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Is the title of the Thesis introduced near the University “La Sapienza” of Rome rewarded with the best note.
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sapienza

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA
“LA SAPIENZA”
FACOLTÀDI ECONOMIA

Relatore

Prof.ssa
Marisa Amoroso

Candidato

Fabio Ulgiati
Matricola 05116863

TECNICA INDUSTRIALE E COMMERCIALE
Evoluzione dei rapporti di Business to Business tra piccole e medie imprese
IL CASO UNITEC

Sommario

Introduzione

Un ambiente in continuo mutamento, quale quello che sta caratterizzando le economie dei Paesi più industrializzati, può essere affrontato dalle imprese solo tramite l’ausilio di idonei strumenti gestionali, che consentano loro di affrontare in maniera più adeguata le sfide che il mercato propone continuamente. A seguito del rallentamento della crescita economica, dell’intensificarsi della competizione, dell’avvento delle nuove tecnologie, viene avvertita sempre più l’esigenza di definire e quindi realizzare scelte di tipo strategico. Già nei primi anni ’70 si comincia a parlare sempre più diffusamente di socie à dell’in.formazione, lì dove il mercato assurge ad una realtà caratterizzata dalla progressiva applicazione di tecnologie atte ad elaborare e trasmettere a distanza tale “risorsa”.

Nel momento in cui si introduce un nuovo canale di comunicazione, le conseguenze che ne derivano, vanno a costituire una vera e propria rivoluzione sia tecnologica che culturale ed Internet, ne è una testimonianza. L’economia diviene quindi sempre più in.forma ion in ensive, sia all’interno dell’azienda tramite l’In rane , che all’esterno della stessa, con In erne ed Ex rane , strumenti questi che rendono possibili rapporti diretti ed immediati con i propri partner commerciali, così da ottenere risposte in real ime circa il gradimento delle caratteristiche dei prodotti immessi sul mercato, offrire supporto per l’utilizzo degli stessi ovvero per promuovere e vendere i propri prodotti sulla base delle richieste avanzate dalle stesse imprese clienti, così da permettere una loro partecipazione attiva già nel processo produttivo.

Con lo sviluppo delle reti di trasmissione e di Internet, con l’emergere di concetti quali connettività e convergenza, con la diffusione congiunta dell’informatica e delle telecomunicazioni, l’impresa deve saper modificare il proprio modello organizzativo per sfruttare appieno le opportunità offerte da tali nuove tecnologie. Le sfide imposte dalla globalizzazione, richiedono infatti alle aziende di operare in un mercato dove velocità e globalità sono condizioni irrinunciabili, portando le stesse a modificare le proprie strategie ed a riorganizzarsi al fine di ridurre il ime- o-marke ed operare in tempo reale, con clienti, fornitori, partner e dipendenti. Il modello del mercato globale, grazie alle attuali disponibilità tecnologiche, permette la caduta delle barriere spazio/ temporali che in passato avevano regolato o limitato la competizione economica. Nella fase di transizione verso modelli aziendali totalmente orientati all’economia digitale, le imprese devono ripensare e riprogettare i processi interni nell’ottica di:

  • aumentare la propria competitività
  • migliorare la propria capacità di innovazione
  • migliorare la propria capacità di risposta ai mutamenti della domanda
  • aumentare la profittabilità
  • aumentare la soddisfazione dei clienti, il loro numero ed il loro grado di fedeltà

 Si tratta, sostanzialmente, di operare una reingegnerizzazione dei processi aziendali, processo, questo, che deve spingere le aziende in alcune precise direzioni: in primo luogo, verso l’individuazione di modelli organizzativi caratterizzati da più elevati livelli di efficienza, efficacia, flessibilità e reattività; secondariamente, verso una sempre maggiore condivisione delle

informazioni all’interno di una struttura aziendale allargata, di cui fanno parte fornitori, clienti e partner; ancora, verso un forte orientamento all’impresa- cliente, sulle cui esigenze ed aspettative, deve essere modellato l’intero sistema relazionale; infine, lo stesso processo, dovrà spingere le aziende verso l’individuazione e l’utilizzo di strumenti e metodologie finalizzate all’ottenimento e all’incremento del proprio vantaggio competitivo. Rispetto a ciascuno di questi orientamenti, la tecnologia svolge un ruolo primario e abilitante, favorendo in primo luogo la trasformazione e l’ottimizzazione delle relazioni esistenti tra l’azienda e le altre categorie di imprese con cui si interfaccia. La connessione continua con imprese clienti, partner, fornitori e dipendenti, diventa quindi essenziale e base imprescindibile di un nuovo modello di impresa: quello di “im resa es esa”.

Secondo tale modello, i flussi informativi che tradizionalmente collegano solo le principali funzioni aziendali (la produzione, la vendita, l’amministrazione, il marketing, ecc.), devono essere estesi anche all’esterno dell’azienda stessa, sfruttando la disponibilità di reti di comunicazione fisse e mobili (non solo Internet) per connettere tra loro i diversi soggetti del sistema. L’adozione del nuovo modello di business, conseguente o determinato dallo sviluppo di nuove situazioni competitive, basate anche sul commercio elettronico, comporterà il passaggio dell’azienda strutturata, in azienda virtuale, passaggio che si realizza, a livello organizzativo, tramite tutta una serie di modifiche, in alcuni casi di forte impatto sul tradizionale modus operandi delle imprese. Si pensi ad esempio alla necessità di modificare l’orientamento strategico dal focus sui prodotti a quello sui servizi, o alla necessità di modificare l’approccio al mercato da “reattivo” (veloce nell’adattarsi ai cambiamenti della domanda o della concorrenza) a “proattivo” (in grado, in pratica, di anticipare il

cambiamento), per ridurre progressivamente il lead- ime, così come richiesto dal paradigma della nuova economia globale. L’ingresso delle aziende nell’era digitale, ha comportato e sta ancora comportando, una fase di “turbolenza” in cui l’In.forma ion & Communica ion Tecnology, assume un ruolo strategico per le aziende, le quali devono quindi adeguare le proprie dotazioni, le proprie infrastrutture, le proprie strutture organizzative e strategie imprenditoriali onde competere secondo nuove regole ed in nuovi mercati.

 In una recente ricerca condotta dalla Sirmi(1) su una pluralità di aziende italiane, è stato osservato che il primo impatto di un’iniziativa di commercio elettronico sull’organizzazione e sui processi aziendali, è rappresentato dal potenziamento del marketing, seguito dalla necessità di rinvigorimento della funzione amministrativo-contabile (aspetto confermato anche dai notevoli accordi di partnership conclusi dalle aziende osservate con altre aziende esterne specializzate), dalle modifiche da apportare al processo produttivo e, quindi, tutta una rivisitazione della gestione relativa al processo logistico di consegna della produzione. Un aspetto da non sottovalutare, è poi rappresentato dall’elevata percentuale di indecisione nelle risposte degli imprenditori, sintomo questo di come manchi un’effettiva capacità di giudizio nell’analisi della propria situazione aziendale e, cosa più importante, di come la maggior parte di iniziative di e-business intraprese, si configurino ancora in una fase di “esperimento”.

Impatti del commercio elettronico sull’organizzazione e sui processi aziendali

Motivazione
Potenziamento del marketing 52.2%
Non sa, non risponde 30.1%
Potenziamento della logistica 21.2%
Modifiche al processo produttivo 19.5%
Revisione del processo di consegna 18.6%
Disintermediazione del canale 6.2%
Revisione del processo di approvvigionamento 5.3%
Nessuno 1.8%

(fonte www.Sirmi.it)

Per quanto concerne poi l’aspetto economico relativo all’implementazione di un progetto di e-business, i costi variano a seconda delle politiche strategiche perseguite dalle aziende nella realizzazione del progetto stesso: entrare in rete con un investimento limitato per verificare e sperimentare rapidamente la bontà dell’iniziativa e, quindi, in caso di esito positivo investire per potenziare il progetto ovvero, entrare in rete con un budget già di un certo rilievo per disporre, sin dall’inizio, di soluzioni complete, su cui effettuare in seguito interventi meno consistenti.

Sempre   da   un’analisi   effettuata dalla Sirmi(2),   possiamo   analizzare

graficamente, i costi sostenuti dal panorama delle imprese italiane per l’implementazione di un proprio sito, dove la maggior parte delle aziende, non ha investito nel progetto, più di 50 milioni, anche se esiste un’alta percentuale di imprese che non è in grado di rispondere poiché, sempre secondo la Sirmi, ha effettuato investimenti in diversi intervalli di tempo.

Costi medi sostenuti per realizzare un sito Internet

grafo1

(fonte www.Sirmi.it)

Un escamotage, onde ridurre il costo per l’implementazione di un sito, è la possibilità per le aziende, di affidarsi a società esterne, soprattutto quando la mancanza di competenze interne necessarie alla realizzazione del progetto, rappresentino un chiaro elemento di complessità.
La soluzione che però meglio si adatta al particolare sistema industriale italiano, centrato principalmente su sistemi di piccole imprese, è determinata dalla possibilità di sfruttare l’attività dei nuovi intermediari presenti in rete. L’obiettivo del presente lavoro, è proprio quello di individuare le possibili strategie di e-business che possano essere perseguite anche da tutte quelle imprese italiane le quali, non essendo dotate di ampi budget da investire in simili progetti, rimarrebbero di fatto escluse dalle nuove opportunità di business offerte dalla rete. Delineati i vantaggi aziendali derivanti dall’utilizzo della rete, si introdurrà il concetto del nuovo intermediario, l’in.fomediario, il quale avrà appunto il compito di coadiuvare, seguire e quindi permettere alle imprese, l’ottenimento dei vantaggi propri della new economy.

Ed è proprio in tale ambiente che sorgono nuovi soggetti collettivi, quali le comuni à online (o marketplace), in grado di permettere all’impresa uno sviluppo senza precedenti delle proprie dinamiche di apprendimento e collaborazione e, questo, tanto in ambito sociale quanto e soprattutto in ambito economico. Con lo sviluppo della rete infatti, si sono moltiplicate tali forme di intermediazione ed aggregazione aziendale e, le stesse comunità, tendono ora a divenire dei veri e propri modelli di riferimento per l’implementazione di progetti aziendali virtuali e complessi. Tramite tali modelli di intermediazione virtuale, vedremo come le imprese possono sia comunicare tra loro in maniera molto più efficace di quanto avveniva con i tradizionali strumenti di comunicazione interpersonale (telefono, fax, e progressivamente con e-mail) e di massa (televisione e radio), essendo gli spazi di discussione appositamente limitati a specifici settori industriali e, secondo, di come le imprese arrivano anche a cooperare in rete e quindi, dar vita anche a partnership di medio periodo in nuovi contesti virtuali, dove costi, tempi di progettazione e distanze geografiche (che hanno da sempre rappresentato un forte ostacolo allo sviluppo delle relazioni interaziendali), risultano notevolmente inferiori rispetto a quelli propri del contesto territoriale tradizionale. Avviare comunità verticali nei settori tipici del made in i aly, potrebbe infatti costituire sia una strategia per valorizzare il patrimonio di relazioni già attivo in specifiche aree economiche (distretti industriali o localismi produttivi), sia per permettere alle PMI un’effettiva accelerazione delle dinamiche di internazionalizzazione.

1°: IL COMMERCIO ELETTRONICO

1.1. La nascita di Internet

L’affermazione e la diffusione di Internet, costituiscono uno dei più importanti fenomeni di questi ultimi anni. La nascita di Internet risale alla fine degli anni sessanta, quando il Dipartimento della difesa degli Stati Uniti volle creare un sistema di collegamento tra vari computer, in modo che fossero in grado di operare anche nel caso in cui uno solo fra questi fosse danneggiato o distrutto. Solo alla fine degli anni ’80, lo scienziato Tim Berners-Lee, concepì un nuovo sistema di accesso alle informazioni contenute in Internet, il World Wide Web (WWW), ossia uno spazio nell’ambito di Internet che permette di collegare una qualsiasi informazione ad una fonte inserita nella “re e” tramite Internet.

Sino ai primi anni ’90, Internet fu utilizzato solo da scienziati e ricercatori, ma da qualche anno, un numero sempre maggiore di operatori commerciali ha mostrato un interesse crescente verso detta realtà ed infatti, alla fine del 1997, gli utilizzatori mondiali di Internet avevano superato i settanta milioni, con una previsione di trecento milioni per il 2005, con un incremento del 60% negli Stati Uniti, un raddoppio in Europa ed un incremento più consistente nel resto del mondo (fonte brochure “Internet in breve” di Virgilio).

Incremento degli utilizzatori di Internet nel mondo.
grafo2

 (N.B. dati in percentuale fonte Datamonitor 1999)

Per avere poi un’idea ancor più precisa sul fenomeno Internet, basta pensare che nel luglio 2000, i domini Internet registrati erano 17.804.717, dei quali

9.842.427 con suffisso “com” e 283.860 con suffisso “it” (domini italiani). Inoltre, le persone collegate tra loro in lingua inglese erano più di 172 milioni e quelli in diversa lingua più di 163 milioni, mentre quelli collegati in lingua italiana erano quasi 10 milioni (fonte brochure “Internet in breve” di Virgilio).

 Il fenomeno Internet, ha fatto presa sull’immaginario collettivo, anche nel nostro Paese, tanto che la stampa dedica volentieri titoli alla sua crescita esponenziale ed ai relativi benefici per le imprese presenti online, dipingendo al tempo stesso scenari bui per coloro che non si adegueranno.grafo3

(fonte www.Jup.com 2000, dati in milioni)

 Internet, può essere studiato sotto tre distinti punti di vista:

  • un filone ecnico che valuta la crescita della rete, con particolare attenzione alle tariffe telefoniche, tempi d’attesa, portata, potenza, prezzi e diffusione dei computer, sicurezza nelle transazioni e nei pagamenti e tutto ciò che quindi concerne un aspetto tecnologico;
  • un filone sociologico che analizza Internet nelle sue caratteristiche di mezzo di comunicazione ed intrattenimento nelle relazioni interpersonali e quindi ciò che concerne l’aspetto relazionale del fenomeno;
  • un filone di lusiness il quale affronta i case   is ory delle imprese che hanno effettivamente ottenuto successi con il Commercio online, analizzando le strategie attuate per ottenere vantaggi competitivi nella nuova realtà economica.

Con Internet, le distanze geografiche tra gli operatori, non costituiscono più barriere ma anzi, queste, tendono ad annullarsi per cui si assiste alla creazione di una autostrada dell’informazione con importanti effetti sull’economia e sulla società. Anche se è difficile stabilire se l’impatto di Internet sarà superiore a quello delle altre innovazioni manifestatesi nel campo della comunicazione, tipo stampa e televisione, può sicuramente sostenersi che siamo in presenza di un fenomeno che non rappresenta una moda passeggera.

Internet è ancora percepito come un qualcosa di s erimen ale per cui non gli è dedicata troppa attenzione e questo vuol dire rimandare ad un indefinito futuro una attenta analisi di come questo nuovo strumento di marketing, comunicazione e business, possa costituire una nuova opportunità strategica per l’azienda o, di converso, possa rappresentare una minaccia nelle mani della concorrenza. Una delle osservazioni più comuni, fatte in questo senso, è la seguente: “se nessuno dei miei concorren i lo u ilizza allora vuol dire c e non vale la ena u ilizzarlo”.

Purtroppo le aziende che a tutt’oggi hanno in ogni caso deciso di entrare in Internet, considerano tal evento in un’ottica one s o , ossia un’operazione da compiere una sola volta e con poche modifiche da apportare alle strategie, nel corso del tempo.

Ovviamente non è questo il giusto approccio poiché, sfruttare al meglio la rete, significa “ado arlo” come un nuovo processi di comunicazione, collaborazione e vendita aziendale. Questo implica investire tempo, nella continua attenzione alle opportunità e minacce proposte dal mercato ed alle mutevoli esigenze delle imprese clienti di riferimento, ma anche risorse, per una corretta formazione professionale del personale addetto a tale funzione aziendale. Purtroppo però le aziende, tendono ad investire troppo poco su tali progetti e questo, sia in termini di budget, risorse professionali e temporali, vista la consuetudine di voler valutare i risultati, o ritorni economici, sempre più nel breve periodo.

Affrontare efficacemente ed efficientemente tutte le difficoltà legate allo sviluppo di progetti di e-business, comporta sicuramente una seria progettazione di investimenti e di modifiche consistenti delle strutture, procedure e filosofie aziendali e, se una grande azienda non sarà probabilmente in grado di affrontare in breve tempo questo cambiamento, lo stesso non è per tutte quelle aziende di più piccole dimensioni, i cui vantaggi competitivi si basano proprio sulla capacità di dare immediate risposte alle mutevoli condizioni del mercato.

1.2. Alcune definizioni del Commercio elettronico

L’economia digitale, come ogni altra rivoluzione socio-economica, rappresenta una grande promessa ed al tempo stesso una grande minaccia. Nel giro di pochissimo tempo, Internet ha infatti accelerato la trasformazione del processo di produzione-distribuzione-consumo, contribuendo in maniera determinante alla popolarizzazione del concetto di “Commercio elettronico”J
Il commercio elettronico, è da intendersi in diverse accezioni, ed allora si farà riferimento al Business to Consumer, che si sviluppa sulla rete pubblica di Internet, quando l’offerta è diretta dall’impresa all’utente finale (consumatore); di Business to Business nel caso di relazioni tra imprese collegate tramite infrastrutture ad accesso regolato (Internet, Extranet o Virtual Private Network).
Da un punto di vista prettamente giuridico, per commercio elettronico, deve intendersi quella tecnica che consente di concludere il contratto mediante lo scambio di una proposta e di una accettazione, redatti e trasmessi su supporti informatici, tra soggetti distanti, pervenendo quindi a quello che comunemente viene definito “con ra o ele ronico”J Assume quindi fondamentale importanza, la rilevanza giuridica che codesto documento informatico deve possedere, alla stregua di quello cartaceo. Da un punto di vista più aziendale, il Commercio elettronico, può definirsi come lo svolgimento di attività e
transazioni commerciali effettuate per via elettronica (KOTLER, ARMSTRONG, SAUNDERS e WONG, IN “Principles of marketing”, 1999, pp. 966, da “Il Commercio elettronico” di SCOTT W.G., Isedi, 1999 pp. 12);

ancora come la commercializzazione di beni e servizi, a partire dall’ordinativo del prodotto e/o servizio al suo pagamento, la distribuzione on-line di contenuti digitali, la conclusione telematica di operazioni finanziarie e di borsa, la trasmissione elettronica delle informazioni, inclusi testi, suoni e video- immagini, comprese eventuali procedure transattive attuabili dalla Pubblica Amministrazione (Commissione dell’Unione Europea 1997).

