè, le informazioni sul singolo caso seguono continuamente il caso lungo tutto il processo.
In alcuni reparti di pronto soccorso è stato introdotto il “triage”, cioè l’individuazione all’ingresso della gravità del paziente, in modo da poter differenziare il trattamento in funzione dell’urgenza effettiva.
Spesso ai pazienti vengono assegnati cartellini di colore diverso, che contraddistinguono il paziente in tutte le fasi del processo di pronto soccorso (es. attesa, visita medica, analisi di laboratorio, ecc.).
Una soluzione più drastica è l’eliminazione di attività che non danno valore: la reingegnerizzazione si pone sempre il problema del perché viene svolta un’attività.
Ad esempio se un’attività viene svolta per correggere varianze insorte lungo il processo (es. controlli di qualità), la reingegnerizzazione tende a eliminare questo tipo di attività e a concentrare i controlli là dove si formano le varianze (per es. all’ingresso).
In genere, l’intervento complessivo sul processo è realizzato grazie a tecnologie che sono in grado di rendere condivise informazioni che tradizionalmente erano ad appannaggio esclusivo di una sola unità organizzativa.
Questa caratteristica di trasversalità organizzativa è un aspetto ineliminabile del BPR, anche in ambiente pubblico.
Per esempio, nei settori a forte innovazione, come il lancio di nuovi prodotti sul mercato, là dove si era sempre pensato di organizzare le attività in sequenza (marketing-sviluppo-prototipo), sono state messe in parallelo e in contemporanea, riducendo i tempi complessivi del processo di innovazione – anche di percentuali del 50-70%.
Gli scambi informativi da un’attività all’altra sono ora resi possibili tramite nuove tecnologie di condivisione delle informazioni (database, reti, ecc.) e con nuove tecniche di progettazione simultanea (concurrent engineering).
Tipiche tecnologie utilizzate per la reingegnerizzazione dei processi sono:

  • sistemi di gestione di base dati condivise: permettono l’acquisizione unica dei dati (evitando controlli e riconciliazioni dei dati) e il loro utilizzo simultaneo senza rischi per l’integrità dei dati stessi;
  • sistemi di integrazione in rete e di telecomunicazione: permettono di decentrare le attività senza rinunciare ai benefici della centralizzazione delle informazioni;
  • sistemi di supporto alle decisioni e sistemi esperti: permettono di ricomporre nelle mansioni anche attività decisionali, perché l’operatore dispone delle informazioni necessarie ed è aiutato dal sistema a prendere la decisione contestualmente, senza dover passare la richiesta a un decisore “fuori linea” (tipicamente, il capoufficio);
  • sistemi di identificazione e “tracciatura” del flusso: permette, grazie all’introduzione di codici internazionali (per es. il codice a barre) e di apparati di identificazione (es. con tecnologie laser, come le penne ottiche), di utilizzare gli oggetti fisici come “portatori” di informazioni, e giungere all’eliminazione di attività o all’introduzione di nuovi servizi.

3.3.3. LA REINGEGNERIZZAZIONE DEI PROCESSI NELLA P.A.

Si è delineato negli ultimi anni un percorso di riforma dell’amministrazione pubblica italiana, la cui attuazione è regolata da varie leggi promulgate dal 1990 a oggi.
Questo percorso di riforma è basato sostanzialmente sulla necessità di rispondere ad obiettivi di miglioramento della P.A. in termini di aumento dell’efficacia dell’azione pubblica (efficacia), di contenimento dei costi di funzionamento delle amministrazioni e riduzione dei tempi necessari allo svolgimento delle varie attività (efficienza), di aumento della visibilità e della possibilità di controllo dell’utente sull’azione amministrativa (trasparenza).
Questi obiettivi si coniugano con due principi di fondo: il decentramento e la semplificazione.
Con il decentramento si ha un trasferimento di responsabilità e compiti operativi dall’amministrazione centrale verso le regioni e gli enti locali: le amministrazioni locali diventano, con l’ovvia esclusione di alcuni settori specifici, il luogo principale dell’erogazione dei servizi e del rapporto dell’amministrazione pubblica con l’esterno mentre l’amministrazione centrale si concentra sulla propria specifica missione di indirizzo e coordinamento.
Con la semplificazione si tendono a ridurre adempimenti, spesso impropri, richiesti a cittadini e imprese e a rivedere le regole procedimentali eliminando passaggi inutili, verifiche e controlli spesso solo formali.
Nel settore pubblico non è possibile accettare integralmente l’approccio di “completa reinvenzione” di servizi, attività e strutture, cioè la totale assenza di vincoli che possibile (auspicabile in molti casi) nel settore privato.
La missione e le attività di una organizzazione pubblica non sono “optional”.
Esse sono soggette ad una normativa più forte e puntuale e sono sottoposte alla gestione e alla supervisione della direzione politica e degli organi di controllo.
La domanda iniziale per chi si accinge ad un cambiamento del proprio modo di operare non è, come nel settore privato, “come posso reinventare il mio ruolo, i miei servizi, miei processi per poter ottenere migliori risultati sul mercato?” bensì diventa “quale è il mio mandato, la mia missione, la direzione strategica che devo seguire e come posso ridisegnare e migliorare i miei processi per rispondere a queste aspettative?”.
La reingegnerizzazione dei processi in ambito della Pubblica Amministrazione passa quindi attraverso, non solo l’analisi delle singole situazioni e realtà attualmente presenti sul territorio, ma anche attraverso un approccio diverso da quello che si potrebbe applicare a livello di impresa.

4.0. CASE UNITEC

4.1. BREVE STORIA

UNITEC D (High Tech Industrieprodukte Vertriebs GmbH), è un’impresa a responsabilità limitata, con sede ad Augsburg (Germania), nata alla fine degli anni ’80 su iniziativa dell’imprenditore italiano Vincenzo Marino, che aveva maturato importanti esperienze nell’ambito del settore dei grandi impianti di automazione per la costruzione di autovetture a livello mondiale.
Tale esperienza lavorativa, lo portò ad individuare tutta una serie di carenze operative e gestionali nella logistica e negli approvvigionamenti in quelle aziende che iniziavano a stringere nuove relazioni commerciali con imprese situate in mercati geograficamente distanti.
La problematica più vistosa di tale carenze, concerneva infatti la frammentazione delle forniture e la quasi impossibilità di coordinare gli approvvigionamenti anche sotto un punto di vista temporale.
UNITEC, realizzò così nuovi servizi, ad alto valore aggiunto, che risultarono di estrema importanza per tali aziende.
Nacque così il concetto di fornitura integrata, tramite il quale si permetteva alle aziende clienti di delegare le attività di approvvigionamento così da ottenere le forniture con modalità più efficaci ed efficienti rispetto ai metodi tradizionalmente utilizzati.
UNITEC, si poneva quindi come una sorta di ufficio acquisti-estero per conto di tali imprese e dove l’attività di assistenza offerta, era giustificata dal fatto che la predetta, disponendo di tutta una serie di risorse e conoscenze, agevolava di fatto l’implementazione a basso costo di rapporti commerciali con nuovi fornitori.
Le imprese risultavano infatti carenti di conoscenze specifiche del nuovo mercato in cui si andava ad operare, oltre che di tipo linguistico e, quindi, si rendeva indispensabile disporre di tutta una serie di risorse gestionali utili ad implementare un’integrazione dei processi operativi, logistici ed amministrativi (si pensi in questo caso alle varie norme legali e doganali necessarie per lo sdoganamento dei prodotti acquistati).
Il parco clienti di UNITEC, in virtù dell’offerta di tali servizi e quindi, del valore che le imprese ottenevano grazie alle nuove modalità di outsourcing e di fornitura integrata, con ciò in grado di gestire ed organizzare tutte le fasi dell’approvvigionamento, cominciò da subito ad aumentare, registrando un incremento progressivo della sua forza lavoro, costituito da professionisti del settore, che si aggirava intorno al 40% annuo.
Un ulteriore riconoscimento dell’attività svolta dalla UNITEC, si ebbe con la partecipazione all’attività del DIN, “Deutsche Institut Für Normung”, voluta dall’organismo stesso, il quale opera a livello mondiale per la definizione delle norme di sicurezza generali in relazione alla costruzione e manutenzione degli impianti di produzione e del quale UNITEC è appunto membro attivo, esercitando al suo interno un potere decisionale, tramite la formulazione del proprio voto, oltre ad offrire consulenza tecnica.
Per quanto concerne la scelta della localizzazione geografica aziendale all’interno dell’area tedesca, è spiegata dal fatto che proprio in tale area, definita dallo stesso Marino come un crogiuolo primordiale, vi fosse all’inizio degli anni ’80, un’alta concentrazione di aziende, operanti principalmente nel settore automobilistico (Mercedes, BMW, Porsche, Audi, Volkswagen, Grob, KuKa, MAN, Siemens..), all’interno della quale si sviluppò una produzione di componenti e prodotti ad alto contenuto tecnologico, relativamente ai quali le imprese europee erano particolarmente interessate in termini di fornitura.
Per tali imprese, nacque così l’esigenza di avere un punto di riferimento cui fare affidamento per lo sviluppo di rapporti commerciali con imprese estere, UNITEC, approntò quindi una fitta rete di servizi logistici ed amministrativi innovativi tali da consentire a dette imprese di delegare, tutto o in parte, le attività necessarie ad organizzare tutto il flusso logistico ed amministrativo dei rapporti di sub-fornitura.
Tali attività infatti, non essendo di tipo core, avrebbero generato dei costi di coordinamento interno superiori rispetto a quelli di mercato, delegando invece ad UNITEC le stesse attività, le imprese clienti parteciparono attivamente ad una fitta rete di scambi commerciali con Paesi esteri a costi contenuti.

grafico43

Figura n. 4.1 – Localizzazione geografica di UNITEC GmbH ( fonte www.unitec.it)

Attualmente, i mercati di riferimento di UNITEC, si espandono non solo in ambito europeo, grazie anche all’apertura del Mercato Unico che ha favorito sia la libera circolazione delle merci che una riduzione di rischi connessi ai tassi di cambio con l’introduzione dell’Euro, ma anche in ambito internazionale, ove persistono ancora difficoltà oggettive per le imprese appartenenti ai diversi Paesi, tenuto conto dei diversi linguaggi non ancora pienamente condivisi29.