Kosiur(2), nel 1997, definiva il commercio elettronico come quel sistema che considera non solo le transazioni che si manifestano nell’acquisto e nella vendita di beni e servizi al fine di generare ricavi, ma anche tutte quelle transazioni che supportano la generazione di ricavi, quali la promozione della domanda, l’offerta di assistenza di vendita e di servizio alla clientela e, quindi, lo sviluppo della comunicazione tra imprese.

1.3 Classificazione del commercio elettronico

Per effettuare uno studio sulla portata e sul significato del Commercio elettronico, occorre considerare la prospettiva entro cui questo si pone. In una prospettiva di comunicazione, il Commercio elettronico può considerarsi come la diffusione di informazioni tra imprese ed organizzazioni, circa le loro attività, i relativi prodotti e servizi. In una prospettiva relazionale invece, il Commercio elettronico consiste nell’insieme di soluzioni volte ad accrescere l’efficienza e l’efficacia degli strumenti utilizzati delle imprese per promuovere, sviluppare e consolidare le relazioni commerciali con la propria clientela, attuale e potenziale. Ebbene, il Commercio elettronico, può essere classificato in relazione alle diverse categorie di soggetti coinvolti nei rapporti e nelle transazioni stesse:

  • Business to Business o BTB

Il commercio elettronico di tipo BTB(1), è quell’attività di scambio di beni e servizi tra imprese, le quali sfruttano la rete per ottenere nuove opportunità di business. Detta attività di scambio, può essere condotta dalle imprese fornitrici ed acquirenti, in modo diretto, tramite i siti aziendali privati, ovvero indirettamente, tramite l’ausilio di particolari intermediari che facilitano l’incontro tra le imprese stesse.

  • Business to Consumer o BTC

La forma di Commercio elettronico più conosciuta, è rappresentata dalla gestione delle transazioni informative e commerciali tra imprese e consumatori finali. Questa attività, rappresenta la naturale espansione delle attività di tipo Business to Business (BTB), e può svilupparsi a diversi livelli di complessità, a partire dalla “semplice” promozione on line della propria offerta commerciale, alla possibilità data al consumatore, di effettuare l’acquisto del prodotto o servizio via Internet, sino ad arrivare alla regolazione online del pagamento. Sostanzialmente, viene riprodotta in modo virtuale, l’attività normalmente compiuta dall’operatore economico nel commercio tradizionale. Questo modus operandi, permette alle imprese, maggiormente permeabili alle innovazioni ed agli stimoli del mercato, di sfruttare strategie di one o one marke ing, servendo, tuttavia, mercati di massa. Certamente, nel Business to Consumer, un’importante scelta aziendale, è quella di offrire un supporto di servizi ed infrastrutture tecniche necessarie a garantire una sicura vendita online, vista l’esistenza della preoccupazione e diffidenza dell’utente finale circa la sicurezza dei pagamenti e della reale identità del contraente.

La società di ricerca Bonn Consultancy Empirion(2), ha recentemente

intervistato un campione di 7.700 cittadini appartenenti a 10 Paesi europei, tra i quali Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Spagna, chiedendo quanto avessero speso, nei mesi precedenti, per acquisti di beni tramite la rete.

Secondo un calcolo annuale, gli europei avrebbero speso ben 16 miliardi di euro (31 mila miliardi di lire). Nel Regno Unito, le transazioni via rete superano i 5 miliardi di Euro, mentre l’Italia e’ ancora in ritardo, con un volume di vendite di appena 1,1 miliardi di Euro (2.130 miliardi di lire). Prima degli italiani, troviamo i tedeschi, che spendono 3,6 miliardi di Euro ed i francesi con

3,4 miliardi di Euro.

Le effettive dimensioni del fenomeno, si comprendono meglio se si guarda il consumo pro-capite: la Finlandia e’ al primo posto con 200 Euro (387 mila lire), seguita dalla Danimarca con 160 Euro, mentre l’Italia e’ fra gli ultimi con una spesa di appena 20 Euro (39 mila lire) a persona.

Paesi Consumo totale in milioni di Euro Consumo pro-capite in Euro
Danimarca 700 160
Finlandia 800 200
Francia 3.400 80
Germania 3.600 50
Italia 1.100 20
Spagna 400 10
Regno Unito 5.300 110
Totale 15.000 80

(Fonte www.vendite.net, news 2001)

Le applicazioni più interessanti, per questa tipologia di commercio on line, si hanno nei prodotti editoriali, servizi turistici, bancari e finanziari e nei prodotti software per computer. In ogni caso, il business to consumer, permette di stabilire un rapporto interattivo con il cliente e di effettuare una personalizzazione dell’offerta, per cui l’intrattenimento del consumatore nel sito, svolgerà comunque un ruolo fondamentale per la diffusione dell’e- commerce. Comunque venga considerato, l’e-commerce, nei suoi diversi aspetti, sta radicalmente trasformando i modelli e i processi di business, le modalità di presenza sui mercati e le relazioni con i consumatori. Le piccole e medie imprese che comprendono l’importanza del Commercio elettronico, sezione to Consumer, continuano ad investire in tale realtà, creando delle “Comuni à Vir uali”, “Negozi vir uali” o “Re i di im rese”.

Le “Comunità virtuali” sono ambienti virtuali che aggregano diversi soggetti, geograficamente distanti tra loro così da permettere agli stessi, di “incontrarsi” e discutere su argomenti di interesse comune. I siti che ospitano comunità virtuali sono in forte crescita ovunque e ciò a dimostrazione di come Internet non soddisfi solo esigenze di informazione, assurgendo sempre più ad uno spazio di socializzazione e di incontro.

Poiché le comunità virtuali sono costituite sulla base di interessi condivisi, costituiscono di fatto, target già selezionati per possibili azioni di e-commerce. L’apertura di rapporti di collaborazione con una comunità virtuale permette all’impresa di comprendere meglio il proprio target, e di coinvolgerlo nella progettazione e nella valutazione dell’offerta. Ciò è possibile sviluppando gradualmente livelli di interattività sempre più complessi. Ebbene, questa sinergia informativa, si rivela particolarmente utile per le PMI, visto che con Internet è possibile sviluppare relazioni dirette e durature con i consumatori finali, fino a coinvolgerli nella realizzazione di nuovi prodotti e servizi, raggiungendo così maggiori gradi di personalizzazione dei prodotti da offrire.

Un “negozio virtuale”, può essere definito, da un punto di vista tecnologico, come un insieme di infrastrutture ed applicazioni che consentono la gestione in Internet del processo di vendita di beni o servizi. Questo, è costituito da diverse funzioni aziendali, organizzate in modo tale per rendere efficiente l’intero processo della transazione commerciale:

  • Interfaccia pubblica, con la quale si presenta il negozio, i prodotti e le promozioni, consentendo al sur.fer (visitatore), di ricercare facilmente gli articoli presenti, guidandolo lungo tutto il processo d’acquisto;
  • Interfaccia gestionale, la quale consente la gestione dell’assortimento, la definizione e l’applicazione delle condizioni di vendita ed il controllo dell’attività (compresi gli aspetti di marketing e di customer database);
  • Database prodotti, dove si raccolgono le informazioni sugli articoli in vendita per informare i visitatori circa le caratteristiche e disponibilità degli stessi;
  • Carrello virtuale, che consente di selezionare più prodotti situati in diverse sezioni del sito, per poi ritrovarli tutti al termine della visita ed effettuarne così l’acquisto;
  • Cassa, con la quale si riepilogano le specifiche dell’ordine, informando l’acquirente delle condizioni di vendita; consentendogli di eliminare gli articoli non più desiderati, scegliere le modalità di pagamento, di consegna e le specifiche di sicurezza sull’inoltro e pagamento dell’ordinativo effettuato;
  • Pagamento, che conclude il processo di acquisto. Questo, può avvenire a conferma differita o in tempo reale, a seconda degli accordi presi con il sistema bancario.

 Un’altra strategia perseguibile, è quella che vede la creazione di una “Rete di imprese”, costituita da un insieme di aziende che, appartenendo alla medesima catena del valore, sviluppano in modo integrato attività di Commercio elettronico, al fine precipuo di soddisfare al meglio le richieste provenienti dal mercato. Questo tipo di organizzazione è resa possibile dall’uso dalle moderne tecnologie dell’informazione e dalle opportunità di collaborazione generate da Internet, costituendo, di fatto, un’unica impresa virtuale. Concretamente, tali imprese, sono connesse tra loro, tramite un’infrastruttura di reti Intranet ed Extranet, in modo tale da poter integrare i vari processi operativi delle diverse realtà aziendali senza limiti geografici o temporali, per cui ogni soggetto della rete copre un singolo segmento della catena del valore necessaria a produrre un bene o un servizio; ripartendo così il rischio di impresa tra tutte le imprese partecipanti. Pur trattandosi di una struttura organizzativa articolata, che si fonda sui rapporti fiduciari sviluppati tra i vari attori, è possibile valorizzare le competenze distintive di ciascun partner, gli skill, e quindi flessibilità, abilità comunicativa e capacità di gestione del cambiamento divengono i fattori critici di successo dell’impresa virtuale.

  • Consumer to Consumer

Questa è la forma più recente di Commercio elettronico tra consumatori finali, resa possibile dallo sviluppo sulla rete, di siti che organizzano aste online per diverse categorie merceologiche di beni, che gli utenti possono scambiarsi. Il sito, organizza l’asta, fissando sia le modalità di funzionamento, sia l’ambiente entro cui si svolgerà la transazione commerciale tra i consumatori, i quali potranno, previa registrazione al sito, interagire tra loro e definire anche le modalità di pagamento e consegna dei beni acquistati. Il sito quindi, non offre servizi aggiuntivi al semplice incontro tra domanda ed offerta, per cui si farà garante esclusivamente della reale identità delle parti che partecipano all’asta stessa.

  • Business to Administration

Questo rapporto commerciale online, si instaura tra la Pubblica Amministrazione e le imprese. Le imprese possono, ad esempio, partecipare a gare di appalto indette dalla P.A. direttamente online, la quale, a sua volta, potrà effettuare la ricerca delle aziende tramite Internet, così da richiedere la partecipazione di un più elevato numero di imprese all’appalto stesso. Questo settore, potrà espandersi solo se, in un prossimo futuro, avremo modo di assistere ad un radicale cambiamento di mentalità e diverso atteggiamento della classe politica dirigenziale presente nella maggior parte strutture Statali e locali.

1.4 Il Business to Business

Nel Business to Business, l’attività di e-business interessa gli scambi di dati ed informazioni, materie prime, semilavorati, personale, ecc., tra fornitori, partner produttivi e distributori commerciali. La possibilità di scambiare, a bassissimo costo ed in tempo reale informazioni su processi e prodotti aziendali, determina una diminuzione dei costi di gestione ed una ottimizzazione dei tempi di produzione. Ricorrere ad aziende esterne specializzate (outsourcing), diviene quindi una strategia più ragionevole rispetto alla copertura in proprio di tutti i segmenti della catena del valore cosicché, ciascun partner, riesce a valorizzare al meglio il proprio ruolo e know-how. I primi sviluppi dei rapporti di BTB, risalgono agli anni ’70, dove le prime esperienze di EDI consentivano scambi di informazioni e documenti tra imprese tramite reti di comunicazione private e linee dedicate molto costose che, di fatto, limitavano la loro usabilità ad un numero ristretto di imprese. L’avvento di Internet ha segnato una vera e propria svolta epocale, in quanto ciò ha consentito, grazie all’impiego di Internet ed Extranet, di inserire le aziende e le organizzazioni commerciali, in sistemi di comunicazione globale. I principali fattori, che hanno determinato la rapida e continua crescita del BTB, possono essere ricercati in primis, nei bassi costi che le imprese hanno dovuto sostenere per la realizzazione di un proprio sito anche se, sotto questo punto di vista, una semplice presenza in Internet non ha offerto vantaggi competitivi, stante la crescita esponenziale delle aziende che si apprestano ad entrare in rete. Grazie al basso costo di entrata, è anche possibile ottenere un rapido ritorno degli investimenti. Un fornitore che pubblica online il proprio catalogo prodotti, offrendo anche un supporto all’impresa cliente per l’uso del prodotto, ottiene ad esempio una immediata riduzione dei costi che solitamente deve sostenere per tutta una serie di documenti cartacei necessari sia per effettuare l’ordine dello stesso, sia per la consegna della merce (bolle, fatture, ecc). Un altro fattore molto importante per la crescita del BTB, è rappresentato dalla connettività e comunicazione che l’impresa riesce ad ottenere con l’utilizzo della posta elettronica, così da risparmiare tempo e denaro nella spedizione dei messaggi pubblicitari di marketing, di conferme di ordini e di consegne, nella raccolta di informazioni sulle offerte ed opportunità di mercato, sullo studio della concorrenza e così via. Il BTB, essendo poi riuscito a raggiungere una propria massa critica, intesa come capacità di Internet di attrarre nuovi utenti grazie al suo successo, ha permesso a soggetti geograficamente molto distanti tra loro, di poter facilmente entrare in contatto, favorendo così gli interscambi e quindi lo sviluppo di reti di imprese; ciò anche a vantaggio delle PMI, visto che senza lo sviluppo della rete e quindi della comunicazione globale ad esse offerta, non avrebbero mai avuto la possibilità di accedere a mercati geograficamente distanti. E’ poi opportuno distinguere, in termini di modalità di svolgimento dei rapporti di tipo Business to Business, tra dire o ed indire o, in funzione delle prerogative dell’oggetto   della contrattazione. Nel caso del BTB diretto, o   rocess ma c ing(1), la rete si  propone come mezzo tramite la quale transitano tutte le informazioni tipiche di un rapporto di compravendita, a partire dall’ordine di acquisto dell’acquirente, alla fattura emessa dal fornitore, sino alla contabile della banca comprovante l’avvenuto pagamento/incasso della fornitura. Il bene digitale ed a maggior ragione i servizi, oltre a poter essere ordinati e pagati direttamente in rete, possono anche essere consegnati tramite tali infrastrutture. Le transazioni commerciali tra aziende e clienti, prescindono in questo caso dai confini geografici, permettendo così all’impresa di sfruttare al meglio tutte le potenzialità del mercato elettronico globale.

Nel caso del BTB indiretto, il cosiddetto order ma c ing(2), la rete si propone  come semplice punto di incontro tra domanda ed offerta, facilitando così la sola raccolta di informazioni standard, riconducibili a specifiche opportunità di acquisto e vendita di beni. In questo caso, le aziende, comunicano ai potenziali clienti, la propria offerta commerciale offrendo eventualmente la possibilità di effettuare l’ordinativo del prodotto per via elettronica, costringendo però gli acquirenti interessati alla fornitura, a servirsi dei canali di tipo tradizionale, quali la posta o i corrieri commerciali per la consegna fisica del bene. Occorre stabilire in questo caso, una stretta relazione tra componenti elettroniche ed infrastrutturali del commercio, nel senso che l’efficacia del commercio elettronico indiretto, dipende anche da una serie di fattori ambientali esterni all’organizzazione dell’azienda, quali l’efficienza del sistema dei trasporti e dei canali fisici di distribuzione.

Tanto il commercio elettronico diretto, quanto quello indiretto, offrono opportunità e vantaggi specifici alle aziende: spesso vengono praticate entrambe le possibilità di politica commerciale, affiancando ai canali di distribuzione tradizionale, le attività di vendita online, condotte però tramite un’oculata gestione dei possibili conflitti di canale che potrebbero sorgere. Soprattutto nelle piccole e medie aziende fornitrici di servizi, le possibilità di business offerte dalla rete,  sono inimmaginabili, visto che, essendo caratterizzate da un’ampia flessibilità e versatilità al cambiamento indotto da Internet, possono perseguire strategie di internazionalizzazione anche a costi zero o quantomeno, molto contenuti, vista l’assenza di vincoli determinati dalla distribuzione fisica del prodotto sul territorio. La maggior quota delle transazioni commerciali di BTB, avviene tramite relazioni dirette tra l’azienda ed i suoi fornitori e/o clienti, così da creare un’integrazione tra la funzione d’acquisto e vendita, di trasposto, di gestione del magazzino e soprattutto, del processo produttivo.

1.5 Le dimensioni del Business to Business

Il commercio elettronico svolto tra imprese è, a detta delle maggiori società di ricerca, l’attività più promettente e dinamica del fenomeno business in Internet. Stando ai risultati di un’analisi sviluppata dalla Forrester Research, il valore del commercio sviluppato tramite Internet, ha raggiunto in Europa, nel 1999, quasi

550 miliardi di Euro e la stima per il 2004, ammonta a più di 2500 miliardi di Euro. La crescita del Commercio elettronico può poi essere confrontata distinguendo il settore Business to Business da quello Business to Consumer, evincendo come la porzione del mercato consumer, sia solo una parte del volume d’affari prodotto tramite la rete Internet in quanto quella più significativa, è rappresentata dalle transazioni commerciali effettuate tra aziende. Sempre secondo Forrester Research, nel 2004, l’Italia sarà il quarto Paese europeo per valore economico transato (165 miliardi di Euro).

 Previsione delle vendite europee in milioni di Euro

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(fonte Forrester Research 1999)

Per quanto concerne lo sviluppo futuro del BTB, prendendo in esame i dati che emergono dagli studi effettuati dalle principali società di ricerca mondiali, possiamo rilevare come i risultati stessi differiscano in parte tra loro (non tutte, infatti, utilizzano la stessa definizione di commercio elettronico in quanto alcune si riferiscono a tutto il processo d’acquisto concluso tramite la rete, altre invece al solo ordine trasmesso online), ma tutte sono concordi nel ritenere esplosivo l’impatto del BTB, non appena Internet venga riconosciuto ed accettato quale veicolo ottimale per gli acquisti interaziendali.

Secondo l’analisi condotta dalla società IDC, lo sviluppo futuro del BTB, vede un passaggio negli U.S.A. dai 50 miliardi di dollari del 1999 ai 633 miliardi di dollari del 2003, mentre la stima mondiale, prevede uno sviluppo che va dagli 80 miliardi di dollari del 1999 ai 1.100 miliardi di dollari del 2003.

(fonte: Goldam Sachs, B2B: 2B or not 2B?, da www.gs.com)

Secondo la IDC quindi, nel prossimo futuro ci sarà un incremento del BTB soprattutto nei Paesi Occidentali i quali recupereranno quel ga che li separa dagli U.S.A., pionieri del settore.