4.2. L’ATTIVITA’ DI UNITEC

La missione di Unitec GmbH è quella di “trasformare i costi fissi in variabili e ridurli. Fornire i mezzi per la reingegnerizzazione delle procedure di approvvigionamento.
Supportare il miglioramento continuo aziendale e il Quality Management. Generare da ogni costo un valore aggiunto. Rendere liberi i clienti di dedicarsi totalmente e tranquillamente al proprio Core Business”. [Ciapetti C.L., articolo pubblicato su www.unitec.it].
Tali obiettivi vengono raggiunti “Riducendo il numero di fornitori, gestendoli e amministrandoli. Integrando le forniture in modo che “una” consegna sostituisca centinaia di arrivi e relativi controlli ed operazioni di magazzino. E quindi fatturando “una” volta al mese invece di migliaia di volte.
Unificando le valute, i termini e il numero dei pagamenti ai fornitori.
Tutto questo grazie a persone preparate ed alla tecnologia informatica, interconnettendo infatti i nostri clienti con applicativi Internet (NetSourcing) e disponibili 24 ore su 24 in tutte le lingue e da qualsiasi parte del mondo”. [R. Morelli, articolo pubblicato su www.unitec.it].
Ciò riassume compiutamente i concetti già illustrati che stanno alla base dell’outsourcing degli approvvigionamenti e dell’e-procurement.
Lo sviluppo del concetto di outsourcing per Unitec, ha chiaramente risentito delle differenti tipologie di richieste provenienti dalla clientela, le cui diversità vanno ricercate soprattutto nei contesti e nei termini di competizione con i quali devono confrontarsi.
Proprio per cercare di rispondere nel modo quanto più preciso e diretto possibile alle specificità richieste, Unitec ha sviluppato l’idea di personalizzare i propri servizi, innanzitutto distinguendo l’outsourcing in “procedurale” ed “amministrativo”, e poi strutturandoli attraverso NetSourcing, lo strumento informatico di Unitec30.

Nota 29: Vincenzo Marino, tratto dal sito www.unitec.it
Nota 30: Fonte Vincenzo Marino (www.unitec.it)

4.3. LA GESTIONE DELLE SCORTE

Di particolare importanza aziendale, è il servizio di Magazzino Virtuale offerto da UNITEC relativamente alla gestione delle scorte.
UNITEC infatti, studia ed organizza il servizio logistico di consegna delle merci secondo termini e modalità preventivamente concordati con l’azienda cliente.
Il servizio, permette alle suddette di gestire al meglio il proprio processo produttivo e, quindi, soddisfare in maniera più efficace le richieste effettuate dai propri clienti.
In tal modo, ogni impresa cliente, riesce a sua volta a fidelizzare la propria clientela, confidando inoltre in forniture organizzate, potrà altresì ridurre la quantità delle scorte di beni (strategici o meno) solitamente accumulati nel proprio magazzino.
Come abbiamo già analizzato, la problematica principale, relativa alla gestione delle scorte, concerne infatti due punti essenziali:

  • quando ordinare
  • quanto ordinare

Pur ammettendo l’utilità, se non addirittura la necessità, dell’esistenza di una scorta minima di sicurezza, l’azienda deve essere in grado di poter stabilire con una certo margine di approssimazione, l’esatto momento di arrivo delle materie per essere pronta ad erogare immediatamente il servizio al proprio cliente, tale da risultare più funzionale e tempestiva rispetto alla concorrenza. La risposta a “quanto ordinare”, è rilevabile dal cosiddetto “punto di riordino” illustrato nel primo capitolo. Proprio per quanto concerne invece la quantità da ordinare, l’azienda ha la possibilità di utilizzare appositi software che le permettono di individuare, in base al consumo delle materie stesse, l’esatto ammontare di scorte che dovrà ricostituire per raggiungere quel livello di scorte “minimo” preventivamente stabilito. Poiché l’esistenza delle scorte in magazzino rappresenta un costo aziendale, il management deve necessariamente realizzare un’oculata gestione delle stesse.
Presupposto della loro esistenza è lo sfasamento temporale che intercorre tra il flusso delle consegne e quello del loro utilizzo (sia fisico che informativo).
Pertanto le imprese riescono ad ottenere una loro riduzione, solo nel momento in cui arrivano ad una condivisione di informazione, consentita dalle nuove tecnologie, tra fornitore ed azienda stessa, ovvero tramite un provider di servizi a cui delegare il compito di assicurare tale scambio informativo.
Partendo dall’analisi ABC dei prodotti detenuti in magazzino, è infatti possibile ottenere una classificazione tipica dei beni da gestire in scorta per la produzione, in base quindi all’importanza che assumono in ambito aziendale.
Si individuano allora i prodotti di fascia “A” quali materiali strategici che assorbono l’80% del volume economico di spesa distribuito sul 20% dei fornitori, i beni di fascia “B” come beni “intermedi” che assorbono il 15% della spesa sul 30% dei fornitori, ed i beni di fascia “C” che rappresentano il restante 5% della spesa distribuiti sul 50% dei fornitori.
I prodotto di fascia “A”, essendo appunto strategici, vengono solitamente gestiti dalle aziende con una cura maggiore rispetto a quelli di fascia “B” e “C” i quali pesano poco sulla formazione del costo e del fatturato (si applica il principio 80/20 di Pareto).
Questi ultimi, possono quindi essere facilmente gestiti tramite la delega in outsourcing in modo condiviso tra più aziende, così da ottenere economie rispetto al costo d’acquisto, di trasporto, di ordinazione e controllo.
Ebbene, le imprese clienti, raggiungono una ottimizzazione della gestione delle scorte tramite un continuo flusso logistico e informativo condiviso tra le stesse ed i fornitori.
La condivisione delle risorse e delle informazioni, è sicuramente ottenibile per quanto concerne i prodotti di fascia “B” e “C”, non rappresentando questi materiali strategici, anche se nulla preclude simili progetti applicati anche a quelli di fascia “A”.
Il provider del servizio e quindi UNITEC, oltre ad integrare gli ordini di fornitura relativi a tali beni, riuscendo ad ottenere forniture più regolari ed a condizioni di prezzo più vantaggiose, offre alle partecipanti tanto la possibilità di ridurre progressivamente le proprie scorte aumentandone però la disponibilità (lemma del Magazzino Virtuale), quanto il raggiungimento di effetti positivi sugli indici di rotazione della merce stoccata.
UNITEC infatti, tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie, è in continua connessione con i propri fornitori (suoi partner) e le aziende clienti, così da ottimizzare i tempi e le procedure necessarie per la gestione dell’approvvigionamento basato sulle abitudini e necessità di consumo delle stesse aziende clienti, della loro localizzazione territoriale e, non ultimo, rispetto alla viabilità dell’area geografica di riferimento.
A tal proposito, UNITEC, ha realizzato un nuovo e-tool, il “NETSOURCING”, quale strumento internet-based che permette un effettivo collegamento tra il proprio ufficio acquisti, con quello dei clienti e fornitori.
In tal modo, ogni impresa cliente, ha la possibilità di formulare una richiesta di fornitura in real time, sulla base dei cataloghi di prodotti presenti nel data-base di UNITEC, ovvero formulando richieste di prodotti che sono poi reperiti dalla stessa UNITEC, associando anche richieste relative a forniture diverse.
Tale sistema, permette all’azienda una continua attività di tracking, così da ottenere, in ogni momento, informazioni relative allo stato di avanzamento della fornitura, i termini di consegna, di spedizione e di fatturazione. Come noto, la consegna della merce, segue un iter procedurale che vede la sua realizzazione, coincidere con il momento in cui il fornitore ha la disponibilità dell’intero quantitativo di merce ordinata, ovvero dell’ultima tipologia di merce richiesta.
In pratica, fino a quando tutto il quantitativo di merce non è disponibile, la consegna della stessa non avviene, in quanto il fornitore evita di sopportare più volte il costo del trasporto. Tale ritardo, si ripercuote negativamente sulla produzione aziendale.
Ebbene, l’azienda, distinguendo le consegne urgenti da quelle che possono essere rinviate nel tempo, concorda con UNITEC le migliori soluzioni affinché le consegne siano ottimizzate ed organizzate in base alle effettive necessità del momento.
In tal modo, si annullano i rischi legati ai ritardi delle consegna e, nel contempo, si ottiene una concentrazione ed una riduzione dei tempi necessari alla gestione del magazzino, eliminando di conseguenza i tempi morti ed aumentato parallelamente l’efficienza delle strutture preposte.

grafico44

Figura n 4.2 – Organizzazione logistica. (Fonte UNITEC D GmbH, 2001)

Con la soluzione della fornitura integrata e del Magazzino Virtuale offerti da UNITEC invece, si studia un possibile punto di equilibrio tra livello minimo delle scorte (calcolato in base all’utilizzo delle stesse in relazione alla capacità produttiva aziendale ed al tempo di evasione degli ordini da parte dei fornitori) ed il numero e costo relativi agli approvvigionamenti.

4.4. IL MAGAZZINO VIRTUALE DI UNITEC

Il modello del Magazzino Virtuale31 è stato concepito dalla UNITEC non come un semplice servizio da offrire alla clientela per ridurre i costi di magazzino, bensì come una nuova filosofia aziendale.
In un mercato in cui la sopravvivenza di un’impresa è sempre più legata all’ottimizzazione della propria efficienza, diventa inevitabile ridurre ogni sorta di costi derivanti dai processi produttivi, amministrativi e finanziari.
Le dinamiche concorrenziali spingono le imprese sempre più verso soluzioni gestionali che privilegiano la condivisione degli acquisti e degli approvvigionamenti.
Tali soluzioni producono migliori risultati laddove vi sia una maggiore concentrazione di imprese che esercitano le stesse attività.
È il caso ad esempio dei distretti industriali e dei distretti ospedalieri, che per le loro caratteristiche consentono la realizzazione di economie di scala mediante la condivisione di attività. La nuova filosofia si basa su di un enunciato molto semplice: l’unione fa la forza (ed in tal caso abbatte i costi).
La UNITEC sostiene che queste forme cooperative rappresenteranno sempre più il nuovo modo di fare impresa.
Visti gli ingenti capitali che richiede, non a caso l’attenzione è stata puntata sul magazzino. Nei capitoli precedenti, abbiamo visto come le imprese possano stabilire una comunicazione a distanza con i propri partner, stringere nuovi rapporti commerciali e di collaborazione anche con imprese appartenenti a contesti geografici diversi e questo grazie soprattutto all’ICT.
Il flusso dei beni tra i diversi luoghi di produzione però, necessita di nuovi strumenti atti a ridurre le barriere operative che tradizionalmente hanno rappresentato un limite allo sviluppo delle attività economiche delle PMI su scala globale.
La nuova concezione della logistica, grazie alle nuove tecnologie, ha permesso alle imprese di rendere più fluidi i processi produttivi “spazialmente differenziati32”.
Infatti, tramite una delega in outsourcing di tutte quelle attività che non rientrano fra quelle comprese nell’area di eccellenza, l’impresa può concentrare le risorse sulla produzione di beni e servizi, sulla loro qualità, sul design e quindi sulle competenze distintive con cui creare valore utile per le imprese clienti (in pratica l’impresa riesce a riorganizzare la propria struttura con una nuova organizzazione a rete della divisione del lavoro).
Nel concetto di impresa estesa e, quindi, di extended supply chain, la logistica è da intendersi come quell’insieme di attività che guida tutta la movimentazione del flusso fisico ed informativo delle merci all’interno di una rete produttiva (come potrebbe essere nel caso di un distretto produttivo).
Data per scontata l’importanza e la necessità delle scorte, le aziende che sfruttano le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, tendono continuamente a dirigersi verso l’obiettivo dello “zero-scorte” sia per ridurre progressivamente le quote di capitale immobilizzato e sia per rendere più efficace la risposta alla crescente variabilità dei cicli produttivi (sempre più brevi).
Persistono comunque delle barriere che rendono difficoltosa l’implementazione di soluzioni in tal senso per la mancanza di personale dotato di competenze specifiche in materia e di attrezzature adatte a supportare tali strategie.
UNITEC, rappresenta quindi un Information based integrator il quale offre alle imprese clienti, la possibilità di usufruire anche di servizi che permettano approvvigionamenti comuni e magazzini condivisi. Il “Magazzino Virtuale”, rappresenta una possibilità di ottimizzazione della gestione dei magazzini delle imprese.
Tale soluzione, è stata studiata soprattutto per tutte quelle imprese che operano nei distretti industriali. L’idea di utilizzare un magazzino unico a servizio di più imprese, non è stata accolta favorevolmente, scontrandosi con problematiche di natura gestionale.
Molte imprese infatti, tendono a voler conservare la propria autonomia gestionale (insostituibile fonte di versatilità), e quindi a non voler condividere con la concorrenza, informazioni strategiche sui propri mercati (siano essi di approvvigionamento che di distribuzione) o ancora informazioni ad alto valore aggiunto delle proprie produzioni.
Una prima iniziativa in tal direzione, si è avuta nel distretto dei marmi della Valpolicella, dove alcune delle imprese appartenenti al cluster, si sono attivate per un consorziamento logistico, tramite attività di coordinamento degli investimenti infrastrutturali per la realizzazione di una piattaforma logistica comune, con l’intento di razionalizzare la movimentazione e lo stoccaggio delle merci, in entrata ed uscita, per gruppi di imprese che, oltre ad essere localizzate in uno stesso ambito territoriale, condividono beni appartenenti allo stesso settore merceologico.
Altro esempio molto importante, è quello relativo al distretto di Montebelluna (il distretto dello scarpone da sci), dove le imprese cominciano a sviluppare ed intraprendere strategie di investimento in elementi comunicativi condivisi.
E’ stata creata, a tal fine, una piattaforma gestionale che consentirà, nel tempo, di implementare soluzioni di progettazioni condivise e di rapid prototyping per lo scarpone da sci.
Le nuove tecnologie però, oltre alla possibilità della condivisione delle informazioni, consentono anche, tramite la costruzione di piattaforme virtuali, la condivisione delle scorte aziendali in un Magazzino Virtuale, dove un operatore specializzato, neutrale rispetto a tutte le aziende distrettuali e quindi che possa assicurare una certa garanzia di trasparenza per tutte le partecipanti al progetto, UNITEC appunto, gestisca tutte le informazioni sullo stato dei singoli magazzini aziendali e delle attività di riordino relative agli acquisiti condivisi.
La condizione per il successo di tale iniziativa però, è subordinata sia all’adozione di uno standard logistico e comunicativo nel quale si concretizza tale piattaforma virtuale, che una vicinanza geografica delle imprese stesse per una migliore organizzazione delle consegne delle merci.
L’area della calzatura sportiva infatti, si presenta inserita in un territorio dalle dimensioni contenute, omogeneo e ben definito da un punto di vista funzionale. Il distretto, si estende su 15 comuni, con una superficie totale di 320 Kmq. Le imprese appartenenti al distretto, sono circa 400, tra aziende industriali ed artigianali, caratterizzate da una straordinaria capacitàdi innovazione di prodotto e di processo.
La logistica però, continua a rappresentare un nodo cruciale per il distretto. La rapidità della circolazione delle informazioni e delle merci, è quindi uno degli aspetti su cui tutte le imprese dovrebbero ragionare ed investire.
I vantaggi propri del Magazzino Virtuale possono essere spiegati con il lemma coniato dallo stesso Amministratore della UNITEC, Vincenzo Marino. Le scorte di ogni impresa che partecipa al progetto, diminuiscono immediatamente ma, paradossalmente, ne aumenta la disponibilità33.
La trasformazione di un oggetto “fisico” in “virtuale”, è sicuramente un’attività impossibile, ma gli sviluppi delle comunicazioni e della rete informatica, sono in effetti strumenti che permettono questa “metamorfosi”.
Il Magazzino Virtuale è infatti una espressione dell’uso che si può fare di queste possibili trasformazioni.
Sia lo stato fisico degli oggetti, che il loro stato virtuale, vengono considerati all’interno del M.V. per cui, possiamo definirlo, come un ibrido fisico-informatico.
La condivisione delle informazioni, resa possibile dalle tecnologie di rete, permette infatti di razionalizzare ed esternalizzare la gestione delle scorte, fisicamente presenti nei magazzini aziendali.
Tramite il M.V. infatti, le scorte sono rappresentate dalla somma dei componenti, resi disponibili dalle imprese partecipanti al M.V. stesso e che operano in uno stesso territorio.
Il modello quindi, trova il suo particolare punto di riferimento nei distretti industriali, dove la possibilità di condividere materie prime, semilavorati e parti di ricambio, risulta massima.
I magazzini delle imprese che operano nei distretti infatti, presentano il più delle volte, delle ridondanze di scorte, oltre a tutta una serie di problematiche legate alla confusione operativa e logistica che si crea tra merci in entrata ed uscita.
Fenomeni questi che riguardano tutte le imprese indistintamente le quali si vedono costrette a sopportare i conseguenti costi di gestione, esistendo in tali realtà economiche dei “duplicati strutturali”.
Come già analizzato, un progetto di condivisione, consente quindi a dette imprese, di eliminare sprechi ed ottenere nuove risorse economiche.
Con il M.V., la UNITEC offre a tutte le imprese del distretto, una riduzione delle scorte da stoccare, senza però la rinuncia ad una pronta disponibilità delle stesse in caso di necessità e, questo, grazie ad un sistema software che permette di avere sempre sotto controllo ed in tempo reale, tutte le informazioni necessarie per la gestione coordinata e globale nell’utilizzo delle scorte stesse.
In caso di utilizzo di scorte da parte di un’azienda, oltre i limiti della propria disponibilità, UNITEC, tramite il sistema informatico, procede immediatamente al prelievo della merce dal magazzino di un’azienda vicina, ed al riordino della merce stessa al fornitore. L’intero distretto, funziona quindi come un’unica fabbrica e dove il M.V. è costituito fisicamente dall’insieme dei magazzini di proprietà delle diverse aziende, la cui gestione però, viene affidata ad UNITEC.
Le economie ottenibili all’interno dei distretti industriali, avrebbero quindi un grande impatto su tutta la catena del valore nazionale.
L’impianto e l’esercizio di un Magazzino Virtuale è raffigurato dalla seguente illustrazione:

grafico45

Figura n. 4.3 – Magazzino Virtuale di distretto (Fonte UNITEC D GmbH, 2001)

Le aziende partecipanti, trasmettono al gestore del M.V., la UNITEC, tutte le informazioni dei contenuti del magazzino aziendale che desiderano condividere con le altre imprese operanti nel distretto, cosicché il gestore genera un M.V. che contiene la descrizione dei materiali, le quantità disponibili ed i tempi di approvvigionamento e riordino.
Le imprese possono conseguentemente ridimensionare le loro scorte in funzione appunto della disponibilità del M.V. e delle proprie necessità operative.
I partecipanti possono così richiedere online la consegna dei materiali di cui necessitano e questo, 24 ore su 24.
La stessa UNITEC, provvede poi ad organizzare i prelievi e le consegne dei materiali nell’ambito di tutto il territorio distrettuale e, quindi, i relativi processi di riordino dai fornitori.
Nel M.V. quindi, la gestione delle scorte viene normalizzata e le obsolescenze riciclate, così da permettere un aumento della rotazione di magazzino e della disponibilità del capitale, prima vincolato con l’esistenza di una gestione di tipo tradizionale.
Poniamo il caso che partecipino al progetto di M.V. tre imprese appartenenti ad esempio al distretto industriale del marmo di Massa Carrara.
Le tre aziende, riducono ognuna le proprie scorte di marmo e graniti (le aziende possiedono tutte la stessa tipologia di scorte) nella misura del 33%, così da detenere ognuna il 66% del proprio magazzino e, parallelamente, renderlo disponibile anche per le altre.