Lo studio condotto dalla Forrester Research, dimostra invece come il BTB americano, sia passato in termini previsionali, dai 109 miliardi di dollari del 1999 ai 1331 miliardi di dollari del 2003 (considerando anche le transazioni non completamente concluse tramite la rete), il quale rappresenterà l’86% del commercio elettronico totale (considerando il settore BTB e BTC).

(fonte: Goldam Sachs, B2B: 2B or not 2B?, da www.gs.com)

I risultati ottenuti dalla ricerca condotta dalla Goldman Sachs, sono ancora differenti e prevedono uno sviluppo del BTB statunitense, con un passaggio dai 39 miliardi di dollari del 1998 ai 1500 miliardi di dollari del 2005.

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(fonte Goldam Sachs, B2B: 2B or not 2B?, da www.gs.com)

Per quanto concerne la situazione italiana, possiamo analizzare la ricerca condotta dalla società Jupiter, la quale prevede uno sviluppo futuro del “nostro” BTB, con un passaggio dai 24 miliardi di Euro del 2001 ai 357 miliardi di Euro del 2005.

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(fonte: Jupiter: “Growth of online BTB trade in Italy”, su www.jup.com)

In linea con le tendenze generali, aumentano sempre più le imprese presenti in rete e queste rappresentano il 40% del totale¹ , anche se, purtroppo, il sito aziendale è ancora inteso, nella maggior parte dei casi, come vetrina o catalogo, e viene raramente utilizzato per la vendita di prodotti e servizi per cui si assiste ad una sorta di expo virtuale dell’azienda e dei suoi prodotti o servizi.
A tal fine, è molto utile analizzare la curva del ciclo di vita di una tecnologia descritta dalla società di ricerca Goldman Sachs² , che ben si adatta allo studio del ciclo di adozione del commercio elettronico Business to Business.

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(fonte Goldam Sachs, B2B: 2B or not 2B?, da www.gs.com)

Il mutamento da economia locale a globale, richiede infatti evidenti cambiamenti, non solo strutturali ma anche e soprattutto di tipo mentale, un nuovo atteggiamento quindi, che i manager devono necessariamente assumere. La proiezione aziendale verso l’e-commerce e, ancor più verso l’e-business, è un processo complesso ed è un passaggio strategico che va preparato con molta cura. Il primo passo che le aziende devono compiere, è maturare una consapevolezza di quanto sia cruciale utilizzare Internet per conquistare o tutelare la propria competitività.

Oltre al problema della mentalità, l’imprese deve disporre di risorse, competenze e tecnologie ed essendo poche le aziende che possiedono al loro interno quanto necessario allo sviluppo di un progetto di BTB, è necessario che le stesse si affidaino ad imprese partner con le quali sviluppare il piano di transizione.

Molte aziende, esitano infatti ad impegnarsi nel BTB e, ancor più a ripensare le proprie strategie di business in linea con le nuove opportunità, soprattutto perché:

  • esiste una mancanza di consapevolezza e comprensione delle opportunità e delle implicazioni circa il modello di business più appropriato;
  • preoccupazione circa i costi totali per lo sviluppo del progetto, inclusi i costi di formazione del personale e delle telecomunicazioni (in Europa e soprattutto in Italia);
  • timori per la sicurezza delle informazioni più importanti, come dati e conoscenze di importanza strategica. L’impresa infatti, non è ancora pronta a condividere con altri soggetti le proprie informazioni per cui, non permettendo ai propri fornitori di conoscere i propri da a lase, difficilmente riuscirà a predisporre in automatico ed in tempo reale i propri piani di produzione e fornitura;
  • preoccupazioni sulla mancanza di standard compatibili per le transazioni economiche tra imprese appartenenti a Paesi diversi;
  • incertezza sulla legge o quadro legale di riferimento applicabile;
  • scarsa utilizzabilità delle tecnologie, difficoltà nello svolgere attività di commercio online complesse, che vadano oltre la semplice presenza in rete.

In Italia, il fenomeno dell’è-business, è ancora allo stato nascente e quindi lontano dalle esperienze degli Stati Uniti. Secondo le proiezioni di diverse società di ricerca, il ritardo economico ammonterebbe a circa 5 anni (anche se questo, per certi versi, non rappresenterebbe uno svantaggio in quanto, visti i risultati raggiunti e le problematiche verificatesi negli USA, potrebbe costituire utile indicazione le la risoluzione dei i problemi operativi riscontati nelle loro esperienze maturate) e ciò dipenderebbe soprattutto dalla scarsa presenza “operativa” delle nostre imprese sul Web e dalla reticenza dei manager ad affrontare il cambiamento.

Numero di imprese italiane con sito

Settori 1 8 1 2000 2001
Finanza 1.080 2.169 4.126 7.070
Industria 42.426 74.953 120.554 182.119
Commercio 14.710 27.185 56.600 103.479
Servizi 26.760 51.810 100.020 174.970

(fonte www.Sirmi.it, 2000)

Secondo una ricerca condotta dalla Databank Consoulting(3), nei primi mesi del 2000, solo il 10% delle aziende italiane, risultava connesse ad Internet con un vero e proprio abbonamento e, una percentuale ancora minore, può disporre di una Extranet.
Tuttavia, secondo le previsioni, aumenterà nelle aziende la consapevolezza di come la rete sia uno strumento fondamentale, che porterà a ripensare l’organizzazione aziendale.

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(fonte Databank Consulting)

 

Esiste una ampia gamma di imprese, soprattutto medio/piccole, interessate all’utilizzo di Internet quale canale commerciale ma che non entrano nella nuova realtà economica perché non ancora automatizzate. Sicuramente, tali problematiche, potranno superarsi con l’aumento della dimestichezza e dell’esperienza circa l’uso delle tecnologie Web; con l’adozione di protocolli standard che consentano una maggior diffusione ed integrazione delle tecnologie stesse nelle imprese; con lo sviluppo di applicazioni standardizzate, sempre più aderenti alle specifiche esigenze dell’impresa; una crescente vischiosità delle applicazioni di BTB, con cui generare fiducia verso i clienti, così da spingerli a rinnovare le transazioni commerciali.

Una volta però che l’impresa abbia implementato nuove soluzioni operative online, riuscirà a creare molto velocemente nuovo valore economico. L’Europa risulta un mercato promettente per il BTB ed infatti, in base a stime previste dalla società di ricerca Jupiter, le transazioni commerciali nell’Europa occidentale hanno attualmente un valore pari a 5,6 miliardi di dollari(4), interessando sia il segmento business to business che quello business to consumer. Quindi il BTB il quale comprende le transazioni effettuate tra partner produttivi e commerciali, porta alla creazione di reti di imprese consentendo di ottimizzare e valorizzare l’apporto di ciascuna impresa partner alla catena del valore. Tale modello   si rivela quindi, particolarmente vantaggioso per le PMI.

1.6. Fattori di sviluppo del Business to business indotti da Internet

Lo sviluppo del BTB, ha come fondamentale presupposto, la presa di coscienza da parte delle imprese di alcune caratteristiche fondamentali di Internet che permettono loro, di ottenere vantaggi competitivi. Queste caratteristiche, possono essere così schematizzate:

Disponibilità online immediata
Le aziende che operano nel BTB e quindi presenti in rete, possono essere raggiunte dalla propria clientela, sia essa ordinaria che potenziale, 24 ore su 24, creando così un’indipendenza dal tempo. Ciò, permette all’impresa di separare il servizio al cliente dalla sua disponibilità, a prescindere quindi dalle differenze temporali. Una strategia molto importante, da non sottovalutare, è quella di sviluppare all’interno dell’azienda, degli agenti intelligenti che possano rispondere e servire il cliente in ogni momento, almeno nelle richieste ripetitive, tipo informazioni, ordini ed assistenza standard pre e post vendita, controllo automatico dello stato di spedizione delle forniture, prescindendo così dai limiti tradizionali imposti dagli orari di apertura e chiusura dell’azienda.

Globalità
La crescente concorrenza aziendale, generata dalla globalità dei mercati, incoraggia sicuramente l’adozione di modelli BTB. Le aziende, possono pertanto accedere a partner sparsi in tutto il mondo, come del resto le imprese clienti avere accesso alla totalità dei fornitori, con ciò determinando l’apertura di nuovi mercati, relativamente a bassi costi. E’ infatti possibile, stringere partnership aziendali, con imprese sparse nel globo, in grado di offrire alle aziende, con la loro collaborazione, il raggiungimento di vantaggi competitivi. Quanto detto, si verifica nel preciso momento in cui le imprese si rendono conto che in virtù di detta collaborazione e scambio di informazioni, possono nascere nuovi rapporti commerciali, dove il fornitore va a soddisfare il committente, esattamente secondo le specifiche di prodotto dettate dallo stesso. Estendendosi il mercato di riferimento, le imprese, oltre a collaborare con le altre imprese presenti nel globo, possono anche raggiungere e vendere in mercati lontanissimi, i propri prodotti e questo soprattutto, ma non necessariamente, quando l’impresa offre dei servizi o prodotti digitalizzabili, riuscendo così ad ottenere nuove possibilità di guadagno.

Località
In apparente contrasto con il punto precedente, Internet mette altresì in condizione le imprese di sfruttare la propria presenza in un territorio locale, offrendo non solo prodotti a tutte quelle aziende che per la specificità delle proprie attività, preferiscono rivolgersi a mercati più “vicini”, ma anche per un miglioramento nel servizio di informazione e di marketing, assistenza e distribuzione ottimale delle forniture. Tale presenza fisica locale, è poi molto importante quando esistono già delle aree in cui tali imprese operano combinatamene, riuscendo così ad ottenere ulteriori risparmi sui costi produttivi e delle varie attività aziendali.

Interattività
Lo sviluppo di Internet, permette alle aziende di gestire in maniera efficiente ed economica le relazioni e le comunicazioni aziendali. Tramite l’interattività infatti, le imprese possono migliorare il valore percepito dalle proprie imprese clienti tramite la semplificazione della trasmissione dei dati relativi alle scorte presenti in magazzino, ordini di acquisto, descrizioni analitiche dei prodotti, potendo inoltre offrire maggiori informazioni sulle caratteristiche della produzione, facilitando così al cliente, anche la ricerca del prodotto di cui necessita effettivamente e, di contro, ottenere informazioni circa le preferenze della clientela così da individuare esattamente il proprio portafoglio clienti ed effettuare poi azioni di marketing mirate.

1.7. I Vantaggi aziendali derivanti dall’applicazione del BTB

Con l’avvento di Internet, le possibilità per le aziende di ampliare le relazioni verticali con altre imprese, originariamente avviate tramite il sistema dell’EDI, sono aumentate esponenzialmente, così come sono aumentati in pari misura i vantaggi che le stesse hanno ottenuto, dato che le interazioni possono ora attivarsi su un mercato senza confini geografici, reso aperto dall’ipermedialità e telepresenza della rete e questo, a prescindere dalle dimensioni dell’azienda. I principali vantaggi che il BTB offre alle imprese, possono così sintetizzarsi:

Riduzione dei costi amministrativi
L’implementazione di un progetto di BTB e, quindi, l’utilizzo della rete quale veicolo di scambio delle informazioni associate alle transazioni commerciali tra aziende, permette una riduzione dei costi che l’azienda deve necessariamente sostenere nel business tradizionale, proprio per gestire l’attività amministrativa derivante dallo scambio delle diverse informazioni aziendali, come le informazioni sui contratti conclusi, gli ordini e la loro fatturazione, le bolle di accompagnamento, i documenti utili alla consegna e spedizione dei prodotti, gli incassi ed i pagamenti, i finanziamenti, ecc. La lentezza e l’inefficienza della gestione informativa di tipo cartaceo infatti, comporta oneri di processo riducibili con una riprogettazione del modello organizzativo. Sicuramente, l’azienda subirà dapprima un impatto considerevole sulle modalità di rilevazione dei dati (intesa come attività di raccolta di tutte le informazioni aventi rilevanza amministrativa e nella conseguente registrazione), di elaborazione (intesa come quell’attività di conversione dei dati in informazioni utili per l’azienda), di gestione (intesa come attività di archiviazione) e di ricerca (produzione di informazioni che permettano di soddisfare esigenze conoscitive specifiche, come potrebbe verificarsi in caso di necessità di un aggiornamento dei vari documenti), in quanto passare da una gestione di tipo cartaceo ad una di tipo digitale, non è cosa semplice. La rete, permette infatti di raggiungere uno straordinario livello di efficienza ed efficacia amministrativa, ma occorre che i flussi informativi tra le imprese, siano integrati, pertanto, ogni azienda che partecipa alla transazione, deve produrre informazioni comprensibili per la controparte, eliminando ogni possibilità di discrepanze informative. General Electric¹ , afferma in proposito che è riuscita ad ottenere notevoli risparmi di costo, trasferendo gran parte delle proprie operazioni d’acquisto sulla rete. Il personale della divisione illuminazione, prima di questa innovazione , spediva centinaia di richieste all’ufficio acquisti centralizzato, anche per prodotti di basso valore unitario. Per poter procedere alla fornitura, ogni addetto doveva richiedere i preventivi di spesa ai diversi fornitori interpellati, fotocopiare le risposte, allegarle alla richiesta originale e spedirle quindi al richiedente. Questi infine, aveva l’incombenza di ricostruire tutta la procedura e quindi emettere il buono d’ordine, passando nuovamente per l’ufficio acquisti. Tale procedura, richiedeva almeno sette giorni lavorativi e portava l’ufficio acquisti a rivolgersi a pochissimi fornitori, onde evitare attese nelle risposte. Con la rete, la General Electric, riesce ora ad interpellare e far partecipare all’asta, un elevatissimo numero di fornitori, diminuendo così del 30% la forza lavoro coinvolta nel processo d’acquisto, del 20% i costi del materiale cartaceo e postale ed infine occupare il 60% della forza lavoro precedentemente occupata nella suddetta funzione, in altre attività, con un risparmio di circa 500-700 milioni di dollari.

Riduzione dei costi e rapida risposta ai bisogni della clientela

Il tempo intercorrente tra la richiesta di un prodotto o servizio, e quello di individuazione, progettazione, realizzazione ed evasione dello stesso, il cosiddetto time to market, può essere sensibilmente ridotto con l’utilizzo della rete. Ciò, permette all’azienda di ridurre notevolmente il costo del processo produttivo, visto che lo stesso richiede, nel canale tradizionale, tempi molti lunghi ed ingenti risorse per studiare e realizzare un prodotto che soddisfi la clientela. Offrire una risposta rapida ed ottimale al bisogno del cliente, permette inoltre all’azienda, di incrementare il valore percepito dal cliente sul bene stesso e quest’aspetto può essere rafforzato dallo sviluppo delle interazioni aziendali, in quanto le aziende fornitrici, possono acquisire in modo dettagliato le richieste della clientela, in termini di specifiche esatte del prodotto che potrà quindi essere personalizzato, evitando la formazione di surplus produttivi e, permettendo una partecipazione attiva del cliente alla progettazione del prodotto richiesto, sarà anche possibile operare una riduzione dei costi di assistenza e di revisione degli stessi. Una delle voci di costo che infatti pesa sulla maggior parte delle imprese non presenti in rete, è quella determinata dagli stock di magazzino delle materie prime, necessarie al processo produttivo, ovvero dei prodotti finiti destinati alla vendita. Dovendo tali stock essere acquistati e mantenuti inoperativi in magazzino, costituiscono di fatto un’immobilizzazione finanziaria che potrebbe essere utilizzata per scopi diversi e ben più utili. Con il Just in time, quale filosofia o ipertecnica di programmazione della produzione nata in Giappone, l’impresa riesce a diminuire i costi di produzione sfruttando una stretta collaborazione tra aziende, dove viene organizzato il flusso produttivo sulla base di un canale ascendente di rifornimento. L’impresa infatti, saprà con anticipo il livello di materie prime di cui necessita e, comunicandolo per tempo all’azienda fornitrice, potrà evitare la formazione di scorte e quindi risparmiare nei diversi costi di magazzino, sia di produzione, potendosi permettere un livellamento della stessa riducendo al minimo le sue fluttuazioni, che in termini di costi amministrativo-finanziari. Occorre tener presente però, che il fornitore è a sua volta un’impresa, la quale potrebbe presentare eventuali problemi di gestione e di approvvigionamento pertanto, con le interazioni aziendali di BTB, le imprese ottengono un valido supporto per il loro coinvolgimento. Secondo una ricerca pubblicata dalla Goldman Sachs² , la razionalizzazione della supply chain, migliorata dalla maggior efficienza delle transazioni condotte online e dalla pressione competitiva tra i fornitori, darà vita ad un risparmio di costo sui fattori produttivi e ad un taglio percentuale sui costi operativi, che varierà da settore a settore. Possiamo analizzare, con l’ausilio di una tabella, quali saranno i settori maggiormente coinvolti, dagli effetti positivi, ottenibili dall’avvento del fenomeno BTB. In testa alla classifica, troviamo il comparto elettronico, utilizzato poi in diversi settori industriali, successivamente quello delle telecomunicazioni ed infine quello dei trasporti merci.