grafico46

(Fonte UNITEC D GmbH, 2001)

In pratica, vengono annullati i costi connessi all’esistenza di un magazzino (la somma dei costi del 33% di ogni magazzino aziendale, corrisponde infatti al costo totale di un intero magazzino) dove però la disponibilità di condivisione delle merci data da ogni azienda, determinano una disponibilità raddoppiata rispetto alla consistenza delle scorte ante partecipazione al progetto di M.V. Il risparmio per le tre imprese, è quindi equivalente al costo di un intero magazzino paradossalmente associato all’incremento del 100% delle scorte utilizzabili da ognuna di esse.
Le aziende interconnesse in tale sistema, hanno quindi la garanzia di una disponibilità di materie, che va addirittura oltre quella posseduta precedentemente, pur non essendo le scorte presenti nel loro magazzino.
Ovviamente, più imprese partecipano all’implementazione di tale soluzioni, minori risulteranno le quote di materie da immagazzinare, e parallelamente, maggiori saranno le quote di materie disponibili.
Nel caso specifico del distretto dello scarpone da sci di Montebelluna, dove le imprese, essendo in forte competizione tra loro, vanno ad operare singolarmente con una pluralità di fornitori, sostengono tutta una serie di costi, non solo logistici ma anche amministrativi ed organizzativi, che possono essere eliminati o, al limite, notevolmente ridotti.
Immaginiamo il distretto come un condominio formato da dieci appartamenti (imprese). Ogni condomino, conserva nella propria casa, un set di 10 lampadine di riserva e di tipo standard, nel caso si renda necessaria una sostituzione.
Lo stock totale sarà quindi di 100 lampadine. Supponendo un costo medio pari a 50 Euro a set di lampadine, il costo complessivo dello stock, sarà pari a 500 Euro.
Viene deciso di ridurre lo stock individuale a 2 lampadine con possibilità per ognuno dei condomini di rivolgersi per l’eccedenza, al vicino.
Viene poi affidato l’incarico della gestione dello stock delle lampadine ad un custode (UNITEC nella realtà), il quale, grazie ad un elenco dei condomini e dei relativi set di lampadine resi disponibili, preleva la necessaria lampadina dal set del condomino più vicino, organizzandone il trasporto e la consegna, per poi curarne la reintegrazione.
Il risparmio di ogni singolo condomino è in questo caso dell’80%, mentre la disponibilità di scorte è raddoppiata (il condomino dispone di 20 lampadine contro le 10 ante M.V.).
Le imprese del distretto, possono quindi passare da una gestione di tipo convenzionale, a cui si associa l’esistenza di notevole spreco di risorse, ad una che prevede la partecipazione e l’utilizzo di un Magazzino Virtuale, tramite interconnessioni e servizi logistici erogati dal provider.
Nel caso poi si verificassero delle variazioni particolari nelle richieste delle merci da parte di un’impresa, ed i magazzini delle altre non fossero in grado di soddisfare tale esigenza (caso limite), UNITEC effettuerà immediatamente nuovi approvvigionamenti. Il provider può operare con estrema sollecitudine, in quanto la richiesta di fornitura da parte dell’azienda, perviene in real time e lo stato della disponibilità dei magazzini, è tenuto sotto controllo 24 ore su 24.
Dal canto loro, le imprese, possono ridurre le proprie scorte, senza comprometterne la disponibilità e, quindi, il rischio di perdita di potenziali ordini. I costi di gestione del magazzino, come è noto, crescono proporzionalmente all’aumentare della disponibilità delle scorte. Ebbene, con tale soluzione, i costi tenderanno a decrescere. Partecipare ad un Magazzino Virtuale inoltre, permette di:

  • eliminare gli overhead gestionali;
  • adeguare i costi del magazzino all’andamento congiunturale aziendale;
  • avvalersi di sinergie negoziali ed organizzative;
  • usufruire di sconti di scala moltiplicati in funzione dei grandi volumi d’acquisto generati;
  • garantire una migliore reperibilità delle forniture associato ad un innalzamento degli standard qualitativi;
  • minimizzazione dei costi di struttura;
  • salvaguardia dell’ambiente tramite una riduzione del traffico generato da trasporti di lungo percorso34.

Occorre sottolineare però, che lo sviluppo futuro di simili soluzioni, dipenderà fortemente dalla volontà dell’imprenditorialità distrettuale (e non) di arrivare ad una fattiva condivisione di risorse.
L’ostacolo fondamentale è, come abbiamo già visto, rappresentato dal timore di perdere quell’autonomia gestionale ed operativa che da sempre ha contraddistinto la versatilità delle PMI.
Occorre quindi che il management, comprenda l’importanza di un percorso aziendale basato non solo sulla competizione, ma anche sulla collaborazione per l’ottenimento delle economie di scala e scopo in ottica di economia globale.

Nota 31: Vincenzo Marino, amministratore delegato Unitec (www.unitec.it)
Nota 32: Corò Giancarlo, in “Distretti industriali e tecnologie di rete: progettare la convergenza”, Franco Angeli 2000
Nota 33: Vincenzo Marino, amministratore delegato Unitec (www.unitec.it)
Nota 34: Fonte UNITEC D GmbH

5.0. IL MAGAZZINO VIRTUALE IN UN DISTRETTO SANITARIO

5.1.1. CARATTERISTICHE ED ORIENTAMENTO DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE

Un aspetto che denota il SSN sono purtroppo gli esorbitanti costi che genera e le ingenti risorse finanziarie che assorbe.
Da anni le dirigenze politiche concordano, anche se con posizioni differenti, sul fatto che urgono interventi finalizzati a ristrutturare tale settore in forte perdita.
Attualmente le linee guida fornite per ridurre le spese sanitarie nazionali sono: la responsabilizzare delle regioni affidando loro la direzione e gestione delle rispettive USL; attuare economie di scala centralizzando non solo la gestione, ma anche le strutture ospedaliere.
Nello specifico si sta attuando un processo di riconversione degli ospedali di piccolissima dimensione,cioè quelli con meno di 120 posti letto che costituiscono ancora quasi 1/3 del totale.
In effetti rispetto ai maggiori paesi comunitari, le nostre strutture ospedaliere risultano fortemente sottodimensionate: appena il 30% delle stesse ha una dotazione di posti letto superiore alle 500 unità e molti ospedali a gestione diretta non raggiungono neanche i 100 posti letto.
Per raggiungere economie di scala si prevede invece la centralizzazione dei magazzini ospedalieri. In pratica si punta alla chiusura dei magazzini di un distretto ospedaliero lasciandone attivo uno solo che dovrà provvedere al rifornimento di tutti i reparti di tutti gli ospedali.
L’obiettivo è quello di effettuare un totale riassetto organizzativo del servizio nella prospettiva di inserimento, nel processo di approvvigionamento e distribuzione dei fattori produttivi farmaceutici di un “soggetto” esterno all’azienda cui saranno demandate una serie di attività.
Tale riassetto investirà, tanto gli aspetti operativi quanto quelli informatici correlati alle diverse attività, e determinerà sostanziali modifiche anche nei rapporti con i “clienti interni” che dovranno inevitabilmente adeguarsi al cambiamento.
Al di là delle valutazioni specifiche sulle diverse attività che dovranno essere messe in campo per l’attuazione del progetto, occorre porre l’attenzione su alcuni elementi del medesimo che ne rappresentano l’obiettivo primario; ovvero quelle valutazioni economiche che determinano una ipotizzata realizzazione di significativi risparmi.
Il documento “Razionalizzazione delle funzioni acquisti e logistica Business Plan” (elaborato dalla Accentare e i cui dati risultano recepiti da parte della Regione Toscana nell’ambito del progetto di razionalizzazione della logistica) prevede tra le altre cose un’operazione di centralizzazione/esternalizzazione dei magazzini di farmacia adducendo una ipotesi di risparmi: a regime dell’intero processo di centralizzazione/esternalizzazione (anno 2006) una riduzione di costi di circa 5.200.000 di euro l’anno dovuti alla gestione in outsourcing e prevede l’applicazione di contratti estimatori e l’azzeramento delle giacenze di proprietà delle aziende sanitarie.
Rimane un costo di gestione del personale farmacista (23 unità) dipendente dal SSR, indicato come personale delle aziende dedicato alla logistica, il costo di outsourcing indicato pari è al 3,1% dei valore transitato a magazzino e considerato costante dal 2004 al 2007. Non sono previste modifiche nei consumi; le economie sui costi derivano dall’abbattimento dei costi sul personale e dall’azzeramento delle scorte di proprietà delle Aziende, dalla forte riduzione degli altri costi di gestione (affitti, utenze, ecc), dall’annullamento degli oneri finanziari per immobilizzazione delle scorte.
I costi attuali di gestione dei magazzini di farmacia sono stati valutati, nello stesso documento, pari al 4,6 % del valore transitato (compresi gli oneri finanziari per l’immobilizzazione delle scorte). Nessuna ipotesi è stata fatta prevedendo una diversa organizzazione della logistica, attuando progetti di razionalizzazione dei magazzini di farmacia, ottimizzando le risorse attuali e prevedendo una gestione corredata di spazi, ma soprattutto mezzi, tecnologie adeguati e adeguato addestramento del personale addetto. Principali aspetti da valutare attentamente (punti di criticità) nel modello ipotizzato nel Business Plan (Accenture) sono:

  1. Reali costi nel corso del tempo della gestione di outsourcing rispetto ai costi dei magazzini attuali (la percentuale anche se fissa è legata al valore del materiale transitato), soprattutto per quelli oltre il piano previsto (oltre il 2006).
  2. La gestione centralizzata in outsourcing potrebbe portare verosimilmente ad un monopolio che ridurrebbe nel tempo la competitività sul mercato di possibili outsourcer e la richiesta nel tempo di costi incrementati per la gestione del servizio (è determinante il tipo di contratto stipulato).
  3. Il processo di esternalizzazione porterebbe allo “sterilizzare” le organizzazioni che attualmente gestiscono i prodotti dì competenza della Farmacia, il processo assume molte caratteristiche di evento a senso unico.
  4. La tempistica delle consegne ed urgenze sono aspetti di grande rilievo e di responsabilità; ogni cambiamento deve portare ad una giusta calibrazione di questi aspetti.
  5. Non è pensabile che siano gestibili in esternalizzazione tutti i prodotti, soprattutto per quanto riguarda Ospedali o attività ad alta specializzazione. In genere ciò che è distribuito a stock rientra prevalentemente tra l’80% dei fermaci che generano il 20% dei costi. Le terapie innovative, le acquisizioni tecnologiche, che rappresentano in genere le voci responsabili della spesa relativa al restante 80%, sarebbero comunque prescritte con ricette personalizzate, quale intervento dedicato a paziente ed eventualmente monitorato, quindi difficilmente gestibili in regime di esternalizzazione.
  6. E’ verosimile che non tutti i fornitori siano disponibili ad accettare questo tipo di contratto (ad esempio produttori di farmaci anche in esclusiva, ma le cui forniture sono contenute per quantitativi di consumo non elevati).
  7. Tener conto del riassorbimento delle figure professionali ed operative attualmente dedicate ai magazzini. In un’ottica quale quella presentata l’abbattimento effettivo dei costi per il SSR si attua solo con la riduzione numerica del personale (mancato turn-over).
  8. Tener conto del possibile aumento delle scorte presso l’utenza (reparti). .
  9. I farmaci hanno implicazioni diverse rispetto ad altri beni di consumo, la responsabilità del farmacista è regolamentata da normative.
  10. Il progetto non accenna a quale livello di miglioramento della appropriatezza sull’uso del farmaco e dei presidi (abbattimento degli sprechi e degli usi non basati sull’evidenza) debba intervenire il processo di razionalizzazione della gestione dei prodotti farmaceutici. Sono gli interventi, soprattutto di tipo culturale, che possono determinare un possibile, contenimento dei consumi (e quindi dei costi) naturalmente a parità di prestazioni; tali interventi consistono essenzialmente nel promuovere/valutare l’appropriatezza della prescrizione e l’applicazione dei protocolli terapeutici condivisi. Anche nel caso dei dispositivi medici e dei materiali di medicazione, i migliori risparmi possono essere conseguiti attraverso interventi orientati ad una più attenta valutazione – anche sul piano economico – delle scelte terapeutiche, soprattutto in relazione all’inserimento di nuove acquisizioni35.

Nota 35: Fonte SiNaFO

5.1.2. I COSTI DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE

Secondo le elaborazioni del ministero della Salute, nel 2002, in Italia, la spesa per il SSN si è attestata attorno ai 79 miliardi di euro, pari al 6,3% del prodotto lordo (Tab. 5.1).
Rispetto al 1995, è quindi cresciuta di oltre il 63% in termini nominali, ovvero di quasi 31 miliardi di euro in cifra assoluta (+38% a prezzi costanti).
Le spese del SSN hanno assorbito, nel 2002, più del 14% della spesa corrente delle amministrazioni pubbliche (circa 1/4 della complessiva spesa sociale), contro il 10,9% del 1995.
In termini pro capite, nel 2002, i costi del SSN sono risultati pari a 1.370 euro, contro gli 840 del 1995.

grafico47

Tabella n. 5.1 – I costi del servizio sanitario nazionale (anni 1995-2002) (Fonte: Elaborazione Ageing Society su dati ministero Salute e ISTAT)

Anche se l’incidenza della spesa sanitaria sul PIL appare in Italia ancora leggermente inferiore a quella dei maggiori paesi industrializzati (7-7,5%), ciò che desta forti preoccupazioni è, da un lato, la sua sostenibilità nel lungo termine, allorché si dispiegheranno pienamente gli effetti connessi all’invecchiamento della popolazione e al progresso scientifico.
Dall’altro, l’accelerazione registrata dalla stessa nel periodo più recente, nonostante le misure di contenimento attivate a partire dal 1999 con il Patto di stabilità interno.
Dal 1999 al 2002 per la precisione, i costi del SSN sono aumentati ad un tasso medio annuo di poco inferiore all’8% a prezzi correnti (del 5% nella valutazione a prezzi costanti).
Negli ultimi anni, l’assistenza farmaceutica è la voce di spesa che ha fatto registrare l’incremento più consistente, essendo passata dai 5,1 miliardi di euro del 1995 ai quasi 12 miliardi del 2002 (+97,9% in termini reali).
Nonostante i marcati aumenti, la spesa farmaceutica a carico del SSN non si discosta in maniera significativa dalla media dei paesi OCSE; tuttavia, la forte accelerazione degli ultimi anni rende ormai improcrastinabile l’attivazione di una serie di misure correttive finalizzate a razionalizzare la domanda del servizio.
Assieme ai farmaci, sono gli acquisti di beni e servizi – i cosiddetti consumi intermedi – la voce di spesa che ha evidenziato, a partire dal 1995, gli incrementi più consistenti.
Nel 2002, tali acquisti sono risultati superiori ai 17 miliardi di euro, contro i circa 9 miliardi del ’95 (+57,8% al netto dell’inflazione).
Nel periodo più recente, tuttavia, la spesa per consumi intermedi ha registrato un leggero rallentamento, anche per effetto del processo di centralizzazione degli acquisti.
Dal conto economico consolidato della sanità, elaborato dall’ISTAT (cfr. Tab.3), emerge una significativa crescita nel corso del 2002 del disavanzo del settore, che si è approssimato ai 5,3 miliardi di euro, cioè al livello più alto degli ultimi sette anni.

grafico48

Considerando tali esorbitanti cifre e la non sostenibilità nel tempo dell’attuale assetto sanitario non bisogna dimenticare che gli enormi costi generati sono in gran parte finanziati attraverso l’imposizione fiscale; il nostro sistema sanitario quindi è prepagato e non gratuito.
È vero che ci troviamo di fronte ad un settore il cui ruolo non può e non deve essere valutato solo da un punto di vista economico, ma bisogna tener conto anche e soprattutto dell’importanza sociale in essa racchiusa; ma ad ogni caso i margini di miglioramento sono notevoli: la programmazione sanitaria, l’allocazione di tali risorse, il controllo sui flussi di spesa, l’assetto della erogazione, sono tutti fattori che se rivisti poterebbero apportare un miglioramento non solo in termini di spesa ma anche di servizio offerto.
Andando ad affrontare l’argomento del magazzino ospedaliero si riportano di seguito alcuni dati indicativi delle spese ospedaliere, che meglio ci aiuteranno a comprendere i risparmi ottenibili a livello nazionale con il Magazzino Virtuale:

grafico49

5.1.3. STRUTTURA LOGISTICA ATTUALE

Nell’analizzare la struttura logistica delle strutture facenti capo al SSN bisogna tener presente anche il servizio cui sono tenute a prestare.
La gestione dei beni, ed in particolare dei farmaci, va valutato non solo nel mero aspetto economico, ma soprattutto in quello organizzativo e di appropriatezza della prestazione, finalizzato a garantire adeguati, e possibilmente sempre più appropriati, livelli di assistenza farmaceutica al paziente.
L’U.O. di Farmacia ha tra i vari compiti ad essa affidati istituzionalmente, quello di soddisfare le richieste di medicinali provenienti dalle degenze, dai servizi e dagli ambulatori della azienda di appartenenza.
Il servizio di farmacia espleta tale compito mediante:

  • L’approvvigionamento dei prodotti farmaceutici e delle materie sulla base delle esigenze rappresentate dagli utilizzatori;
  • La movimentazione ed allestimento ordini;
  • Lo stoccaggio e conservazione dei prodotti;
  • Le preparazioni galeniche e farmaceutiche secondo le norme previste dalle leggi sanitarie;
  • L’allestimento e consegna alle unità richiedenti ed a pazienti esterni (nei casi previsti dalla normativa in materia di assistenza farmaceutica) dei materiali salutari afferenti alle seguenti diverse categorie quali: medicinali; diagnostici, reagenti e prodotti chimici; dispositivi medici ed altro materiale sanitario.

Su tutte queste attività viene esercitato il controllo e la vigilanza da parte del personale dirigente farmacista.
Un progetto che preveda la centralizzazione interaziendale di ricezione e stoccaggio dei materiali e l’attivazione di un sistema di distribuzione diretta agli utilizzatori finali (reparti e servizi ospedalieri e territoriali delle Aziende USL ed ospedaliere), presuppone – di fatto – l’eliminazione dei singoli magazzini farmaceutici aziendali o quanto meno un forte ridimensionamento degli stessi.
A tal proposito, però, occorre individuare con chiarezza quanto dovrebbe residuare negli “smantellandi” magazzini delle farmacie ospedaliere per far fronte alle cosiddette richieste “urgenti”, in particolare alle emergenze.
Tale argomento verrà approfondito più avanti.