Risparmi stimati garantiti dal passaggio al BTB

SETTORE INDUSTRIALE RISPARMIO STIMATO %
Componenti elettronici 29% – 39%
Prodotti forestali 15% – 25%
Trasporto merci 15% – 20%
Macchinari 22%
Computing 11% – 20%
Life sciences 12% – 19%
Media & adversaiting 10% – 15%
Prodotti combustibili 5% – 15%
Acciaio 11%
Aerospaziale 11%
Chimica 10%
Carta 10%
Mantenaince, repair e operation (MRO) 10%
Salute 5%
Ingredienti alimentari 3% – 5%
Estrattiva 2%

(fonte, Goldman Sachs “BTB: 2B or not 2B?” su www.gs.com)

Con lo sviluppo tecnologico del BTB, è poi offerta alle imprese, l’opportunità dell’e-procurement, quale arma indispensabile nella lotta competitiva, visti i consistenti effetti positivi raggiunti nella corsa alla riduzione dei costi di approvvigionamento. L’automazione delle procedure d’acquisto, tramite la rete, ha permesso infatti alle grandi aziende una diminuzione dei costi che si attesta in media all’8-12% sul totale degli acquisti, mentre per le piccole e medie sul 5%.
Solo pochi anni fa, il termine e-procurement quasi non esisteva, ora invece indica un mercato la cui crescita si prevede passi dai 187 milioni di dollari del 1998, agli 8,5 miliardi del 2003³ . Gli esperti stimano che le imprese potranno risparmiare nei prossimi anni, anche fino al 30% l’anno sui costi di approvvigionamento, automatizzando i loro processi tramite l’utilizzo di Internet . Gruppi di ricerca sostengono che l’e-procurement può trasformare dal 10 al 20% della spesa per gli approvvigionamenti in profitto anteimposte. Le riviste del settore includono l’e-procurement nell’ambito della nuova grande onda di cambiamento che investirà il commercio elettronico tra imprese. Anche le riviste informatiche si sono pronunciate al riguardo. PC Week ad esempio, sostiene che sempre più società che studiano e progettano soluzioni software stanno entrando in questo mercato, giudicato da molti il sistema più veloce per recuperare gli investimenti nel campo del commercio elettronico. Da un punto di vista operativo, lo sviluppo dell’e-procurement, può realizzarsi o con la costituzione di “gruppi d’acquisto”, ossia imprese che, necessitando di un medesimo prodotto, si associano così da poter disporre di un maggiore potere contrattuale,tramite il sistema delle “aste”, ovvero in comunità, dove le aziende possono offrire in rete i loro surplus produttivi o, ancora, con lo “scambio” (poco utilizzato in Europa), tramite la creazione dei mercati virtuali, dove business-partner si scambiano, appunto, beni o servizi.
Tali considerazioni, sono poi confermate da una ricerca condotta nel marzo 2000, dalla Forrester Research, su un totale di 2.500 aziende americane e da cui risulta che ad oggi, solo il 18% di queste dispone di infrastrutture d’acquisto automatizzate, ma già nel corso del 2002 tale percentuale è destinata ad aumentare.
Sarà poi possibile, diminuire anche tutta una serie di costi di fornitura delle materie prime o semilavorati in quanto le aziende, potendo raggiungere un più elevato numero di fornitori, potranno cogliere in ogni momento ed in ogni luogo geografico, le opportunità di promozioni o vendite vantaggiose, imposte dalla concorrenza globale creata dalla rete. Un’opportunità che le aziende non devono assolutamente trascurare, è data dalla vendita mediante aste online di surplus produttivi delle materie prime. Ebbene, mediante una ricerca mirata, anche grazie all’ausilio di particolari infomediari, sarà possibile riuscire ad ottenere forniture di prodotti a prezzi particolarmente vantaggiosi con consequenziali effetti positivi sui prezzi di vendita finali, così da riuscire a conquistare nuove fette di mercato. Sarà inoltre possibile limare costi che nell’attività tradizionale appaiono come irriducibili, a partire da quelli sostenuti per effettuare analisi e ricerche di mercato, di distribuzione, tramite un’ottimizzazione della logistica distributiva. La rete infatti, fornisce un meccanismo nuovo e redditizio soprattutto per la distribuzione di merci e servizi digitalizzabili in quanto, prodotti come software, servizi bancari, turistici e d’informazione, possono essere distribuiti direttamente all’impresa cliente in virtù appunto, di quella semplificazione o bypass, delle infrastrutture distributive, aumentando così le chance di politiche di internazionalizzazione per le PMI, altrimenti improponibili.

Riconfigurazione della catena del valore
Una delle voci di costo che incide in maniera determinante sulla formazione del prezzo finale di vendita, è rappresentato dal profitto trattenuto da ogni intermediario che interviene nel processo distributivo del prodotto ed in misura tanto più consistente quanti sono i soggetti intervenuti nel processo. Le imprese, nella loro attività, si scontrano con l’esigenza di dover garantire una distribuzione tempestiva dei propri prodotti, onde raggiungere il più alto numero possibile di imprese clienti, con l’esigenza di mantenere competitivo il prezzo finale di vendita del bene.
Le imprese, con l’avvento del Commercio elettronico, devono competere su due mercati contrapposti ma fortemente legati tra loro, uno fisico (marketplace) ed uno virtuale (marketspace) dove i prodotti e servizi esistono solo come informazioni digitali, ma su entrambi dovranno continuamente creare valore per le imprese acquirenti e, possibilmente, in misura maggiore rispetto alla concorrenza. Tuttavia, la creazione di valore nel mercato fisico, rappresentabile tramite il modello della catena del valore del Porter con una serie di attività primarie e di supporto interconnesse tra loro e, dove ogni attività è sviluppata in modo da poter creare un elemento di differenziazione così da influire sulla posizione che l’impresa detiene all’interno del mercato in cui opera, è cosa diversa rispetto alla rete del valore ottenibile nel mercato virtuale.
Grazie all’Information & Communication Tecnology infatti, può realizzarsi un outsourcing di quelle attività meno significative nella generazione di valore per l’impresa cliente, passando quindi da una catena di valore, ad una “ragnatela” di valore.

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Si otterrà una sostanziale modifica degli attuali processi di trasferimento di valore, tramite i vari stadi che separano l’impresa produttrice da quella acquirente in quanto, i primi, potranno raggiungere più rapidamente e a minor costo la propria clientela, e le seconde, comunicheranno input che saranno utilizzati nel processo produttivo e nelle altre attività. Le moderne tecnologie permettono di realizzare modelli innovativi di business dove clienti, fornitori ed altri partner, vengono direttamente coinvolti nei processi legati alla creazione dell’offerta, in un’ottica di specializzazione e collaborazione, che tiene conto delle competenze distintive di ciascuno. Tramite queste relazioni, la capacità di coordinamento, di trasferimento delle competenze e di gestione efficiente dei flussi informativi, si realizzano le condizioni indispensabili per il successo dell’impresa nel progetto di BTB. Inoltre, tali informazioni, non andranno perse con il loro utilizzo, per cui l’impresa che opera online, con tal nuovo processo di comakership, potrà godere di economie di scopo potendo entrare in nuovi mercati e contemporaneamente ampliare la relazioni con la nuova clientela (cosiddetto effetto “alone”). Concludendo, nella nuova catena del valore, le imprese devono attribuire un ruolo strategico ai flussi di comunicazione, trasformandosi in una impresa allargata che comprende tanto le fasi a monte del processo produttivo, quanto quelle a valle, la cosiddetta “extended enterprise”, definita da Kalakota e Whinston , dove gli obiettivi prevalenti sono la riduzione dei tempi di ciclo dello scambio di beni e servizi tra le imprese, nonché dei costi d’impresa per la diminuita incertezza nella reale disponibilità di informazioni circa fabbisogni e prodotti.

1.8. La sicurezza nei pagamenti

Nel dibattito sullo sviluppo futuro del BTB, molta attenzione è stata da sempre posta sul sistema dei pagamenti tramite la rete. Parlare di sistema dei pagamenti su Internet, porta inevitabilmente ad affrontare il problema relativo alla sicurezza delle transazioni, considerato come uno dei principali ostacoli allo sviluppo del commercio elettronico. Relativamente al canale BTB, tale problematica è sentita in modo nettamente diverso rispetto al canale BTC in quanto nei rapporti commerciali tra aziende gli importi delle transazioni, essendo di elevato ammontare, molto difficilmente saranno regolati con modalità online, pertanto ci si riferirà solo alle transazioni di modesto valore economico.
Le modalità di pagamento, legate ai trasferimenti di fondi, si sono sempre evolute nel tempo incidendo, in modo particolare, sulle modalità di autorizzazione ai trasferimenti di saldi, da un conto ad un altro. Il salto tecnologico, che di fatto ha permesso le transazioni virtuali, è stato determinato dalla creazione del “circolante digitale¹” , utile per il raggiungimento di una massa critica di implementazioni di progetti BTB.
Le imprese che effettuano transazioni online, sperano di ottenere dai partner virtuali, lo sviluppo di soluzioni che permettano dei pagamenti veloci, sicuri, economici, affidabili e possibilmente collegati a progetti sviluppati con Istituti di Credito. Le principali remore del management aziendale in relazione ai pagamenti online, concernono la possibilità di un “non riconoscimento” dell’avvenuta transazione, ovvero della possibilità (peraltro non remota) che i dati trasmessi vengano carpiti anche da terze parti che non partecipino alla transazione e quindi nella scarsa sicurezza della riservatezza, garantita invece dal sistema bancario. I principali modelli di pagamento elettronico, offerti nell’attuale panorama, possono classificarsi in tre categorie:

  1. Credit card based type
    Questa modalità di pagamento, è basata sulle logiche del funzionamento delle carte di credito. Il funzionamento, prevede una registrazione preliminare al sito e l’invio di una password al cliente il quale, digitandola, trasmetterà in un ambiente privato e controllato i dati relativi alla carta di credito aziendale ed utilizzerà la stessa password per effettuare nuove transazioni senza la necessità di trasmettere nuovamente i dati aziendali, ormai già registrati dal fornitore. Un sistema di pagamento sicuro è fondamentale per le imprese in quanto occorrono garanzie contro tutte le possibili fraudolenze, dalla generazione di pagamenti inesistenti, al furto dei numeri delle carte di credito o password finalizzato ad un successivo utilizzo non autorizzato. L’esigenza della sicurezza, nasce esattamente nel momento in cui l’impresa deve trasmettere il numero della carta di credito ed allora, molte aziende informatiche, hanno sviluppato software che siano in grado di garantire la sicurezza di tali passaggi. Tali software, si basano sul protocollo “SSL (Secure Sockets Layer)”, il quale garantisce una cifratura dei dati, cosicché gli stessi possono essere letti solo dall’Istituto di credito, ovvero dalla società, che gestisce il pagamento. Tale protocollo, prevede una gestione sicura dell’intera transazione, in modo tale da scongiurare le intrusioni nelle comunicazioni, manomissioni e falsificazioni dei messaggi e dove il cliente interessato all’acquisto di un prodotto, entra in un ambiente sicuro ancor prima di effettuare la scelta del prodotto. La sicurezza per l’impresa infatti, è garantita in tutta la fase d’acquisto, sino al completamento della transazione commerciale, alla quale farà seguito l’effettivo pagamento, disposto dall’Istituto di Credito sulla base dei dati dichiarati dall’impresa stessa, approntati a fornitura avvenuta. Recentemente, sono stati predisposti dei sistemi ancor più sicuri, quale il sistema della crittografia.
    L’uso di semplici password infatti, non ha impedito l’intercettazione dei dati aziendali, pertanto è nato tale sistema che permette di rendere illeggibili i dati che vengono trasmessi, salvo l’uso delle chiavi di decifratura. Tanto maggiori sono le chiavi utilizzate, tanto minori saranno i rischi connessi al furto dei dati. Un altro sistema ideato per garantire la sicurezza nei pagamenti online, è quello basato sul protocollo SET (Secure Electronic Transaction), sviluppato dalle società VISA e MASTERCARD, l’uso del quale consente alle imprese associate ed alle banche, certificate tramite delle “credenziali”, di emettere carte di credito virtuali, da utilizzare poi nei pagamenti/incassi.
  2. Check type
    Gli assegni elettronici, vengono utilizzati in alternativa alle carte di credito, quando l’ammontare della transazione, comincia ad assumere un valore rilevante. Sempre con l’ausilio del sistema della crittografia, le imprese acquirenti, dopo essersi registrate nel sito che gestisce la funzionalità di tali sistemi di pagamento, emettono virtualmente assegni che saranno poi girati elettronicamente nelle casse dell’Istituto cassiere al quale risulta collegata l’impresa fornitrice.
  3. Cash type
    Tale sistema, è basato sullo stesso funzionamento della moneta contante. Il funzionamento prevede l’acquisto vero e proprio di denaro virtuale, sottoforma di token, gettoni, da spendere poi nelle imprese fornitrici che aderiscono a tale sistema.

2°: IL BTB E LA DISINTERMEDIAZIONE NELL’E-BUSINESS

2.1. Dalla disintermediazione alla reintermediazione

Con lo sviluppo del commercio elettronico, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), le imprese hanno la possibilità di operare in una nuova economia, basata sulla digitalizzazione dei dati aziendali, della conoscenza (Knowledge) e delle informazioni su prodotti, servizi e comportamento dei clienti, siano essi acquisiti che potenziali, e dove il “core” della produzione si sposta progressivamente da un qualcosa di fisico ad uno più umano¹ . Detta nuova economia, cambia il proprio metabolismo in quanto le informazioni tra imprese, scambiate in modo digitale, possono essere acquisite dalle stesse istantaneamente e dove, tale immediatezza, diviene quindi la variabile chiave per avere successo negli affari. Questo, permette anche alle piccole imprese, che nell’economia tradizionale presenterebbero forti limiti per il proprio sviluppo e sopravvivenza, di conseguire vantaggi economici e competitivi, economie di scala ed accesso illimitato alle risorse ed inoltre, non essendo gravate da una struttura appesantita e da una burocrazia lenta, ottenere anche i vantaggi derivanti dallo sfruttamento della loro maggiore versatilità. Ne deriva che le imprese di piccole dimensioni potranno così acquisire nuovi vantaggi competitivi anche rispetto a tutte quelle imprese che risultino essere caratterizzate da un maggior grado dimensionale e quindi di rigidità ai cambiamenti, fattore questo che di fatto impedisce o ritarda l’implementazione delle nuove strategie operative. La nuova impresa, assume quindi una struttura definita da Merli² , come real-time enterprise, che deve quindi adeguarsi costantemente ai continui mutamenti di mercato ed alle condizioni operative imposte dai nuovi modelli di business, sia per poterne sfruttare al massimo le nuove opportunità, che per rispondere efficacemente alle nuove minacce.
Don Tapscott³ , sostiene ancora, che gran parte degli intermediari fra sellers e buyers, grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie, sarebbero stati eliminati nelle partnership aziendali. Distributori, rivenditori e in generale tutti i soggetti coinvolti nella catena del valore aziendale, dovevano quindi ripensare completamente la propria attività per garantirsi la sopravvivenza, trovare il modo di poter ancora offrire, con il loro operato, un valore aggiunto per l’azienda in quanto, l’utilizzo dei mezzi telematici, avrebbe consentito a qualsiasi azienda di raggiungere l’impresa cliente con un sistema di vendita diretto, rivoluzionando così tanto la catena dell’approvvigionamento quanto quella della distribuzione, almeno così come conosciute sino ad oggi. Per effetto della disintermediazione però, se da un lato le aziende della digital-economy si trovano di fronte a grandi vantaggi, al tempo stesso dovranno far fronte ad un elevato numero di problemi legati al cambiamento indotto nel canale di vendita, cambiamento appunto che la rete comporta. Innanzitutto, si registrerà la nascita di potenziali conflitti con i canali distributivi utili a raggiungere le imprese clienti4 , un aumento delle problematiche relative alla distribuzione dei prodotti stessi (almeno per ciò che concerne i prodotti materiali) ed ancora, la necessità di dover operare in tempo reale, in vista di una massima riduzione del time to market.
Le imprese che sino ad oggi hanno utilizzato il canale indiretto per la distribuzione dei propri prodotti sul territorio, avvalendosi di propri rivenditori e salvo il caso dei clienti corporate, serviti direttamente dalle stesse aziende, onde non entrare in conflitto con questi intermediari e quindi ridurre eventuali attriti con il canale distributivo, possono ricorrere a vari escamotage, quali la realizzazione di prodotti da offrire solo ed esclusivamente tramite la vendita on-line, con la creazione di “centri di profitto” indipendenti che, operando pur sempre all’interno dell’azienda, ma con un proprio portafoglio clientelare, eviterebbero l’affermarsi di una situazione di conflittualità aziendale interna, tra reparti adibiti alla vendita tramite il nuovo canale con i reparti adibiti alla vendita tramite il canale tradizionale (modello descritto da Zimmerman 5 e che rappresenta le soluzioni maggiormente seguite nelle prime iniziative di commercio elettronico italiano);
creare una business unit complementare, da affiancare al canale tradizionale, il cosiddetto fenomeno del “click and mortar”, che si occupi esclusivamente della vendita on line, al fine di permettere alle imprese clienti più esigenti, di poter effettuare operazioni direttamente dalla sede di lavoro ed in modo del tutto svincolato dal rispetto di un orario rigido di negozio, così da erogare un numero maggiore di servizi sempre più complessi, coinvolgendo così gli stessi partner commerciali, nel processo di vendita online, tramite una struttura di vendita profondamente integrata. Il click and mortar, rappresenta un’integrazione tra reale e virtuale, ossia una combinazione delle attività tradizionalmente svolte dalle imprese nel mercato fisico, con le nuove attività svolte in rete. Tale integrazione, necessita però di una presa di coscienza da parte delle imprese, circa le possibilità di profitto ottenibili sfruttando internet nella propria catena del valore, a partire dai primi contatti con i vari fornitori, nello sviluppo delle relazioni con questi e con i propri buyers, sino alle operazioni di vendita, post vendita e consegna delle merci. Una soluzione del genere, potrebbe anche essere rappresentata dal franchising, dove l’impresa cliente ad esempio, una volta effettuato l’ordinativo della merce online, potrà ricevere la stessa presso una sede fisica dell’azienda fornitrice la quale, quindi, per la distribuzione del prodotto, si avvarrà dei propri franchisee che risultino essere localizzati il più vicino possibile all’impresa stessa.
Il franchising infatti, rappresentando un sistema di espansione del mercato aziendale con un limitato impiego di capitali ed essendo basato sulla collaborazione di più imprese tra loro interdipendenti, permette al franchisor di espandere la propria attività online mantenendo uno stretto e continuo collegamento con il proprio network di franchisee nell’ambito della concorrenza del mercato globale;
un’altra alternativa, è rappresentata dalla reintermediazione, strategia questa che permette di sfruttare i servizi ad alto valore aggiunto che nuovi operatori commerciali vanno ad offrire tramite Internet, così da permettere soprattutto alle imprese di più piccole dimensioni, di ottenere i vantaggi propri dell’e-business. Tali vantaggi e possibilità, possono tradursi nei nuovi contatti commerciali che, per il tramite del nuovo intermediario, l’impresa riuscirebbe ad ottenere, nelle nuove forme di collaborazione (in un’ottica di partnership) tra fornitori e/o imprese clienti che potrebbero essere siglate ed ancora, la possibilità di delegare loro (outsourcing) tutti quei processi aziendali che non costituiscano delle proprie core competence, come per il servizio logistico nel caso l’impresa non possegga una propria rete di distribuzione, ovvero la possegga ma con un costo di transazione interno che risulta essere superiore a quello di mercato. Con l’outsourcing quindi, l’impresa riesce a concentrare le proprie risorse e capacità distintive, nelle sole attività che sappiano valorizzare le proprie “best competence” e che, per questo, la distinguono quindi sul e nel proprio mercato di riferimento.
Il discorso della disintermediazione vera e propria, così come prospettata da Don Tapscott, non sarà allora uniforme per tutte le tipologie di prodotti o servizi scambiabili online in quanto, solo per i prodotti digitalizzabili, tipo software, servizi bancari, assistenza, assicurativi, ecc., il produttore sarà in grado di eliminare la funzione tradizionalmente svolta dagli intermediari e raggiungere direttamente la propria impresa cliente, ma per i prodotti fisici, siano essi di largo e generale consumo o anche strategici, il servizio logistico sarà sempre necessario. Quindi, il grande cambiamento atteso, si avrà non tanto nella disintermediazione, quanto nella riduzione di importanza data dal contesto fisico ove avviene la transazione commerciale.
Un esempio di tali nuovi operatori o intermediari, che offrono simili servizi ad alto valore aggiunto, è rappresentato dalla nuova figura dell‘infomediario il quale, oltre ad organizzare tutta una serie di servizi di supporto per lo svolgimento dell’attività online delle imprese che abbiano deciso appunto di servirsi di tale partner, hanno quale compito principale, quello di far incontrare domanda ed offerta tramite il Web e questo, principalmente tra tutte quelle imprese che essendo di piccole dimensioni, non potrebbero mai riuscire a stringere rapporti commerciali o anche di partnership, con altre imprese geograficamente distanti. L’attività dell’infomediario poi, potrebbe progressivamente spingersi sino ad influenzare gli acquisti e le forniture aziendali, nel senso di orientare per il meglio, l’individuazione delle aziende più accreditate per la conclusione di rapporti commerciali, sulla base delle diverse specificità aziendali, raccogliere inoltre informazioni su prezzi e disponibilità delle merci presso i fornitori, rendendo poi disponibili tali informazioni a tutte le imprese potenzialmente interessate alle forniture e/o alle vendite (disseminazione e trasmissione dell’informazione). Quanto descritto, consente pertanto alle imprese stesse, di operare scelte oculate, essendo state ridotte le asimmetrie informative che, aleggiando nel mercato tradizionale, determinano comportamenti anche disdicevoli nei confronti delle imprese poco informate.
Inoltre, l’infomediario, deve essere in grado di costruire un data base individuale per ogni impresa, così da permettere alle stesse, di conoscersi a fondo e quindi servirsi al meglio, soprattutto in un’ottica di personalizzazione dell’offerta. Queste informazioni devono però essere molto dettagliate, soprattutto in tutti quei casi ove il buyer non disponga delle necessarie conoscenze tecniche dei prodotti e dei produttori (la già ricordata asimmetria informativa) in quanto, nel momento in cui il management aziendale deve effettuare delle scelte per le materie da acquistare e non conoscendo in profondità le caratteristiche peculiari delle stesse, potrebbe non essere in grado di abbinarle, efficacemente ed economicamente, rispetto ai propri bisogni da soddisfare. Questo rischio d’acquisto, potrà quindi essere coperto dall’infomediario, il quale apporterà così valore aggiunto all’attività aziendale. Con specifico riferimento al nostro oggetto d’analisi, possiamo notare come nel mercato Business to Business, questa offerta di servizi ad alto valore aggiunto, viene garantita alle imprese, soprattutto di piccole dimensione, con gli ormai celebri “marketplace6” , dove si ha la possibilità di ottenere contatti con nuovi produttori, fornitori di materie prime, distributori o compratori di un dato bene o servizio.
In questo modello, tutti gli operatori della supply chain ricavano un profitto dalle vendite online per cui, onde sfruttare appieno le potenzialità offerte dalla disintermediazione, occorre da parte del management aziendale, una maggiore apertura mentale nel percepire quali siano gli effettivi vantaggi economici, ottenibili dagli approvvigionamenti online, delegare la consegna dei prodotti ad operatori specializzati in tale funzione e, sempre in un’ottica di partnership, poter meglio gestire reclami, provvedere immediatamente alle procedure di sostituzioni dei beni difettosi, erogando un servizio di call center veramente efficace per meglio fidelizzare la propria clientela, ottenendo, nello stesso tempo, un feed back informativo dall’impresa cliente utile a migliorare l’immagine ed il marchio aziendale (il customer relationship management).
Il supply chain management può quindi definirsi come quel sistema di relazioni tra fornitore ed impresa cliente che permette a quest’ultima di ottenere un vantaggio economico in virtù di una gestione integrata e sincronizzata del flusso di materie prime e di informazioni ad esse associate e dove, tale flusso, si estende poi sino all’impiego delle materie stesse. In particolare, il supply chain management, prevede una modifica dell’originario rapporto di conflittualità tra seller e buyer, indirizzando tale rapporto verso una sempre maggiore collaborazione nello svolgimento dei loro rapporti economici.
Dalla tradizionale indipendenza tra le parti, si passa quindi ad una reale partnership strategica tra tutti gli attori presenti nella catena del valore aziendale, con una piena condivisione di risorse ed informazioni, quali ad esempio, la gestione coordinata dei prodotti e servizi, delle strutture produttive e dei servizi di distribuzione. Questo spiega ad esempio perché un’azienda virtuale può decidere di non competere direttamente con i tradizionali rivenditori, ma di arruolarli come centri di distribuzione e gestione del post-vendita. In definitiva, esiste per ogni impresa, la necessità di operare scelte di make or buy nell’ipotesi di eliminare l’intermediario di tipo tradizionale per arruolarne uno nuovo.
Quello che l’azienda deve analizzare è quindi, il confronto tra i costi di transazione interni e quelli di coordinamento del mercato, cercando di individuare il valore che ogni funzione aziendale apporta alla propria catena del valore, affidando così, ad intermediari esterni, quelle che risultino meno convenienti (esternalizzazione).
Con Internet, come visto, si aggiunge quindi una quarta dimensione alla comunicazione aziendale, in quanto oltre a testi, immagini e suoni, le aziende hanno la possibilità di interagire con i propri fornitori, grazie ai vari supporti tecnologici di trasmissione, ma soprattutto grazie alla nuova attività di intermediazione. Il processo di comunicazione quindi, non è più di tipo mono-direzionale, ma bi-direzionale e questo permette, soprattutto alle aziende che decideranno di collaborare tra loro, di fornire al partner tutta una serie di informazioni on demand il quale, d’altro canto, vede migliorare sensibilmente il risultato della propria attività di ricerca di collaboratori che sappiano offrire un bene o servizio che risulti perfettamente idoneo al soddisfacimento del proprio bisogno, rispetto quindi ai canali di comunicazione più “tradizionali”. Internet infatti, presenta caratteristiche superiori rispetto agli altri mezzi di comunicazione in quanto, permette alle imprese, tramite gli infomediari, di ottenere un flusso informativo commerciale non più ad una via, ma interattivo, dando così la possibilità all’impresa cliente, di essere protagonista del processo di soddisfazione dei propri bisogni e non più solo quale destinataria passiva dell’offerta.
Il tutto avviene non solo per mezzo dei contenuti forniti dalle aziende, ma anche grazie all’opera di ricerca realizzata dall’intermediario il quale, tramite la raccolta di informazioni su ogni impresa, fornisce egli stesso i dati necessari a migliorare il contenuto di questo processo, sotto forma di una serie di scelte relative ai vari prodotti richiesti, quali le caratteristiche fisiche (colore, forma, dimensione, misura, optional, ecc.) e relative certificazioni di qualità, nonché indicazioni circa i produttori che sono in grado di offrirli secondo le specifiche richieste dalle stesse imprese, ponendo in essere nel contempo anche tutta una serie di servizi accessori atti a favorire tali scambi commerciali, come i servizi logistici, quelli finanziari e creditizi, (costo, dilazione di pagamento, finanziamenti, ecc.), quelli legali e contabili, ecc.
Anche le imprese che forniscono servizi, la cui erogazione richiede impianti ed attrezzature complesse, possono conseguire benefici assai rilevanti da queste nuove relazioni con le imprese clienti, come potrebbe essere il caso delle imprese di trasporti aerei, marittimi e ferroviari, compagnie telefoniche, ecc., in quanto, possono sfruttare questo nuovo canale di comunicazione, per andare a saturare la propria capacità operativa, non solo nei periodi di punta ove è sfruttata al massimo, in virtù di questa interconnettività diretta con le potenziali imprese clienti, consentita appunto dalle nuove tecnologie.
Tale fenomeno, permette una ridefinizione dei confini della supply chain aziendale tramite un arricchimento quantitativo e soprattutto qualitativo delle informazioni scambiate tra i partner produttivi, così da consentire una maggiore integrazione tra tutti gli anelli della catena del valore. Il ruolo della nuova intermediazione, è proprio quello di permettere un’estensione, un arricchimento e quindi una maggior facilità di intrattenere relazioni commerciali interaziendali, fornendo quindi la possibilità di creare patrimoni informativi univoci e condivisibili da tutte quelle entità aziendali coinvolte nel processo di business congiunto, grazie appunto all’attività svolta da questi intermediari. Questo discorso, può poi portare l’azienda, a sposare la filosofia del just-in-time in quanto, così facendo, possono essere ridotti, o addirittura eliminati, i costi connessi all’esistenza del magazzino, non più necessari se l’impresa riuscisse a spostarsi da una produzione di massa ad una personalizzata, sulla base degli ordinativi pervenuti online e quindi istantaneamente raccolti ed evasi. Una sorta di produzione su commessa online dove le aziende possono definirsi “e-collaborative” in quanto partecipano attivamente nella definizione del progetto-processo produttivo, che porta poi all’effettivo scambio commerciale.
La teoria della scomparsa degli intermediari e la creazione di relazioni dirette ed esclusive tra produttori e clienti, sostenuta da Benjamin nel 19957 , si basa sul fatto che chiunque si colleghi ad Internet, può direttamente raccogliere le informazioni relative ai prodotti e ai servizi che soddisfino i loro bisogni, confrontare le offerte ed effettuare la scelta emettendo un ordine di acquisto. Sembrerebbe quindi che l’impresa buyer, non abbia più bisogno delle prestazioni tradizionalmente svolte dai distributori e rappresentanti, potendo ottenere lo stesso servizio direttamente dall’azienda fornitrice, senza oneri di intermediazione che vadano ad incrementare il prezzo finale di vendita dei beni.
Ciò è vero in astratto, ma molto meno nella pratica. Tale visione infatti, risultava troppo semplicistica in quanto, non tenendo conto del fatto che i servizi ed il valore generati dagli intermediari nel ciclo commerciale, non si limitavano a quelli logistici pre-vendita, bensì si estendevano a tutta la relazione commerciale e che, inoltre, anche quelli pre-vendita, incorporavano componenti di valore che la logistica cognitiva ed il semplice assortimento virtuale in un sito aziendale, rendevano ancor più rilevanti.
Se è vero che nel commercio elettronico saltano le logiche dell’intermediazione commerciale e della logistica tradizionale, non salta affatto la necessità di affidarsi a degli intermediari, che facilitino l’incontro tra la domanda ed offerta. I servizi informativi, rappresentano quindi l’attività a maggior valore aggiunto dell’offerta dell’intermediazione virtuale.
Le imprese fornitrici che operano online, hanno principalmente l’esigenza di rendersi note alla potenziale clientela e quindi una loro esigenza di visibilità che permetta al cliente di considerarla come fonte alternativa d’acquisto rispetto ai canali tradizionali di approvvigionamento. Tale visibilità, può essere paragonata in definitiva, alla localizzazione strategica delle imprese che operano nel mercato fisico ma, considerando gli ingenti investimenti da sostenersi per ottenere un’effettiva attenzione del cliente, non tutte le imprese, specie quelle di piccole dimensioni, hanno la possibilità di raggiungere la massa critica di potenziali clienti, utile per un ritorno proficuo degli investimenti sostenuti.
Ciò, è dovuto principalmente dall’enorme mole di siti aziendali che potenzialmente potrebbero soddisfare tanto le richieste di fornitura dei buyers, quanto le possibilità di vendita dei sellers. Occorre quindi un ausilio di detti nuovi intermediari soprattutto per tutte quelle imprese che, pur volendo sfruttare i vantaggi offerti dalla rete, non dispongono di budget sufficienti per implementare in proprio un progetto di e-business.
L’attività del nuovo intermediario, risulta poi indispensabile anche dopo il primo contatto tra azienda fornitrice ed azienda cliente in quanto, per una fattiva attivazione di rapporti commerciali di partnership online o anche solo occasionali, occorrono ancora tutta una serie di servizi informativi molto costosi per le PMI, come ad esempio un’attenta valutazione delle diverse offerte di vendita ed acquisto, ancora un’attenta valutazione aziendale circa la serietà delle forniture stesse, riferita questa tanto alla qualità intrinseca delle forniture che ai loro tempi di evasione, l’affidabilità delle aziende e la loro solvibilità nei pagamenti. L’infomediario quindi, va ad offrire a basso costo, tutta una serie di ricerche che di fatto limitano lo sviluppo del BTB condotto in modo diretto, permettendo così a quelle aziende, che di fatto risulterebbero limitate nello sviluppo di progetti di commercio elettronico in virtù dei grossi rischi economici da correre, di ottenere vantaggi economici tanto negli approvvigionamenti e forniture condotte online, quanto nella ricerca online di nuove forme di collaborazione commerciale.
Possiamo allora affermare che gli intermediari tradizionali non tenderanno a scomparire del tutto, in quanto molte aziende, per praticare l’attività di BTB, vorranno e dovranno sicuramente servirsi di tali servizi offerti dagli intermediari, in virtù dello sviluppo di un rapporto relazionale di fiducia che va ad instaurarsi tra le parti e dove quindi, l’intermediario, può ancora generare valore economico, a favore delle proprie aziende.
Tradizionalmente, la funzione dell’intermediario nel contesto fisico, è quella di permettere all’azienda acquirente, di reperire l’offerta del prodotto o servizio che soddisfi i suoi bisogni, cercando, nel contempo, di ridurre al massimo i costi di attraversamento del territorio fisico per la consegna della stessa. In rete invece, la funzione che deve essere svolta dall’infomediario, è la capacità di rendere disponibile all’azienda, l’informazione sulle offerte di prodotti di cui abbisogna, indipendentemente dal luogo fisico ove risiede l’azienda fornitrice del bene, ovvero l’azienda potenzialmente interessata alla fornitura.
Gli infomediari quindi, devono avvicinare l’informazione sotto un punto di vista non fisico, ma cognitivo. Tutto il ciclo dei servizi8 , collegato alla transazione, diventa il territorio privilegiato della nuova competizione e della nuova intermediazione.
Ciclo dei servizi collegato alla transazione
grafo14

(fonte: MANDELLI Andreina, in Economia e management, n. 2/1998, pp. 48)

Nelle diverse fasi, sia il produttore che le imprese clienti, unitamente ai nuovi intermediari, possono costruire rapporti di collaborazione, fondati sulla qualità di conoscenza e relazione, dove l’attività dell’intermediario, risiederà proprio nell’offrire un servizio differenziale ad alto valore aggiunto tramite il quale le imprese possano costruire, raggiungere e mantenere un vantaggio competitivo. Nei paragrafi che seguiranno, vedremo come e perché l’attività di intermediazione tradizionale dovrà trasformarsi in attività di infomediazione, al fine di rendere possibile e maggiormente profittevole, il commercio elettronico di tipo BTB anche per le PMI.
La tesi, si pone appunto il fine, di identificare l’evoluzione dell’infomediazione online, partendo dalle prime attività di mediazione svolte dai portali, nati come strumenti di reindirizzamento degli utenti verso altre risorse presenti nel Web, sino alla loro progressiva evoluzione in veri e propri siti di destinazione, in grado di catturare massa critica di imprese partecipanti e trattenere l’attenzione del cliente, tramite l’offerta di nuovi servizi a maggior valore aggiunto.

2.2. Gli Infomediari

Gli infomediari, sono nati come Broker di informazioni, che fungono da angeli custodi, garanti e “agenti di vendita” dei dati personali, nell’interesse e per conto dei consumatori on line¹ .
John Hagel III, noto consulente della McKinsey, fa notare in un suo report² , come il commercio elettronico sia legato alla nascita di comunità di interessi, di nuovi rapporti sociali e di nuovi intermediari all’interno della rete, che siano in grado di conquistare la fiducia degli utenti. Le aziende presenti nel Web, cercano continuamente di raccogliere informazioni sul comportamento dei propri clienti, siano essi consumatori finali che imprese in quanto, per effettuare azioni mirate di marketing, occorre conoscere il proprio target di riferimento e quindi, in un contesto quale quello di Internet, dove non esiste un contatto fisico tra venditore ed acquirente, sono sorti sistemi di monitoraggio attivi e passivi. I sistemi di monitoraggio attivi, utilizzano la tecnica del questionario, il cosiddetto “form”, che l’utente deve compilare per poter accedere al sito, per poter effettuare acquisti ed ottenere l’assistenza post-vendita.
I sistemi passivi invece, svolgono l’attività di monitoraggio dell’utente, senza che questi ne sia effettivamente a conoscenza. L’azienda interessata ad un acquisto online, può infatti offrire ai fornitori visitati, delle informazioni, ad ogni click di mouse, tramite dei software di tracking, i quali poi rielaborano tutte le informazioni raccolte, così da fornire un profilo dettagliato dell’utente e delle sue necessità (prodotti e servizi ricercati e sui quali lo stesso si è maggiormente soffermato).
In tal modo, ogni volta che l’addetto agli acquisti si ricollega al sito, riceverà direttamente informazioni commerciali sui prodotti che aveva preferito analizzare nelle visite precedenti. Da parte dell’azienda buyer però, è in atto un profondo mutamento di atteggiamento in quanto, è sempre più preoccupata dell’invasività dei siti e delle loro azioni aggressive e mirate di marketing. Tali aziende infatti, sono sempre più restie a fornire informazioni strategiche aziendali e, cosa più importante, cominciano a comprendere quanto sia elevato il valore delle stesse e di quanto poco venga restituito dal fornitore in cambio delle stesse.
Una delle opinioni più diffuse sulla New Economy è che il contatto “frictionless”, privo di attrito, tra acquirenti e venditori finirà con l’eliminare la necessità dell’intermediazione. Niente di più sbagliato. L’effetto congiunto dell’affermarsi dei concetti di privacy, della comprensione del valore dei propri dati e della possibilità di valorizzarli, è una chiara dimostrazione di come si stia modificando il rapporto tra produttore ed utilizzatore e dove inizia a svilupparsi un nuovo, straordinario tipo di business: l’info-mediazione.
L’info-mediazione sarà la chiave di volta del 21° secolo, proprio come la produzione lo è stata per il 20°. Questo perché le imprese clienti sono sempre meno fedeli al marchio che indica i prodotti migliori e sempre più verso i fornitori che fanno un uso più intelligente delle informazioni ad essi trasmesse. Le aziende quindi, devono sviluppare competenze manageriali di infomediazione, ovvero avvalersi dell’opera di questi infomediari, capaci di creare un rapporto di fiducia con il consumatore.
La teoria della scomparsa degli intermediari nella rete, si basa sul fatto che qualsiasi impresa si colleghi ad Internet, può direttamente raccogliere le informazioni relative ai prodotti e servizi di cui necessita, confrontare le diverse offerte, effettuare la propria scelta e quindi emettere l’ordine d’acquisto. In questo modo, sembrerebbe che la stessa, non abbia più bisogno delle prestazioni delle agenzie che nel mondo reale svolgono tradizionalmente queste funzioni, ottenendo lo stesso servizio senza oneri aggiuntivi di intermediazione, ottenendo così il prodotto ricercato ad un prezzo minore. Ebbene, ciò è vero in astratto, ma molto meno nella pratica, sia per l’enorme quantità di siti ed offerte da esaminare, sia per la quantità di tempo da dover dedicare alla ricerca per poter effettuare la scelta migliore. Il problema però si propone, anche con riferimento alla privacy in quanto, molti siti, prima di permettere all’impresa di acquistare un prodotto o anche solo di effettuare una ricerca dello stesso, richiedono una registrazione con tutta una serie di dati, non assicurando nel contempo un riserbo degli stessi. Da ciò nasce un nuovo ruolo per i vecchi intermediari, un ruolo di re-intermediazione, adeguato alla quantità di servizi e di proposte che la rete offre.
In tali contesti, emergono quindi nuovi soggetti che erogano servizi di infomediazione, il cui ruolo sarà centrale nei meccanismi di creazione del vantaggio competitivo aziendale.
Nell’economia tradizionale, la maggior quota delle informazioni strategiche, era incorporata nei beni e quindi gestita direttamente dalle imprese³. La nascita dei nuovi modelli di business, basati sul concetto di information intensive, dove l’informazione diventa una risorsa sulla quale fondare i propri vantaggi competitivi, presuppone che nuovi operatori gestiscano questa enorme mole di informazioni scambiate tra imprese affinché le stesse possano ottimizzarne l’utilizzo.