5.1.4. LA DISTRIBUZIONE

Scopo e ragione d’essere delle U.O. di Farmacia in ambito ospedaliero è assicurare lo svolgimento delle funzioni farmaceutiche di base e cliniche previste dalla normativa vigente, alla luce delle nuove esigenze assistenziali e gestionali, erogando prestazioni e servizi mirati ad un uso sicuro e razionale dei farmaci e del restante materiale sanitario per soddisfare le esigenze di salute dei cittadini, esercitando il monitoraggio e la vigilanza sulle prescrizioni, sviluppando in particolare un lavoro interdisciplinare con tutte lo articolazioni organizzative aziendali, come parte di una strategia complessiva di appropriatezza d egli interventi sanitari.
In tale logica, l’U.O. farmacia si impegna a pianificare e a mettere in atto le proprie attività attraverso l’ottimizzazione dell’uso delle risorse affidate e la formazione/addestramento del personale.
È di facile comprensione che la farmacia e distribuzione dei farmaci assume un ruolo crescente di protagonista nell’area della razionalizzazione della gestione e della spesa.
Il recepimento della Pharmaceutical Care pone dunque le basi per un radicale cambiamento del sistema di distribuzione dei farmaco oggi praticato negli ospedali, passando da un sistema di rifornimento delle scorte di reparto ad un sistema che distribuisce le singole prescrizioni, così come già avviene nelle farmacie al pubblico.
Ciò, anche se solo in parte, è già realizzato per molti farmaci la cui distribuzione avviene per singolo paziente sulla base di richieste che esplicitano le motivazioni cliniche rispetto ad una diagnosi precisa individuando uno specifico piano terapeutico personalizzato.
Un auspicabile futuro sistema allargato di distribuzione personalizzata potrebbe offrire ulteriori numerosi vantaggi come ad esempio il calcolo del costo della terapia farmacologia.
Al momento, l’attuale sistema di ripristino delle scorte dei reparti, già abbandonato da anni negli ospedali degli Stati Uniti, e in via di abbandono in numerosi stati europei, non consente la registrazione computerizzata delle singole prescrizioni; pur tuttavia consente (proprio in virtù della presenza del magazzino farmaceutico all’interno dell’azienda) di limitare le giacenze nel reparto allo stretto fabbisogno medio settimanale, integrate dalle cosiddette richieste in regime di “urgenza”.
Al riguardo è bene precisare che molteplici sono i fattori che possono dare origine ad una “richiesta urgente” di medicinali o di altri prodotti farmaceutici.
Tra gli altri:

  • prescrizione di farmaco (od altro materiale) non rientrante nelle abituali terapie del reparto e quindi non presente nell’armadio farmaceutico del reparto che lo richiede;
  • sottostima del fabbisogno di uno o più prodotti nell’ambito della richiesta programmata con conseguente necessità di ripristino immediato della scorta;
  • terapia specifica prescritta da “consulenti” esterni al reparto di degenza;
  • terapia personalizzata domiciliare che si intende proseguire;
  • emergenza terapeutica in situazioni dì criticità;
  • coincidenza di un numero di trattamenti, per lo stesso tipo di farmaci, superiore al consueto.

La reperibilità in tempo reale di quanto è necessario anche al di fuori dei rifornimenti programmati oggi è resa possibile solo grazie alla presenza di un deposito farmaceutico presso l’Azienda, raggiungibile da chiunque in pochi minuti, e che per varietà e quantità, rende disponibile la maggior parte degli strumenti terapeutici necessari a soddisfare le esigenze assistenziali.

5.1.5. GLI APPROVVIGIONAMENTI

Le decisioni che definiscono la politica degli approvvigionamenti di un’azienda sanitaria riguardano:

  • la corretta definizione dei fabbisogni di beni e servizi da acquistare;
  • le scelte di Make or buy;
  • l’individuazione delle fonti di approvvigionamento ed il profilo ideale dei fornitori;
  • la scelta della tipologia di relazione da instaurare con loro;
  • l’individuazione delle variabili rispetto alle quali monitorare il rapporto nel tempo con loro.

Sino od oggi le aziende si sono prevalentemente concentrate su un rapporto di tipo tradizionale con i fornitori.
La gestione dei processi di approvvigionamento si è concretizzata in una serie di attività essenzialmente amministrative e di modesto contenuto strategico.
L’evoluzione del contesto normativo di riferimento (in particolare l’applicazione del D.lgs 229-riforma ter) ha favorito un significativo aumento dei margini di autonomia del manager che si troverà a prendere queste decisioni ed a rispondere della bontà delle proprie scelte in funzione dei risultati ottenuti.
Dal progetto di istituzione di un sistema centralizzato di gestione della logistica del materiale sanitario (farmaci, presidi, medicazione, protesi, materiale dialitico, ecc), il cui obiettivo è quello di concorrere alla razionalizzazione e qualificazione delle prestazioni di acquisizione dei prodotti farmaceutici necessari ai presidi e servizi sanitari delle Aziende sanitarie che lo hanno sottoscritto, possono effettivamente derivare processi di razionalizzazione-innovazione dell’attività del settore approvvigionamenti delle farmacie ospedaliere.
Per cogliere le opportunità di miglioramento legate ad una gestione evoluta della supply chain vanno tuttavia riconosciute la complessità del problema e governate razionalmente e consapevolmente le relazioni che legano l’azienda sanitaria ai fornitori o partner.
Per il raggiungimento dell’obiettivo sono necessari:

  • una precisa programmazione dei fabbisogni dei farmaci e prodotti sanitari necessari;
  • un’efficiente ed efficace procedura centralizzata di acquisto che consenta un contenimento dei costi, la qualità e l’uniformità dei prodotti all’interno di categorie omogenee.

Data la estrema differenziazione delle caratteristiche delle Aziende coinvolte nel progetto, si ritiene in particolare che la fase di omogeneizzazione dei fabbisogni sia un processo lungo è difficile da realizzare, in particolare quando verranno affrontate le problematiche di acquisto relative a prodotti specialistici ad alta tecnologia ad esempio nell’ambito dei dispositivi medici o del materiale protesico, dove i fabbisogni e le caratteristiche dei materiali sono strettamente correlati alla tipologia dei pazienti trattati ed al case-mix complessivo delle singole Aziende.
Nell’obiettivo più generale di contenimento della spesa farmaceutica l’ottenimento di prezzi di maggior favore per l’acquisto dei prodotti rappresenta solo uno degli elementi che possono influenzare il dato economico – peraltro neppure il più rilevante – dal momento che la composizione dei costi per fattori produttivi farmaceutici si concentra prevalentemente su un numero ridotto di prodotti (la legge di Pareto, in questo senso, è del tutto trasferibile).
In genere ad esempio per il settore farmaci l’80% della spesa si concentra su farmaci innovativi, ad alta tecnologia-alto costo per i quali si ritiene che l’operazione più efficace per la razionalizzazione della spesa consista nel porre in atto iniziative aziendali che vedano coinvolti i diversi operatori sanitari, medici e farmacisti, per adottare iniziative volte alla rigorosa selezione dei pazienti da trattare, alla individuazione di specifici protocolli di trattamento, al monitoraggio della prescrizione, alla valutazione degli esiti.
Infatti la recente esplosione di linee guida a cui si è assistito negli ultimi anni è scaturita proprio dall’esigenza di indurre il miglioramento della qualità e della efficacia delle decisioni cliniche con conseguente miglioramento del risultati per il paziente, riduzione della variabilità assistenziale ed ottimizzazione delle risorse.

5.1.6. AANALISI DEL MAGAZZINO CENTRALIZZATO

Volendo fare una breve analisi della gestione centralizzata dei magazzini, si possono mettere in risalto alcuni punti positivi ed altri negativi.
Innanzitutto, nonostante le direttive nazionali siano quelle di perseguire una politica di centralizzazione, ogni Azienda prima procedere in tal senso, e quindi stravolgere l’attuale struttura gestionale, è chiamata a svolgere innanzitutto un’indagine interna finalizzata a rendersi conto degli attuali costi logistici ed organizzativi derivanti dalla situazione attuale; poi uno studio finalizzato a comprendere i vantaggi e svantaggi a cui andrebbe incontro se passasse alla centralizzazione; per poi poter effettuare un’analisi costi-benefici derivante dal paragone dei 2 punti precedenti.
Dal punto di vista aziendale, il principale problema da affrontare è quello della localizzazione del magazzino farmaceutico seguendo due criteri: il criterio del minimo costo di distribuzione, che deve tenere in particolare considerazione la localizzazione del magazzino in funzione del posizionamento geografico dei punti di domanda (ciascuno ponderato in funzione del volume delle richieste); il criterio del minimo costo di magazzino costituito dal costo di gestione delle scorte e dal costo fisso di struttura.
Un unico magazzino farmaceutico centralizzato che fornisce più Aziende e che sostituisce i magazzini delle farmacie ospedaliere e territoriali, potrebbe comportare una possibile riduzione complessiva delle scorte di farmacia -previa standardizzazione degli articoli – con notevoli economie nella gestione dei magazzini, un risparmio negli spazi ad essi dedicati ed una semplificazione delle procedure amministrativo-contabili (per esempio il riferimento ad un unico “fornitore” con conseguente centralizzazione anche degli ordini d’acquisto).
Però tali risultati possono essere raggiunti solo a patto di gestire un unico magazzino che abbia la piena responsabilità della gestione del medesimo anche in termini di approvvigionamento presso i fornitori ed è proprio questo il punto critico: questa soluzione comporta necessariamente il sostenimento di costi elevati.
Si tratta di sopportare dei costi aggiuntivi rispetto allo stato attuale. Inoltre, se da un lato tale soluzione nel lungo periodo tende a far diminuire i costi di struttura, dall’altro comporta un inevitabile aumento dell’incidenza dei costi di trasporto.
Attualmente sono i fornitori che consegnano i materiali ordinati alle farmacie e a sostenere il costo del trasporto.
Nell’ipotesi che i fornitori consegnino al magazzino centralizzato, su quest’ultimo graveranno i costi di seconda consegna alle aziende.
L’allestimento da parte di un soggetto esterno dei prodotti farmaceutici richiesti routinariamente non produce economie di scala. In altri termini, se quotidianamente in una azienda si allestiranno in media 50 “carrelli di reparto” non fa differenza “chi” li allestisce. Restano sempre 50 e il parziale recupero di personale interno all’azienda con la minimizzazione del magazzino interno verrebbe compensato dal personale che dovrà occuparsene presso quello esterno all’azienda.
Per quanto riguarda l’efficienza del servizio: la complessità delle consegne e la tempistica dovranno essere attentamente valutate per non abbattere gli attuali livelli di prestazione.
La distribuzione geografica dei reparti e servizi di un’area vasta necessita di organizzare la distribuzione con mezzi di trasporto adibiti al trasporto su strada, con tempi di trasferimento lunghi che richiedono ulteriori garanzie e dotazione per la corretta conservazione dei materiali anche durante te fasi di trasporto.
Se in conseguenza del costo di distribuzione centralizzata si dovesse ipotizzare una riduzione delle frequenze distributive (es. una volta/settimana anziché due come è attualmente per la prevalenza dei reparti/servizi) si otterrebbe l’immediata conseguenza di incrementare le scorte presso i reparti, creando problemi anche sul fronte degli spazi necessari.
Residuare al magazzino farmaceutico interno le sole quantità di materiali per le “urgenze” significa dovere in ogni caso “detenere” in scorta la maggior parte dei prodotti.
Infatti, qualunque prodotto farmaceutico, potenzialmente, potrebbe essere richiesto “con urgenza” a seconda delle diverse situazioni sopra descritte, il che significa dovere dotarsi comunque di un magazzino aziendale con le relative risorse, per garantire gli attuali livelli di prestazioni.
I1 farmacista, in virtù della sua preparazione, è l’unico professionista in grado di aggiungere valore alla attività distributiva del farmaco fornendo tutte le informazioni necessarie perchè l’utilizzo avvenga nel modo più appropriato.
Dal punto di vista delle responsabilità, non v’è dubbio che in caso dì esternalizzazione della distribuzione si accompagnerebbe parallelamente ed inevitabilmente anche il trasferimento all’operatore logistico delle responsabilità connesse all’atto distributivo in ordine a:

  • eventual deficiencies of availability of the products demands near the druggist cetralized warehouse;
  • qeventuali carenze di disponibilità dei prodotti richiesti presso il magazzino centralizzato farmaceutico;
  • controllo qualitativo dei prodotti in entrata ed in uscita;
  • gestione delle non conformità dei prodotti consegnati agli utilizzatori rispetto alle caratteristiche richieste;
  • rintracciabilità dei lotti e procedure di recall nel caso di segnalazioni aziendali e/o ministeriali;
  • ritiro dei prodotti scaduti;

II farmacista aziendale infatti non potrebbe farsi carico della responsabilità di tutto ciò che è connesso allo stoccaggio ed alla distribuzione di materiali la cui manipolazione non è effettuata all’interno (inteso come locali) della U.O di Farmacia, da personale in essa operante e direttamente dipendente dalla struttura. .

5.2.1. IL DISTRETTO OSPEDALIERO DI AREZZO

L’USL 8 di Arezzo gestisce sei strutture ospedaliere dislocate su un’area vasta all’incirca 55 Kmq.
In linea con l’orientamento generale del SSN, l’USL8 attua una gestione centralizzata delle proprie strutture accentrando la gestione delle scorte ospedaliere in un unico magazzino centrale.
Tale processo è stato attuato gradualmente, chiudendo man mano i magazzini ospedalieri e concentrando tutte le scorte nel nuovo magazzino centrale situato presso le strutture del complesso ospedaliero “San Donato” (Arezzo centro).
L’ultimo magazzino ospedaliero che doveva essere chiuso era quello dell’ospedale di Montevarchi.
Questo però, al giorno d’oggi è ancora parzialmente utilizzato per motivi “tecnici” in quanto il magazzino centrale non riesce a contenere tutte le scorte per sei ospedali poiché era stato costruito in funzione di 5 ospedali, mentre da qualche anno si è aggiunto anche quello di SanSepolcro.

grafico50

Figura n. 5.1 – Localizzazione degli ospedali dell’ USL 8 di Arezzo

In sostanza al magazzino centrale si va ad aggiungere il “vecchio” magazzino ospedaliero di Montevarchi utilizzato come “valvola di sfogo” per le merci eccedenti la capacità del mag. di Arezzo.
Per motivi contabili e gestionali tutte le merci transitano nel magazzino centrale e poi, se vi è bisogno, sono trasferiti al deposito di Montevarchi, o in alcuni casi direttamente nei reparti (es.: apparecchiature).
Le richieste di approvvigionamento possono essere effettuate solo dal magazzino centrale. Le scorte sono trasportate (a seguito di una richiesta da parte del reparto ospedaliero) dal magazzino centrale direttamente al reparto richiedente.
Per ogni ospedale il trasporto avviene in media 2 volte la settimana, di conseguenza ogni reparto richiede al magazzino quantità contenute di scorte. Il magazzino centrale è stato costruito nel ’97, all’epoca era uno dei magazzini all’avanguardia.
Nasce come “magazzino intelligente”, nel senso che era totalmente dotato di armadi rotanti all’interno dei quali venivano sistemati le scorte.
Il magazziniere, o l’incaricato, per prelevare le scorte da inviare ai reparti, compiva un unico giro nel quale riusciva a prelevare tutto ciò che gli occorreva, nel minor tempo possibile e senza dover tornare indietro.
Al giorno d’oggi la necessità di accogliere un numero maggiore di scorte, che eccede la capacità degli armadi ed anche la capacità del magazzino, ha fatto sì che agli armadi rotanti si siano aggiunti degli scaffali tradizionali.

5.2.2. IL PROGETTO AREA VASTA IN TOSCANA

Il contenimento della spesa sanitaria toscana passa attraverso la razionalizzazione delle funzioni di supporto tecnico amministrativo delle Aziende Sanitarie, secondo le linee guida dettate dal PSR40 2002-2004.
La c.d. seconda fase dell’aziendalizzazione, infatti, segnerà una profonda trasformazione dell’assetto organizzativo delle Aziende Sanitarie, le quali andranno a configurarsi sempre più come fornitrici di servizi alla persona, mentre le attività non direttamente connesse alla prestazione di servizi assistenziali saranno gestite a livello sovraziendale.
Il raggiungimento di una massa critica superiore dovrebbe consentire recuperi di efficienza soprattutto in termini di economie di scala ed eliminazione di attività ridondanti, e potrebbe altresì divenire l’occasione di un più complesso impegno in termini di process reingineering finalizzato a decisioni di tipo make or buy.
Il livello prescelto per la gestione delle funzioni di supporto tecnico amministrativo è quello dell’Area Vasta.
Il SSR toscano è suddiviso in tre Aree Vaste (Area Fiorentina, Area Tirrenica, Area Vasta Sud), ovvero aggregazioni di Aziende Sanitarie territorialmente contigue facenti capo ad un’Azienda Ospedaliera.
Le Aree Vaste, all’interno delle quali si esaurisce il 97% circa della mobilità sanitaria delle Aziende coinvolte, sono nate per finalità di programmazione sanitaria, in quanto individuate quali ambiti ottimali di governo della salute; il nuovo Piano Sanitario conferisce adesso loro anche funzioni di tipo gestionale, da esercitarsi per il tramite di Consorzi Interaziendali.
Le funzioni prescelte per l’avvio del processo di razionalizzazione sono, come anticipato, acquisti e logistica, ovvero le attività poste a monte della catena del valore, che rappresentano il 30% della spesa sanitaria complessiva.
I Consorzi, pertanto, saranno incaricati dell’espletamento di gare a seguito delle quali verranno stipulati contratti “aperti”, cui cioè le Aziende Sanitarie potranno aderire fino al raggiungimento del quantitativo massimo prefissato.
La scelta del livello sovraziendale dell’Area Vasta ha, in questo ambito, l’ulteriore pregio di rivelarsi meno impattante nei confronti del mercato, consentendo il mantenimento di un assetto competitivo in maniera assai più rilevante rispetto a soluzioni di tipo regionale, per quanto possano essere tuttavia individuati dei prodotti/servizi per i quali sia possibile procedere a gare regionali, in ragione del loro grado di standardizzabilità, della loro frequenza e volume di acquisto, della struttura dell’offerta nello specifico mercato.
Ciò dovrebbe presentare inoltre minori difficoltà di coordinamento, specie nella fase di normalizzazione dei prodotti che dovrà precedere l’effettuazione di gare di Area Vasta.
Il cambiamento così come descritto comporta un continuo scambio di dati e informazioni tra le Aziende dell’Area Vasta: la Regione ha pertanto stipulato un protocollo d’intesa con Poste Italiane che, tra le altre attività, prevede altresì una collaborazione finalizzata alla realizzazione della piattaforma informatica di supporto, il c.d. portale, ove le Aziende Sanitarie potranno pubblicare bandi ed altri documenti, avere notizia delle gare in essere e della possibilità di adesione ai relativi contratti, effettuare aste on line, ecc.
Nel portale dovrebbero inoltre trovare spazio il marketplace previsto dal recente regolamento concernente l’e-procurement nella P.A. ed un’area finalizzata al monitoraggio, e contenente, tra gli altri, l’Osservatorio dei Prezzi e l’Albo dei Fornitori.
I benefici attesi, a regime, vengono quantificati in circa 90 milioni di euro all’anno, in termini di riduzione della sperequazione sui prezzi (pari all’8% circa, come risulta dall’analisi dei dati dell’Osservatorio Regionale dei Prezzi), economie di volume, razionalizzazione delle procedure (diminuzione delle procedure di gara, introduzione di strumenti di e-procurement, riduzione delle scorte e maggior controllo sulle stesse).