2.3. Caratterizzazioni dell’attività di infomediazione

Le funzioni svolte dall’infomediario nel BTB, si riferiscono ovviamente allo scambio di informazioni tra aziende, sotto due punti di vista: l’aggregazione e lo scambio puro. L’aggregazione si verifica nel momento in cui l’infomediario, costruisce una “bacheca elettronica¹” ove si possono effettuare transazioni digitali a prezzo fisso, generalmente a favore di una controparte che si presenta in modo frammentato e priva di potere contrattuale. Nello scambio puro invece, l’attività dell’infomediario concerne essenzialmente la creazione di uno spazio virtuale sul quale ospitare le transazioni, oltre ad un’offerta di servizi complementari, a partire dalla connettività in rete, al network logistico, alle possibilità di organizzare o anche concedere un finanziamento alle imprese acquirenti, alla sicurezza nei sistemi di pagamento, alle informazioni di mercato, ma soprattutto nella tutela dei dati aziendali, siano essi strategici o meno. La funzione di aggregazione, porta vantaggi soprattutto nei mercati in cui vi è la presenza di asimmetrie di tipo informativo, causata dalle differenti dimensioni tra la parte acquirente, solitamente frammentata, e quella fornitrice, concentrata e di maggiori dimensioni.
Il perfetto infomediario gestisce interamente un mercato, comprensivo di venditori, acquirenti e reciproche interazioni, offrendo vantaggi a chi compra (risparmi in termini di tempo e denaro, riservatezza, riduzione dei rischi, in quanto lo stesso infomediario effettua una preselezione delle aziende, eccetera) e a chi vende, in quanto fornisce alle aziende il bene più prezioso della rete: l’informazione.
L’infomediario inoltre, è responsabile della creazione del valore digitale sia per i venditori, i cui contenuti sono rappresentati da informazioni sulle imprese clienti, sulle loro preferenze e criteri di scelta negli acquisti, nonché creare valore aggiunto per le imprese acquirenti, con una ricerca sulle strutture di vendita che meglio soddisfino le loro esigenze, informazioni sugli assortimenti, qualità e descrizione dei prodotti, servizi pre e post-vendita e condizioni di pagamento.
Emergono così, nuovi servizi aggregati per venditori ed acquirenti dove, i nuovi mediatori, possono ricevere commissioni dai primi, commisurate direttamente al volume del fatturato ovvero con quote fisse derivanti ad esempio dagli introiti per gli spazi pubblicitari, ma in ogni caso, hanno diritto a parte degli introiti. Come per i portali, anche gli infomediari, si distinguono in verticali, specializzati in un determinato settore, stretto e ben definito, come accade per il settore chimico, farmaceutico, tessile, calzaturiero, edile, automobilistico, ecc., ovvero quelli orizzontali, che si offrono alle imprese con un servizio a tutto campo.
L’attività dell’infomediario poi, potrà assumere una duplice veste, servire gli interessi dei buyers, bersagliando le potenziali imprese clienti con attività di direct marketing del tipo one to one, posta elettronica, banner appositamente studiati sulla base del profilo dell’azienda cliente, commercializzando, in modo spregiudicato, i dati “personali” delle stesse andando così contro i loro interessi; ovvero porsi a completo servizio dell’impresa acquirente, dove la principale funzione che le dovrà assicurare, è rappresentata dal completo riserbo circa i dati comunicati come strategici ed una assistenza nella ricerca tra le molteplici offerte, ponendosi così da filtro dei fornitori.
Gli infomediari del secondo tipo, sono quindi le associazioni di categoria, i gruppi di acquisto organizzati e le comunità commerciali virtuali ed aggreganti, dove l’impresa cliente può beneficiare della loro attività in quanto, i suddetti, possono esercitare un potere ed una pressione verso l’offerta tale da rovesciare la prospettiva del processo d’acquisto. Saranno i fornitori infatti a dover ricercare l’azienda cliente, adeguandosi alle sue esigenze e non il contrario. I buyer, interagiscono con l’infomediario il quale, oltre a ricercare il prodotto, fornisce anche tutta una serie di informazioni sulle specifiche dello stesso (almeno così come gli vengono fornite dai sellers) ed eventualmente le opinioni di coloro che hanno precedentemente acquistato il medesimo bene (i cosiddetti forum). Il valore aggiunto che può offrire l’infomediario, risiede principalmente nelle condizioni di sconto che le aziende fornitrici possono proporgli e che vengono poi rigirate alle acquirenti (incapaci di esercitare un peso economico consistente a livello individuale nei confronti della produttrice), dato che, raccogliendo le richieste, ma soprattutto analizzando i bisogni di molte, ubicate anche molto lontano rispetto al fornitore, dà la possibilità all’azienda di potersi affermare in un mercato irraggiungibile nel contesto fisico, ma non in quello virtuale.
Il nuovo intermediario poi, onde conquistare la fiducia delle imprese clienti e proporsi come un continuo punto di riferimento, dovrà essere in grado di selezionare e proporre una gamma di prodotti e servizi di interesse per il target di utenti prescelto, selezionare un’ampia gamma di soggetti che svolgono funzioni economiche diverse, ma collegate e gestite unitariamente, tra cui produttori, distributori, fornitori di servizi, ecc. e, cosa più importante, attivarsi con una politica incentrata sul rispetto della sicurezza e della privacy. Nel momento in cui un’impresa è intenzionata ad acquistare un prodotto online, non esiterà a ricercare il prodotto tramite il suo infomediario di fiducia, proprio in virtù del fatto che oltre al prodotto stesso, potrà beneficiare di un servizio globale in un clima di partecipazione e condivisione della sua scelta.
Le principali tipologie di attività che gli infomediari possono svolgere, concernono la creazione degli abbinamenti, dove l’infomediario, senza conoscere appunto nessuna delle parti, combina le esigenze delle imprese acquirenti, tramite la ricerca dei prodotti e dei servizi richiesti, con le migliori offerte presenti sul Web. L’infomediario, deve creare un sistema fluttuante di domanda ed offerta, fungendo da stanza di compensazione tra i buyers ed i sellers. Queste organizzazioni, possono poi raccogliere ordinazioni per una categoria di prodotti e servizi non ancora disponibile od esistente sul mercato, individuando nel contempo, una possibile fonte di produzione ed erogazione di tali prodotti e servizi, informando poi le imprese interessate non appena siano disponibili i prodotti corrispondenti alle loro richieste. L’erogazione di informazioni però, non concerne esclusivamente la disponibilità ed i prezzi dei prodotti, ma anche eventuali svendite ed offerte particolari che le aziende fornitrici possono praticare, ed allora ecco che lo stesso informerà per tempo tutte le potenziali imprese che abbiano in un certo senso, dichiarato la propensione ad acquistare quel bene, ovvero non lo abbiano acquistato in virtù dei prezzi troppo elevati.
L’infomediario deve fornire inoltre, un servizio di consulenza sugli acquisti, semplificando le scelte tramite una guida dettagliata, personalizzata ed interattiva, che le aiuti nello scegliere, in pochi minuti, rispetto alle numerosissime offerte catalogate. In Internet, emergono quindi, nuovi business model che si propongono come intermediari delle informazioni. Saranno queste nuove figure di intermediario a garantire i sellers che le informazioni sul proprio conto, saranno utilizzate solo a loro vantaggio e non diffuse indiscriminatamente a chiunque le richieda. I maggiori candidati, adatti a rivestire questo nuovo ruolo, non saranno esclusivamente le grandi organizzazioni informatiche o i vari portali come Yahoo!, Lycos, Exite o Altavista, ma anche le piccole comunità verticali.
Queste, si prefiggono di divenire i principali punti di accesso alla rete telematica per milioni di piccole imprese le quali, partecipando e condividendo informazioni, contribuiscono esse stesse allo scambio di tutte quelle conoscenze che risultino di difficile e costoso reperimento. Il ruolo degli infomediari è quindi quello di evitare alle imprese, di annegare nelle informazioni, ma soprattutto di arrivare a sviluppare partnership di settore.

In una ricerca condotta dalla Jupiter² , possiamo poi notare quali sono i fattori chiave che permetteranno uno sviluppo degli acquisti online da parte delle imprese che già operano in Internet. Ebbene, il 68% dei manager intervistati, si dichiarerebbe pronto ad effettuare maggiori acquisti online per la propria azienda, qualora i siti garantiscano, oltre a prezzi più bassi rispetto a quelli praticati nel mercato tradizionale, un servizio dedicato alla logistica molto più efficace (67%), qualora apportassero migliorie alla sicurezza relativa al trattamento dei dati strategici (58%), un incremento delle possibilità di confronto dei prodotti (42%) e delle informazioni ad essi associate (32%) ed ancora una maggior fiducia verso i fornitori che propongono acquisti online (le principali attività che l’infomediario svolge).

Fattori che favorirebbero nuovi acquisti online

 

MOTIVAZIONE %
Prezzi migliori 68%
Spedizioni più puntuali, sicure e meno costose 67%
Aumento della sicurezza per i dati aziendali 58%
Migliori possibilità di confronto dei prodotti 42%
Aumento delle informazioni relative alla merce 32%
Migliorie nella presentazione dei prodotti 31%
Maggior facilità nella ricerca dei prodotti 30%
Possibilità di essere consigliati nell’acquisto 27%
Maggior fiducia verso i fornitori virtuali 27%
Maggior semplicità nell’ordinazione del prodotto 26%
Maggior speditezza degli acquisti 26%
Maggior fiducia verso Internet 19%
Maggior familiarità verso Internet 12%

(fonte www.Jup.com, 2000)

In termini pratici, le controversie circa la riservatezza dei dati strategici, riguardano principalmente i dati sulla produzione e sui fornitori abituali e, quindi, la possibilità che le altre imprese possano ottenere simili conoscenze senza autorizzazione, raccogliendo quindi dati sugli acquisti compiuti, con conseguente perdita di quei vantaggi competitivi che faticosamente sono stati raggiunti.