Nota 40: Piano Sanitario Regionale

5.2.3. APPLICAZIONE DEL MAGAZZINO VIRTUALE AD UN DISTRETTO SANITARIO

Nonostante l’orientamento del SSN sia quello di accentrare le strutture, e di conseguenza anche i magazzini, si ritiene che il Magazzino Virtuale possa rappresentare un modello che, se applicato correttamente, possa risultare preferibile sia da un punto di vista economico che funzionale.
L’analisi sviluppata di seguito si struttura in due parti: i risultati ottenuti dalla ottimizzazione delle scorte, una breve illustrazione dei vantaggi ottenibili dai c.d. “vantaggi accessori”.
C’è da sottolineare che allo stato odierno un’attuazione del Magazzino Virtuale(MV) al solo distretto ospedaliero di Arezzo è impensabile poiché è presente un solo magazzino.
Una prerogativa del MV è l’esistenza di più magazzini su di un territorio circoscritto; maggiore è il numero dei magazzini presenti, maggiori saranno i risparmi che si potranno ottenere.
In linea con le disposizioni dettate nel nuovo Piano Sanitario Regionale41, che conferisce ai distretti sanitari la possibilità di esercitare funzioni di tipo gestionale tramite forme cooperative, si è esteso lo studio, oltre che al magazzino di Arezzo, anche a quello di Siena e Firenze (fig. 5.2) territorialmente attigue.

grafico51

Lo studio si svolge sui tre differenti magazzini, ma a livello esemplificativo, utilizzeremo per tutti i dati inerenti ad Arezzo.
Innanzitutto per poter operare su tali strutture, che fino a quel momento hanno agito indipendentemente l’una dalle altre, occorre stabilire un protocollo comune su cui costruire una fattiva integrazione, bisogna cioè omogeneizzare i prodotti ed i procedimenti che si intenderà condividere.
Questa fase “preparatoria” deve essere colta dal management sanitario come un’occasione per attuare una reingenerizzazione dei processi tendente soprattutto a semplificare e rendere più snelli molti procedimenti cercando di eliminare le inefficienze e ridurre al minimo i passaggi burocratici che rallentano considerevolmente lo svolgimento delle operazioni42.
Un altro problema da affrontare in tale fase è quella della realizzazione di una rete informatica che vada a costituire poi lo “scheletro” su cui basare l’integrazione interaziendale e lo scambio di informazioni e risorse.
Poste le basi si può procedere con l’analisi ABC dei prodotti detenuti in magazzino ottenendo una classificazione tipica dei beni secondo il Principio 80/20 di Pareto.
La condivisione delle risorse e delle informazioni, è sicuramente ottenibile per quanto concerne i prodotti di fascia “B” e “C”, non rappresentando questi materiali strategici, anche se nulla preclude simili progetti applicati anche a quelli di fascia”A”.
Ritornando allo studio in questione, per non riportare una serie infinita di dati e grafici ci soffermeremo sullo studio della gestione di un singolo prodotto. Ai fini della dimostrazione tale criterio può ritenersi valido in quanto se intervenissimo sulla totalità dei prodotti presenti in magazzino i vantaggi aumenterebbero in maniera più che proporzionale.
Consideriamo il nostro prodotto, che chiameremo “Prodotto A”, contenuto nei tre magazzini. La somma dei costi annuali dei singoli magazzini costituiranno il costo totale del distretto.
Il prodotto A presenta le seguenti caratteristiche: prezzo unitario 10€, i costi di stoccaggio giornalieri sono di 0,2€ per unità di merce presente in magazzino, costi di ordinazione43 sono quantificabili in 350€, costi di trasferimento44 € 150, ogni volta che si raggiunge il livello di riordino la quantità acquistata è di 500 unità.
A questo punto è opportuno continuare il nostro studio su due livelli paralleli: GESTIONE TRADIZIONALE in cui calcoleremo i costi scaturiti dalle singole gestioni dei magazzini presenti nel distretto e GESTIONE MAGAZZINO VIRTUALE in cui calcoleremo i costi della gestione congiunta dei magazzini.
La situazione attualmente adoperata è la GESTIONE TRADIZIONALE in base alla quale, per il prodotto A, in virtù di un lead time di consegna dei fornitori di sette giorni, il livello di riordino è pari a 220 unità, e la scorta di sicurezza è di 100.
Nella GESTIONE MAGAZZINO VIRTUALE, invece, si riesce ad eliminare l’esigenza di detenere scorte di sicurezza, cosicché si assiste ad una riduzione dei costi di stoccaggio che, nella loro componente principale, dipendono proporzionalmente dal volume delle merci presenti in magazzino45.
Si ottiene così un livello di riordino pari a 120 unità ed uno stock di sicurezza pari a zero.

grafico52

Figura 5.4 – Gestione Magazzino Virtuale./p>

L’azzeramento dello stock di sicurezza è stato reso possibile, in quanto, nel caso in cui un magazzino termini le scorte, il provider provvederà a trasferire prodotti da un magazzino provvisto a quello carente.
Considerando che la distanza media da percorrere è di 60 Km e che il trasporto è effettuato su strada, i prodotti saranno recapitati massimo in 30 minuti dalla richiesta.
Mettendo a confronto i due grafici (fig. 5.5) si evidenzia come con il Magazzino Virtuale la linea rossa rappresentante lo stock di sicurezza sia scomparsa (pari a zero) e quella blu rappresentante il livello di riordino sia considerevolmente traslata verso il basso.

grafico53

Figura n. 5.5 – Confronto fra Gestione Separata e Gestione Magazzino Virtuale.

Analizziamo come tale effetto influenzi i costi totali annui di magazzino:
nella GESTIONE TRADIZIONALE i costi totali annui sono dati dalla somma dei costi di ordinazione e costi di stoccaggio;
nella GESTIONE MAGAZZINO VIRTUALE oltre ad essere presenti queste due tipologie di costi, se ne aggiunge un’altra, i costi di trasferimento, cioè quelli affrontati per trasferire quantità di prodotti da un magazzino all’altro.
Simulando con un apposito software la gestione annuale di magazzino per il “Prodotto A”, con i parametri precedentemente riportati, si ottiene il seguente risultato:

grafico54

Tabella 5.4 – Risultati della simulazione./p>

Nel caso in questione, con il Magazzino Virtuale, si è riusciti ad ottenere un risparmio del 22% già dal primo anno.
Negli anni successivi tale percentuale può aumentare grazie ad un’ulteriore ottimizzazione delle scorte derivante da: uno studio delle esigenze dei singoli magazzini, analisi storiche, maggiori informazioni acquisite….
Nel grafico seguente si mette a confronto l’andamento dei costi totali annui di magazzino nella GESTIONE SEPARATA e nella GESTIONE MAGAZZINO VIRTUALE.

grafico55

Figura n. 5.6 – Andamento dei costi totali di magazzino

E’ interessante chiedersi come si è riusciti ad ottenere tale risultato. A tal proposito possiamo scomporre i costi totali di magazzino (inerenti alle scorte) in costi di ordinazione(fig. 5.7) e costi di stoccaggio (fig. 5.8).

grafico56

Figura n. 5.7 – Andamento dei costi totali di ordinazione

 grafico57

Figura n. 5.8 – Andamento dei costi totali di stoccaggio.

Delle 2 tipologie di costi si nota come il risparmio sia caratterizzato quasi esclusivamente dall’ottimizzazione dei costi di stoccaggio, mentre i costi di ordinazione, essendo costi indipendenti dalla quantità presente in magazzino, sono diminuiti solo leggermente.
Considerando poi che ogni USL acquista circa 14 milioni di euro l’anno di farmaci, e rapportando i risultati ottenuti dalla nostra simulazione alla totalità dei prodotti presenti in magazzino, si stima un risparmio annuo di 3.080.000 di euro su ciascun magazzino, quindi un risparmio distrettuale di ben 9.240.000.
Questo risparmio è inerente solo all’ottimizzazione della gestione delle scorte, ma grazie all’integrazione delle risorse ed informazioni si possono raggiungere ulteriori risultati.
Ad esempio rivedendo il processo di approvvigionamento nel quale sono impiegate notevoli risorse con il coinvolgimento (in media) di 30 persone.
Lo snellimento di tali procedure e il fatto di svolgerle a livello centralizzato consentirebbe ulteriori risparmi, che dovranno poi essere quantificati di caso in caso.
L’ottimizzazione del processo può così essere rappresentato:

grafico58

Figura 5.9 – Tratto da Presentazione CONSIP sul “Progetto per la razionalizzazione della spesa per beni e servizi sanitari”. Francesco Pavoni. Roland Berger & Partner

Inoltre la sola USL 8 di Arezzo nel 2002 ha effettuato 18.413 ordini di acquisto, per i quali ha ricevuto 17114 fatture. Il che significa una media di 320 fatture giornaliere. Per poter effettuare le procedure inerenti alla registrazione, controllo, catalogazione, emissione ordini di pagamenti… è necessario, anche in tal caso, l’impiego di ingenti risorse lavorative. Si stima che mediante il servizio di fornitura integrata, fornita con il Magazzino Virtuale, possa portare le fatture ricevute a meno di 1000, sollevando il personale impiegato da un consistente carico di lavoro potendolo così impiegare in altre attività più redditive46.

Nota 41: PSR Toscana
Nota 42: Vincenzo Marino, amministratore delegato Unitec (www.unitec.it)
Nota 43: Costo inerente ad una sola operazione di acquisto
Nota 44: Costo inerente ad una sola operazione di trasferimento.
Nota 45: Vincenzo Marino, amministratore delegato Unitec (www.unitec.it)
Nota 46: L’intero studio è stato condotto in collaborazione e secondo direttive del dott. Vincenzo Marino, amministratore delegato Unitec.

5.2.4. CONCLUSIONI

Nell’analisi appena presa in considerazione si è dimostrato come con il Magazzino Virtuale sia possibile ottenere un risparmio del 22% rispetto alla gestione tradizionale.
Bisogna sottolineare però che quello adottato è un modello in cui si considera un unico prodotto con determinate caratteristiche.
I parametri presi in considerazione rappresentano quindi una “situazione tipo” e sono stati adottati per fornire una dimostrazione quanto più prossima alla realtà.
Laddove il MV venga applicato alla gestione di prodotti che presentino caratteristiche diverse (indice di rotazione, costo unitario di stoccaggio, costi di trasporto….) o ad un magazzino che contenga una moltitudine di prodotti, si otterranno percentuali di risparmio diverse.
Bisogna però sottolineare che in base alle stime di UNITEC il risparmio medio ottenibile non dovrebbe discostarsi dai risultati conseguiti nella dimostrazione o perlomeno dovrebbero aggirarsi intorno al 20% già dal primo anno, con buoni margini di miglioramento per gli 47.
Vista la validità del modello e gli inequivocabili vantaggi che comporta, si ritiene che il Magazzino Virtuale possa proporsi nell’immediato futuro quale nuovo “modo di fare distretto” delineando nuovi orizzonti di efficienza per tutte le PMI e realtà distrettuali nelle quali sia possibile attivare un coordinamento ed una fattiva condivisione di informazioni e risorse.

Nota 47: Vincenzo Marino, amministratore delegato Unitec (www.unitec.it)

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