2.4. L’infomediazione nella particolare economia italiana

La transizione delle imprese di medio-piccole dimensioni verso la società dell’informazione, pone in discussione notevoli aspetti della loro organizzazione economica tradizionale e, quindi, delle prospettive di sviluppo dell’imprenditoria italiana. La diffusione delle tecnologie digitali all’interno di dette aziende, non è ovviamente un aspetto recente. Per la gestione della contabilità, delle paghe e del magazzino prima e della produzione e gestione dei flussi in entrata ed uscita dopo, le imprese si sono da tempo avvalse dell’ausilio dei computer.
Con la diffusione delle telecomunicazioni digitali però, le imprese hanno la possibilità di sfruttare l’informatica, anche per la gestione delle transazioni commerciali e nei processi di cooperazione e coproduzione, anche tra imprese geograficamente distanti tra loro.
Tali tendenze evolutive, vivono oggi una fase di massima accelerazione e questo, grazie in primis, alla diffusione su larga scala di internet e delle tecnologie informatiche e telematiche, le quali hanno permesso a tutte le imprese una facilità d’accesso alle tecniche della trasmissione digitale tramite servizi appositamente studiati per le loro esigenze e, secondo, in virtù di un continuo sviluppo dell’attività di intermediazione virtuale, con la quale si sono appunto create le premesse affinché anche la piccola impresa possa sfruttare efficacemente gli strumenti digitali al fine di ottenere vantaggi economici lungo tutta la propria catena del valore.
Il sostegno alle PMI deve quindi essere accompagnato necessariamente, da questa nuova attività di intermediazione, meglio definibile come infomediazione, in virtù del loro bisogno di vedersi ridurre la complessità nell’implementare simili progetti e, l’incidenza dei costi connessi alla realizzazione di un profittevole progetto di e-business, ottenibile appunto con l’offerta di servizi ad alto valore aggiunto e la condivisione di risorse per tutte le imprese.
Le criticità maggiori per le PMI che vogliono sfruttare le potenzialità della rete, possono quindi riassumersi nella necessità di uno sviluppo e trasformazione dei servizi di intermediazione, che sappiano ridurre le inevitabili difficoltà che queste incontrano nell’andare a sviluppare attività online, tali da garantire la possibilità di ottenere profitti realizzabili con le nuove opportunità proprie dell’e-business. Per realizzare questa evoluzione, che quindi prefigura la nascita e lo sviluppo di nuove forme di intermediazione, appare critico il coinvolgimento attivo dei consorzi di imprese, delle associazioni di categoria, degli Enti Statali e, magari, anche delle imprese leader nei propri distretti industriali, affinché trasmettano conoscenze sulle esigenze specifiche dei propri contesti produttivi di riferimento, promuovano e coordinino il coinvolgimento in simili progetti di quante più imprese possibili, fornendo loro anche un’ assistenza nelle difficili fasi della sperimentazione e del consolidamento del progetto stesso.
Il ruolo delle imprese leader è infatti fondamentale in quanto, anche le stesse, di fronte allo sviluppo di contesti competitivi più ampi ed in caso di un loro disinteressamento allo sviluppo di simili progetti, potrebbero perdere le quote di mercato che le imprese di più grandi dimensioni, tanto nazionali quanto estere, andrebbero a conquistare.
Il cammino verso la direzioni dell’efficienza, capacità d’innovazione e velocità di risposta ai cambiamenti ambientali e quindi al mercato, potrebbero allora meglio perseguirsi tramite tali nuovi modelli di business.
Un simile progetto di infomediazione, prende vita con la nascita delle comunità virtuali commerciali. Gli infomediari infatti, tendono a trasformarsi, in vere e proprie comunità digitali di settore e questo, per poter offrire vantaggi competitivi ai propri associati. Tali comunità, vanno ad operare secondo il modello di un distretto, garantendo e privilegiando una partecipazione attiva delle imprese partecipanti in tale ambiente, così da permettere alle stesse un apprendimento ed una risoluzione di tutte le possibili difficoltà operative che si manifestano nel nuovo ambiente in cui vanno ad operare.
Lo sviluppo delle PMI italiane, sul piano nazionale e soprattutto su quello internazionale, si è avuto tramite la creazione dei distretti produttivi e reti di imprese, dove sono state enfatizzate al massimo, le relazioni economiche tra tali gruppi di aziende, generalmente concentrate a livello territoriale. Il distretto, è infatti un ambiente sociale oltre che una forma organizzativa, fortemente dinamico, ove la vicinanza fisica, intesa anche come contiguità culturale, ha permesso di sfruttare i vantaggi connessi con le economie di agglomerazione.
Il territorio di riferimento di un distretto però, non deve confondersi esclusivamente con un qualcosa di prettamente fisico, come un’area geografica limitata, ma va inteso nel senso più ampio di località, dove tra le imprese partecipanti, viene a crearsi una condivisione di cultura, linguaggi, regole, pratiche commerciali condivise e sistemi stabili di relazioni economiche basate su rapporti di fiducia consolidatisi, grazie sia alle relazioni sociali ed economiche che si protraggono nel tempo, che dalla conoscenza e rispetto reciproco che da sempre intercorre tra queste aziende.
Una delle peculiarità distintive del distretto, è rappresentata dalla particolarità delle forme di relazioni tra le imprese dove, possono assumere la veste di vera e propria cooperazione, piuttosto che competizione, permettendo così una riduzione dei rischi economici in quanto ognuna ha saputo e potuto specializzarsi in singole fasi del processo produttivo, creando e consolidando poi profondi rapporti di collaborazione lungo le diverse catene del valore. La nascita dei distretti industriali, è strettamente collegata alle esigenze delle imprese di ricercare economie sui costi relativi ad esempio ai trasporti, economie derivanti dalla partecipazione attiva di fornitori ed acquirenti nel processo di ricerca e sviluppo di nuovi prodotti, nello sviluppo congiunto della professionalità del lavoro e degli skill aziendali per cui, nel tempo, sono sorti questi stretti rapporti di sub-fornitura e di filiera in vista di una sempre maggiore e migliore collaborazione interaziendale.
I rapporti di collaborazione e di coproduzione, hanno permesso all’economia italiana di costruire buona parte della propria competitività sui mercati internazionali. Nasce e si afferma così il modello di distretto, capace di mantenere elevati nel tempo, tutti quei rapporti commerciali che la specifica localizzazione geografica ha permesso. Il distretto, è quindi una rete di imprese, soggetti ed Istituzioni che pur essendo caratterizzato da una specificità territoriale, quasi sempre locale, risulta essere aperto anche ai mercati internazionali per cui, la digitalizzazione dei distretti, è uno dei punti cruciali per introdurre anche nell’economia italiana, il concetto di economia globale.
La rapida circolazione delle informazioni all’interno del distretto infatti, interviene come elemento fondamentale nei processi innovativi e dove detto scambio informativo, reso agevole dalla condivisione delle esperienze di ogni impresa e dai linguaggi comuni, ha permesso il raggiungimento di rilevanti vantaggi comunicativi in virtù anche della possibilità di ottenere tale scambio in modo veloce e a bassi costi, così da produrre rapporti interattivi basati sulla fiducia.
Tali distretti, essendo sistemi di imprese di piccole dimensioni che hanno sviluppato competenze altamente specializzate, hanno costruito il proprio vantaggio competitivo sulla flessibilità e sulla capacità di personalizzazione dell’offerta, sfruttando la stretta connessione e comunicazione tra i diversi attori delle varie supply chain aziendali. Il distretto quindi, può essere interpretato come un sistema capace di creare, elaborare e scambiare conoscenza, sfruttando i vantaggi di comunicazione offerti dal territorio, tradizionalmente chiuso verso il mondo esterno, ma progressivamente sempre più orientato all’esterno per poter affrontare i cambiamenti necessari per competere nella nuova economia (si pensi alla delocalizzazione produttiva in ambiti ove la manodopera è meno costosa). Sulla base della condivisione di linguaggi e codici comuni, le imprese del distretto, possono sfruttare le nuove tecnologie al fine di supportare lo scambio di conoscenze anche a distanza e quindi, a prescindere dal loro contesto geografico di riferimento, peraltro limitato, così da poter attivare nuovi contatti e rapporti commerciali di collaborazione con soggetti che non appartengono ne al medesimo distretto, ne al medesimo Paese.
Il rapporto tra distretti industriali e nuove tecnologie, appare oggi in forte cambiamento anche se, per un fattivo sviluppo di un progetto di e-business, tali entità economiche, necessitano di nuove soluzioni che permettano loro di supportare le proprie relazioni collaborative anche in rete.
Purtroppo però, difficilmente la creazione di simili soluzioni si avrà grazie all’operato individuale di singole imprese, ma occorrerà un intervento di nuovi intermediari che sappiano studiare progetti coerenti con la specificità di tali sistemi economici. La nuova intermediazione, o re-intermediazione, ha infatti il compito di gestire tali relazioni tramite la rete, dove la dimensione cognitiva, assume un ruolo fondamentale.
Detti operatori diventano veri collettori di informazione, accumulando in primis le conoscenze di ogni impresa e, successivamente, andando a colmare i fabbisogni informativi di tutte le proprie associate, divenendo, in pratica, essi stessi fonti di nuove conoscenze così da trasformare la conoscenza di ogni impresa, in conoscenza estesa per tutte le partecipanti al network.
A tal riguardo, sorgano anche in Italia, così come avviene negli U.S.A., le cosiddette comunità virtuali, chiamate in un certo senso, a riprodurre in rete il concetto di funzionamento di un distretto, optando però, a differenza di quest’ultimo, per una propria operatività che sappia “liberarsi” dal concetto di territorio e quindi andare ad operare in contesti economici che prescindano dai limiti dei confini geografici propri dei distretti e questo, sia in termini di mercato che di aziende, studiando progetti ove venga replicato virtualmente il contesto di funzionamento del distretto ma in uno spazio senza confini, su scala globale, per conquistare quella massa critica di clientela che assicurerebbe risultati positivi tanto per la comunità stessa, quanto e soprattutto per i partecipanti.
La comunità quindi, deve risultare uno strumento atto a migliorare la conoscenza del mercato e la qualità delle relazioni aziendali: la raccolta delle informazioni con i forum, gli spazi dedicati alla collaborazione, o le aree riservate per l’aggiornamento informativo dell’azienda, sono i mezzi con cui la comunità deve necessariamente creare nuovo valore.
Tale nuovo modello di business, deve quindi permettere ai partecipanti di poter godere, online, degli stessi punti di forza propri dei distretti. Tali punti di forza, devono concretizzarsi nell’offrire ad esempio, la possibilità di organizzare la produzione sulla base delle specifiche esigenze e richieste del cliente (la produzione su commessa digitale, dove prendono vita rapporti commerciali di tipo “collaborative commerce”) sia in termini di avvio della produzione che adattamento del prodotto alle specifiche esigenze, anche qui su scala globale e, quindi, superando quei limiti spaziali che le imprese distrettuali hanno incontrato per non aver effettuato ad esempio, investimenti in marketing nella comunicazione esterna al distretto, atta a permettere loro una visibilità più estesa e quindi un portafoglio di potenziali clienti più ampio.
In tale ambito di offerta di servizi e soluzioni, vediamo come la comunità digitale, trasporta in rete il concetto di Total Quality Management tramite la riconfigurazione dell’intera catena del valore di tutte le aziende partecipanti al progetto. Il TQM applicato in rete infatti, permette alle imprese di transitare da una produzione di massa ad una personalizzata a basso costo e dove, tale processo, coinvolge tutta l’organizzazione aziendale nei rapporti con i vari partner commerciali.
La trasposizione in rete del concetto di TQM, si sostanzia in definitiva nella possibilità aziendale, soprattutto in termini di forniture, di allineare il proprio sistema organizzativo, produttivo, strategico e strutturale, ai reali bisogni della clientela, espressi questi all’interno del distretto digitale, e questo, meglio e prima della concorrenza che non ha creduto nelle potenzialità offerte dell’aggregazione digitale. La qualità in rete quindi, non è più quella definita dall’impresa, bensì quella definita dalle aspettative del cliente che l’impresa deve saper cogliere ed interiorizzare ma, differentemente dalle analisi condotte a tal fine con metodi tradizionali con ricerche di mercato ed analisi dei bisogni dei consumatori, le stesse avranno la possibilità di sviluppare nuove logiche relazionali e quindi dialogare e studiare prodotti e processi effettivamente mirati, sfruttando così la propria flessibilità produttiva e velocità di risposta, così da incrementare il valore percepito dal cliente.
La comunità deve poi focalizzare la sua attenzione, anche sul rapporto fiduciario che deve necessariamente intercorrere e stabilirsi tra gli associati in quanto, nelle relazioni a distanza, occorre il rispetto reciproco e la condivisione di norme e regole sociali, di comportamenti leciti e trasparenti ed un sistema di controllo in rete che renda sicure ed affidabili le transazioni economiche. Quello che occorre, è quindi una certificazione dei vari partner commerciali effettuata direttamente dal nuovo intermediario, ovvero dai suoi partner, al fine di permettere alle imprese di operare online in tutta sicurezza. Nella comunità digitale infatti, qualsiasi impresa ha teoricamente¹ la possibilità di entrare a far parte del sistema. All’interno dello stesso quindi, potrebbero formarsi nuove partnership aziendali tra aziende che prima di allora non erano neanche a conoscenza della loro esistenza.
Nasce quindi un’esigenza di conoscenza effettiva circa il modus operandi delle diverse realtà aziendali. Qualità e sicurezza, sono infatti fattori critici di successo del commercio elettronico e, ancor più, in tutti quei casi in cui i siti che propongono la possibilità di realizzare nuove e sempre più strette collaborazione interaziendali online.
Nelle forme di collaborazione, è infatti fondamentale l’esigenza del trust tra le parti, dove per trust, si intende la propensione di un’impresa ad intraprendere relazioni di scambio e collaborazione con altre aziende. All’interno della semplice nozione di trust, ritroviamo quindi dei concetti fondamentali² che la comunità deve necessariamente assicurare per creare una vera reputazione dell’affiliato: quella di credibility, ossia la convinzione per un’impresa che il proprio partner abbia l’effettiva capacità di portare a termine, efficacemente, il compito ad esso affidato, e quella di benevolence, ossia la convinzione per l’azienda che il partner tenga un comportamento corretto anche di fronte all’emergere di situazioni nuove.
La comunità quindi, deve necessariamente stringere partnership con Enti di certificazione accreditati che possano attestare o meno, la rispondenza dell’attività di tutti gli operatori commerciali partecipanti, allo standard delle severe norme ISO/DIS 9000 e 9001 internazionalmente riconosciute. Gli obiettivi fondamentali della certificazione di qualità della hold economy, devono quindi essere assicurati anche nella nuova economia digitale e, quindi, la mission fondamentale sarà quello di creare fiducia nei diversi partner così da garantire agli stessi la sicurezza che ogni impresa abbia le capacità di fornire prodotti e servizi che siano effettivamente in grado di soddisfare le esigenze esplicite o implicite del cliente e dove, tali beni e servizi, risultino essi stessi conformi agli standard di qualità fissati dalle varie normative, assicurando così che tale rispetto normativo, sia poi mantenuto nel tempo.
La nascita di tali comunità, si giustifica col fatto che molte PMI italiane, non puntano più a riorganizzare completamente e drasticamente il proprio modello di business, troppo costoso e rischioso, ma a focalizzarsi selettivamente su strumenti che siano in grado di sostenerle nella nuova economia, per cui non si assiste alla nascita di nuove soluzioni di business, del tutto radicali e rischiose, ma a soluzioni più soft, che permettano a dette imprese di valorizzare, in raggi economici più ampi, i punti di forza raggiunti nel tempo e nel sistema locale, in un contesto quindi più ampio. Si moltiplicano quindi, i progetti e le soluzioni di business appositamente studiate anche per la specificità dell’economia italiana, ed in generale per tutte quelle economie caratterizzate dalla presenza di un gran numero di PMI, con l’offerta di soluzioni tecnologiche e servizi atti a supportare e facilitare l’incontro tra domanda ed offerta e, servizi e contenuti idonei a colmare i punti deboli delle PMI, quali la conoscenza del mercato, l’aggiornamento delle professionalità aziendali, l’innovazione di prodotto e processo ed infine, la ricerca di nuovi partner.
Abbiamo visto, nel primo paragrafo, come la rete permetta una disponibilità di informazioni senza pari. Tale enorme disponibilità informativa però, se da un lato rappresenta un vantaggio, dall’altro può anche determinare uno svantaggio per tutte quelle imprese di più piccole dimensioni che, non disponendo di ingenti risorse economiche, non hanno la possibilità di investire per la ricerca di una loro maggior visibilità nella rete.
Il modello del distretto infatti, nel suo contesto territoriale, permette una ricerca e selezione agevole, rapida ed a basso costo della controparte. Così non è però, nel caso della rete, per cui si ha l’esigenza del supporto dei nuovi intermediari anche per mettere in contatto i diversi punti della catena del valore, oltre all’offerta dei servizi ad alto valore aggiunto che risultino più o meno complessi.
Il modello virtuale che riproduce online gli elementi più significativi e caratteristici dei distretti industriali, aggregazione, visibilità e comunanza di conoscenze ed interessi, deve quindi permettere alle imprese una nuova configurazione della loro supply chain aziendale e, quindi, una riprogettazione del tessuto delle loro relazioni interaziendali, tanto nelle attività di sviluppo congiunto del prodotto (product design), quanto nelle attività di riorganizzazione del flusso fisico di approvvigionamento (network design). Ciò, permettere anche alle PMI, di sostituire eventualmente il proprio fornitore con un altro quando quest’ultimo, pur localizzato ad una maggior distanza geografica, garantirebbe ad esempio una maggiore affidabilità nelle consegne.
Ebbene, una delle attività del nuovo infomediario, risiede proprio nell’effettuare continuamente un’attività di reporting sui propri partecipanti, troppo costosa se condotta direttamente dalle aziende di piccole dimensioni che pur vorrebbero affidarsi per le forniture a nuovi partner. Tale attività, risulta necessaria sia per monitorare le varie performance logistiche dei fornitori ad esso partecipanti, in linea con le effettive necessità dei buyers che abbiano appunto scelto di affiliarsi alla comunità, sia per gestire tutte quelle informazioni del processo di gestione degli ordini, come ad esempio comunicare tempestivamente la conferma della data di consegna dell’ordine o la presunta data di evasione.
Tale informazione, assume un’importanza strategica e fondamentale per l’impresa acquirente dal momento che, in caso di eventuale impossibilità nell’ottenere per tempo la fornitura, potrebbe rivedere il proprio piano di produzione ed eventualmente rifornirsi da fornitori alternativi, indicati dalla stessa comunità ed in grado di soddisfare pro-tempore il bisogno, così da garantire, a sua volta, la tempestiva fornitura al proprio cliente, superando quindi simili situazioni di difficoltà.
Il principale contributo dei nuovi intermediari, risiede quindi nell’offrire un supporto ad alto valore aggiunto per un’effettiva integrazione della supply chain aziendale, tramite la disponibilità di risorse informative che siano condivisibili tra tutti gli attori, legati e coinvolti nella catena produttiva, in un ambiente dove venga ricercata e mantenuta la trasparenza del mercato e la fiducia reciproca tra gli operatori, così da permettere a tutti i partecipanti di trarre beneficio nell’appartenere al network.
Con tale scambio informativo, la comunità, permette ai sellers una riduzione dei costi e dei vincoli esistenti per la raccolta di informazioni relative alle imprese clienti, così da programmare un’offerta più efficace ed efficiente essendo la stessa allineata alla specifiche richieste dai clienti e, per i buyers, sia la possibilità di ottenere forniture sempre più personalizzate, in linea non solo con i propri profili di consumo individuali, ma anche con quelli relativi alla capacità produttiva della propria organizzazione, sia con riferimento alle effettive condizioni d’uso futuro della fornitura stessa che l’azienda acquirente ha preventivamente comunicato alla comunità e da questa girata poi al fornitore.
Tale discorso, porta ad introdurre il nuovo concetto di impresa collaborativa, grazie appunto alla possibilità, offerta dai nuovi intermediari, di una fattiva collaborazione tra imprese nel processo di sviluppo del prodotto e quindi ad una riduzione sostanziale dei rischi economici.
La raccolta di informazioni sui partner e sui loro bisogni espliciti, ovvero sui prodotti che possano soddisfare anche i bisogni latenti del mercato, condotta direttamente dalle aziende con i metodi tradizionali, oltre a risultare molto costosa, presenta anche dei limiti connessi al fattore tempo. Tali richieste infatti, effettuate tramite visite in azienda, viaggi di lavoro, colloqui telefonici o anche tramite e-mail, possono richiedere anche molto tempo prima di essere utilizzabili.
Tramite la comunità invece, la quale suddivide la clientela ad essa affiliata in segmenti sempre più precisi, effettuando poi una selezione accurata dei partecipanti (tramite ad esempio la fissazione di criteri base di entrata come la qualità delle risorse imprenditoriali e manageriali, la posizione economico-finanziaria, la capacità di crescita, la predisposizione al cambiamento, apporti conoscitivi e progettuali, capacità e velocità di risposta ai cambiamenti ambientali, ecc.), permette alle imprese di ottenere le informazioni in tempi molto più brevi, offrendo così ai vari progettisti aziendali, una panoramica molto più completa sia sulle necessità dei propri clienti acquisiti, sia in merito alle aspettative dei potenziali clienti che potrebbero così essere raggiunti, serviti e, col tempo, anche fidelizzati.
Potrebbero ad esempio nascere, nuove forme di collaborazione di tipo orizzontale, tra imprese quindi che possedendo competenze specifiche e complementari, pur rimanendo autonome l’una dall’altra, vanno ad operare in modo coordinato per il raggiungimento di un fine comune.
Tali partnership, potrebbero sorgere in tutti quei settori in cui la complessità del prodotto risulta elevata (prodotto con elevate caratteristiche di divisibilità) e quindi, le imprese partecipanti, potrebbero ognuna realizzare distinte parti del prodotto stesso, comunicando online lo stato di avanzamento del proprio operato, per poi assemblare e rendere il prodotto finito, a cura di quell’impresa in possesso di competenze sistemiche e capacità organizzative superiori.
Quest’ultima impresa quindi, assumerà un ruolo centrale di coordinamento di tutto il progetto ed allora possono, a questo punto, verificarsi due ipotesi. Il premio pagato dal mercato per l’ottenimento di un prodotto che si identifica perfettamente con le proprie necessità (risultato della personalizzazione), dovrà essere equamente ripartito fra tutte le unità partecipanti.
Qualora però l’impresa che abbia coordinato tutto il progetto ed abbia fornito assistenza e supporto a tutte le altre imprese, tratterrà la totalità del surplus, mentre le altre imprese partecipanti otterranno ugualmente dei vantaggi economici, in quanto avranno una sicurezza circa i volumi acquistati dal partner-cliente, una riduzione dei rischi economici oltre ad una maggiore stabilità della propria domanda.
Nel caso dello sviluppo orizzontale quindi, la strategia perseguita, sarà quella del tipo multibusiness, dove le capacità, le competenze e le conoscenze delle varie aziende, verranno indirizzate verso nuove combinazioni di prodotto/mercato, offrendo nel contempo, ed a tutte le imprese partecipanti, un accrescimento di know how, sia esso commerciale, produttivo ovvero in ricerca e sviluppo, in virtù appunto delle nuove interrelazioni tangibili ed intangibili che si creerebbero tra le diverse unità³ .
Tale strategia quindi, permetterebbe ad una pluralità di piccole imprese, di competere direttamente anche con quelle di più grandi dimensioni e questo, senza dover investire risorse per un accrescimento della propria capacità produttiva e/o dimensionale, potendo benissimo sfruttare le suddette capacità, conoscenze e strutture possedute dal nuovo gruppo così formatosi (in pratica l’azienda, ottiene un surplus di valore economico, tramite lo svolgimento di attività in comune, rispetto al costo di gestione e coordinamento interno necessario per il raggiungimento dello stesso fine perseguito però in modo “solitario”).
Le partnership formatesi poi, potranno distinguersi anche sotto un punto di vista temporale e quindi potranno avere una durata limitata, nel caso il progetto di cooperazione miri a raggiungere un fine specifico (si potrebbe parlare di rete dinamica digitale o anche di rete operativa digitale, che sfrutta una particolare situazione del mercato), ovvero avere una durata più ampia, in un’ottica di medio-lungo periodo, nel caso appunto in cui le imprese, intendano perseguire progetti di lunga durata ( si parlerebbe allora di rete stabile digitale o rete strategica digitale). Il discorso delle partnership quindi, faciliterebbe il formarsi online di filiere, gruppi e quindi dei tanto attesi distretti digitali, quali nuove opportunità di sviluppo dell’economia italiana nel nuovo contesto economico globale.

2.5. Il processo di digitalizzazione dei distretti italiani

Come visto nei paragrafi precedenti, la Digital Economy, sta progressivamente offrendo nuovi orizzonti alla comunicazione ed alla collaborazione interaziendale in ottica di partnership, ai rapporti commerciali della sub-fornitura tra imprese fornitrici ed imprese clienti ed alle attività svolte dai nuovi intermediari dell’informazione. La quasi totalità delle piccole e medie imprese industriali e, a maggior ragione, quelle radicate all’interno dei distretti industriali, dimostrano però uno scarso entusiasmo verso le nuove soluzioni di business permesse dalla rete. Partendo dalla considerazione che la piccola e media impresa italiana ha basato il suo successo sulla comunicazione e capacità relazionali all’interno di filiere e sistemi produttivi locali, osserviamo come a tutt’oggi, siano effettivamente scarsi gli investimenti in Information & Communication Tecnology.
I fitti rapporti commerciali presenti all’interno dei distretti infatti, si fondano essenzialmente su strumenti di tipo tradizionale (telefono, fax, riunioni di lavoro) e poco invece sull’utilizzo delle nuove tecnologie. Il processo di adozione dell’e-business aziendale, ha preso generalmente avvio con una fase iniziale di orientamento generale verso le nuove tecnologie, al fine di sfruttarne le potenzialità, unicamente quale nuovo mezzo di comunicazione pubblicitaria tramite posta elettronica o sito Web adibito però, alla sola presentazione istituzionale dell’azienda ed alla descrizione dei prodotti e servizi da questa offerti.
In un secondo momento, le imprese hanno iniziato a sfruttare le potenzialità della rete, tramite l’attivazione di procedure di ricerca ed acquisto di materie da utilizzare nei propri processi produttivi, ovvero nella realizzazione di transazioni commerciali online, per la vendita dei beni e servizi. Le imprese, soprattutto quelle di grandi dimensioni, forti delle disponibilità economiche, hanno quindi cercato di implementare le prime forme di e-commerce, sfruttando le informazioni acquisite sulla proprie imprese clienti per le strategie di marketing diretto.
La terza ed “ultima” fase, prevede invece un’attivazione fattiva e progressiva, delle piccole e medie imprese nell’integrazione del proprio sistema informativo in una prospettiva di e-business vero e proprio dove, la varie attività della catena del valore, vengono integrate e condivise in rete con i propri partner commerciali, in un ambiente unico e sicuro, dove poter gestire online tutti i processi aziendali. L’evoluzione di detta fase prevede uno sviluppo dell’innovazione tecnologica e strategica dell’azienda nell’ambito di tutte le attività aziendali visto, che le stesse imprese, cominciano pian piano a comprendere come la virtualizzazione della propria catena del valore, in ottica di impresa estesa ed integrata con i vari partner, permette un’innovazione di processo e di prodotto, quindi un nuovo percorso strategico da portare avanti nel medio-lungo termine per l’ottenimento di indiscutibili vantaggi economici e competitivi, anche in ambito internazionale.
Tale terzo passaggio quindi, permette all’imprese, di apprendere ed utilizzare le effettive necessità e profili comportamentali dei propri clienti, così da arrivare sia ad una produzione mirata e sicuramente più efficace, potendo sfruttare al massimo le logiche del build-to-order (la personalizzazione dell’offerta), sia ad una produzione più efficiente visto che, con lo sfruttamento dei nuovi canali di approvvigionamento (marketplace o comunità commerciali), possono stringere nuovi rapporti di collaborazione, ottenendo riduzioni nei costi relativi alle forniture, riduzioni dei tempi di evasione degli ordini ed una riduzione dei costi associati a tutte quelle attività che, non essendo core, possono essere affidate in outsourcing.
I fattori distintivi e costitutivi di un marketplace verticale o comunità virtuale, possono essere individuati nelle “3 C¹” , ossia i servizi che devono essere erogati a favore dei partecipanti, atti a soddisfare ogni esigenza aziendale:

Commerce
Una prima dimensione che permette di esplorare il fenomeno della comunità virtuale, è rappresentata dal servizio di gestione delle transazioni commerciali delle imprese ad essa associate, tramite diverse possibilità di organizzazione degli scambi, a seconda della natura del bene oggetto dello scambio (beni strategici, beni produttivi non strategici ma destinati pur sempre ad entrare nel ciclo produttivo, ovvero beni operativi da utilizzare solamente come input produttivi indiretti, i cosiddetti MRO) e della tipologia d’acquisto (che potrebbe essere occasionale o continuativa nel tempo). Questi scambi, possono avvenire con il metodo dell’asta, dove il compito principale dell’intermediario risiede nell’assicurare l’esistenza delle parti, la qualità della merce ed il regolare svolgimento dell’asta stessa.
Il modello di contrattazione tramite l’asta² , viene privilegiato soprattutto negli acquisti speculativi di materie prime (ad esempio l’acciaio) e per i beni cosiddetti commodity, tramite piattaforme che permettono la formazione dinamica del prezzo, online ed in tempo reale;
con il metodo dello scambio, o baratto digitale, le parti hanno la possibilità di visualizzare e confrontare le varie offerte di acquisto e/o vendita, così da scegliere, o meno, la conclusione dell’affare, sulla base dei prezzi formatisi o delle quantità disponibili;
tramite i cataloghi che, differentemente dalle modalità precedenti di tipo dinamico, raccolgono le offerte dei vari fornitori redatte mantenendo i prezzi fissi per un determinato periodo di tempo. La comunità, aggregando le diverse offerte e suddividendole per prodotti, riesce ad assicurare alle imprese una facilità di ricerca, selezione ed acquisto dei prodotti di cui abbisognano. Questa tipologia di gestione della transazione commerciale, si addice soprattutto per gli acquisti compiuti in modo continuato nel tempo, anche se ciò non esclude la possibilità per l’infomediario, di privilegiare, anche in questo caso, sistemi di dynamic pricing.
Affinché l’infomediario riesca a garantirsi una massa critica di partecipanti agli scambi, deve offrire tutta una serie di servizi a valore aggiunto, come gestire completamente il sistema degli ordini, provvedere ad una integrazione dei sistemi gestionali delle imprese partecipanti, garantire alle controparti la sicurezza degli scambi, gestire ed assicurare i flussi logistici, effettuare una certificazione delle merci, assicurare servizi finanziari, ecc³ .
A tal riguardo, è importante sottolineare come l’intermediario possa anche concludere partnership con imprese terze, che offrano tali servizi non strettamente connessi con lo specifico settore in cui opera, attivando così dei processi di outsourcing con altri operatori orizzontali.
Un ulteriore aspetto da non sottovalutare per le imprese buyers, è quello relativo alle possibilità di ottenere delle economie negli approvvigionamenti, in virtù degli acquisti compiuti tramite specifici consorzi digitali d’acquisto. Questo si potrebbe verificare ad esempio negli acquisti di energia elettrica. Con l’emanazione del decreto Bersani infatti, il Governo italiano ha dato avvio alla liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica, stabilendo inoltre determinate soglie minime di consumo energetico che permetterebbero l’ottenimento di risparmi di costo nell’approvvigionamento.
Ebbene, non potendo le piccole e medie imprese raggiungere tali soglie minime di consumo, una strategia che le stesse potrebbero studiare, oltre quella della costituzione di consorzi “reali”, peraltro già prevista nello stesso decreto, è quella della costituzione di consorzi digitali tramite i quali raggiungere una maggior massa critica di imprese a tal fine interessate, così da ottenere risparmi per tali acquisti.
Molte imprese infatti, non appartenendo a tali consorzi, sono di fatto escluse dalla soglia minima e pertanto, trovare online nuovi partner, sfruttando la possibilità di un acquisto congiunto, rappresenta un’opportunità da non sottovalutare.

Content
Il secondo elemento di differenziazione delle comunità virtuali commerciali rispetto alle altre tipologie di intermediari, è rappresentato dal contenuto dei servizi informativi specifici che vengono offerti alle imprese. Affinché il network digitale di imprese creato costituisca una vera e propria comunità, occorre che l’intermediario attivi luoghi di incontro, dialogo, dibattito ed approfondimento, così da offrire alle imprese un ambito di cooperazione ove studiare progetti, iniziative e strategie comuni. La predisposizione di tali contenuti, evidenzia il ruolo della comunità da intendere non solo quale broker informativo, ma anche come governo del processo di raccolta, selezione e diffusione di informazioni e dati ad altissimo valore aggiunto, utili per i membri e di stimolo per i nuovi partecipanti.
L’offerta di tale servizio, è infatti fondamentale per creare massa critica di imprese clienti (si spera inoltre che le stesse imprese, si trasformino da semplice utenza occasionale in impresa effettivamente partecipante). L’impresa quindi, ottiene notevoli vantaggi, riuscendo di fatto ad acquisire molte informazioni relative sia all’ambiente specifico in cui opera, che in relazione ai prodotti atti a soddisfare le proprie esigenze e questo, ancor più, quando le suddette informazioni sono state preventivamente selezionate, catalogate e certificate da un operatore qualificato.
La comunità, attiva inoltre delle news di settore riferite non solo ai prodotti, ma anche, ad esempio, alle informazioni e comunicati stampa emessi dalle aziende stesse, così da permettere a tutte le altre imprese, interessate a forme di partnership, di essere continuamente aggiornate sull’evoluzione delle attività che possono offrire nuovi vantaggi al proprio business.
Nello spazio riservato alle news, vengono inoltre somministrate alle imprese, informazioni relative ad esempio alle possibilità di ottenere finanziamenti agevolati per progetti specifici, le principali normative fiscali e legali dei diversi Paesi in cui possono andare ad operare e servizi di traduzioni online. Sono inoltre previsti, abbonamenti a riviste di settore specializzate, informazioni sulla possibilità di partecipare e/o prenotare un proprio spazio pubblicitario nelle fiere che periodicamente vengono organizzate e la disponibilità online, tramite videoconferenza, di convegni e seminari, così da permettere ai manager di imprese distanti geograficamente, di poter seguire virtualmente i lavori stessi.
Tale servizio, offre quindi una sorta di formazione professionale atta ad accrescere gli skill aziendali e garantire, in definitiva, una migliore e più completa comprensione della nuova visione strategica della mission aziendale. Questo servizio, viene ad esempio assicurato da Steelscren.com, un marketplace verticale che opera nel settore dell’acciaio, il quale fornisce in tempo reale tutta una serie di informazioni circa l’andamento dei prezzi di tali prodotti, una scheda con le loro caratteristiche tecniche ed anche l’andamento del loro mercato.
L’impresa, trova nell’infomediario un partner di fiducia, un punto di riferimento del quale non saprà più fare a meno, visti i notevoli vantaggi di tempo e costo risparmiati nella ricerca e valutazione dei fornitori, partner e merci e/o servizi di cui abbisogna.
L’infomediario però, per assicurare un elevato livello del proprio servizio di content, deve costantemente aggiornare le informazioni presenti nel sito, valorizzando quanto più possibile, in termini costruttivi, gli scambi di vedute che potrebbero nascere tra i vari partecipanti negli spazi appositamente creati. Perché una comunità sia effettivamente tale, occorre, in definitiva, un coinvolgimento pieno degli utenti che presentino esigenze specifiche e complementari, alimentate non solo nei forum e negli spazi di discussione di tipo virtuale, ma anche in occasione di seminari e fiere dove le imprese possano ritrovarsi per discutere face to face dei risultati ottenuti dal partecipare alla comunità stessa, creando quell’effetto network, utile a coinvolgere nuove imprese nel progetto di collaborazione online.

Community
Il terzo fattore critico per il successo della comunità ed il vantaggio dei partecipanti, è la capacità dell’infomediario di creare intorno alla propria iniziativa di intermediazione, una pluralità di attori che sia la più ampia possibile.
Il raggiungimento di tale massa critica di imprese clienti, avviene tramite diversi step, dove un primo livello è costituito dall’acquisizione del maggior numero possibile di imprese partecipanti, il successivo è la trasformazione delle stesse in attori disposti ad una piena condivisione di informazioni ad alto valore aggiunto, fino alla creazione di un circolo virtuoso, dove altre imprese possano essere attratte dalla presenza di un numero consistente di fornitori o imprese acquirenti qualificate, che sappiano offrire vantaggi competitivi da tale scambio di conoscenza.
I partecipanti al forum infatti, hanno la possibilità, ad esempio, di ottenere informazioni sulle esperienze vissute dalle altre imprese nell’utilizzo di determinati prodotti, ovvero nella conclusione di accordi di collaborazione, così da poter essere guidate e consigliate nella scelta di partner o di prodotti specifici.
I commenti rilasciati dalle imprese utilizzatrici negli spazi di discussione, costituiscono una fonte economica molto importante per le aziende fornitrici in quanto, in virtù degli stessi (il cosiddetto feed back), possono in real time approntare dei correttivi alla propria produzione e quindi, considerare tale spazio, quasi come un’area test da cui ottenere linee giuda essenziali per lo sviluppo delle future produzioni.
Il servizio di community, rappresenta quindi il vero e proprio spazio virtuale dedicato al confronto ed alla discussione collettiva tra imprese partecipanti. Tramite la comunità, le imprese di più piccole dimensioni, possono così ottenere un proprio spazio di visibilità, il cosiddetto account, tramite la creazione di una propria pagina web all’interno della comunità stessa. L’impresa cliente, ottiene dall’intermediario, indicazioni utili per la descrizione dell’attività svolta, per i contenuti di comunicazione e di reverse marketing, così da creare politiche di marketing basate su considerazioni e giudizi espressi dalle altre imprese-clienti della comunità.
In tal modo, si concretizzano messaggi veri e propri di marketing diretto, aspetto critico questo per tutte quelle piccole imprese che, come visto nei precedenti paragrafi, non disponendo di budget idonei, non potrebbero perseguire operazioni pubblicitarie utili ad incrementare la propria visibilità. Tramite i database dell’intermediario infatti, le aziende operanti in un settore economico specifico, possono facilmente entrare in contatto fra loro, sino ad attivare transazioni in un ambiente del tutto sicuro, sia sotto un punto di vista legato alla sicurezza delle transazioni, sia sotto un punto di vista legato alla serietà e professionalità degli operatori, in virtù di quell’attività di reporting attivata dalla comunità.
Con gli spazi dedicati alla discussione quindi, le imprese possono consolidare la conoscenza reciproca, incrementare lo scambio di detta conoscenza e sviluppare le premesse per una loro fattiva collaborazione. Un’impresa, potrebbe ad esempio lanciare in rete un’ipotesi di progetto di un nuovo prodotto o processo e trovare poi altre imprese che, interessate all’iniziativa, aderiscano allo stesso.
L’attività di profiling, è quindi finalizzata alla creazione di un database utile per la comprensione dei comportamenti d’acquisto e di consumo delle diverse imprese, così da permettere ad ognuna di esse, di raccogliere informazioni sui possibili bisogni che possono andare a soddisfare, ricreando le condizioni ottimali per favorire relazioni e collaborazioni online più idonee (si accresce così il livello di customer satisfaction).
Questa, è in definitiva, la replica online del contesto di funzionamento di un distretto produttivo, dove però l’elemento di aggregazione, non è più determinato esclusivamente da un territorio o da una cultura comune, ma dal fatto di appartenere al medesimo ambiente sociale ed economico e dove le stesse imprese presentano esigenze ed aspettative comuni, a prescindere quindi dal contesto fisico e dai linguaggi di riferimento.
In tal modo, anche le tanto blasonate economie di aggregazione, tra le principali fonti di vantaggi competitivi del distretto, determinate dalla concentrazione delle imprese in un luogo fisico limitato, possono così essere ugualmente ottenute dalle aziende partecipanti alla comunità la quale, si adopererà anche per la formazione di un mercato del lavoro specifico per il settore di riferimento, realizzando col tempo anche delle infrastrutture digitali dedicate. All’interno di dette comunità, si vengono infatti a creare le premesse per la costruzione di spazi appositamente dedicati alla formazione professionale del personale aziendale.
Nelle imprese tradizionali, solitamente, la formazione e riqualificazione del personale, viene effettuata all’esterno del luogo di lavoro e non sul “campo”. In questo contesto però, la formazione professionale, non sempre risulta efficace in quanto viene ad essere separato il momento cognitivo da quello operativo e dove, il passaggio dalla formazione teorica alla sua applicazione pratica, non sempre garantisce i risultati sperati. Nell’economia attuale, le piccole e medie imprese, per risultare competitive, come abbiamo già avuto modo di rilevare, sono necessariamente portate a perseguire una continua riduzione del proprio time to market e, quindi, investire ingenti risorse in processi di continua innovazione.
Ebbene, tramite le comunità verticali, le imprese possono garantire a tutto il personale aziendale una partecipazione attiva a questi processi di apprendimento dove, le nuove competenze potranno da subito essere applicate al contesto reale, essendo qui il processo cognitivo collegato direttamente a quello operativo, senza soluzione di discontinuità fra mondo del lavoro e quello di formazione. Si crea quindi una vera e propria sovrapposizione di attività formativa ed operativa, dove i lavoratori divengono, essi stessi, soggetti pro-attivi del proprio apprendimento. Questo, non farà altro che incrementare le possibilità di partenariato fra diverse entità economiche sulla base di una nuova e migliore condivisione di cultura e linguaggi condivisi in tali spazi di cooperazione economica digitale innovativa.
Una strategia a tal fine molto importante, che le comunità verticali possono e devono perseguire, è rappresentata dalla conclusione di partenariati con fornitori di innovazioni, come Enti di ricerca di settore ed Università, con cui sviluppare nuovi processi di Ricerca e Sviluppo, assicurando così informazioni alle imprese partecipanti, che non avrebbero avuto modo di ottenere se le ricerche fossero state condotte autonomamente, se non a costi proibitivi.
Secondo la National Science Foundation, l’attività di ricerca e sviluppo, può infatti essere classificata in:

  • ricerca pura, la quale si sostanzia in tutta una serie di studi, affrontati dall’azienda per incrementare il proprio livello di conoscenza, ovvero giungere a nuove conoscenze scientifiche non ancora in possesso della stessa e che, risultando tale ricerca molto costosa, apparterrà esclusivamente alle grandi imprese che dispongono di elevati budget finanziari da investire appositamente in tale attività;
  • ricerca applicata, tramite la quale si da attuazione commerciale ai risultati ottenuti dall’attività di ricerca pura e quindi, per i suddetti motivi, ottenibile ancora una volta solo dalle grandi aziende;
  • ricerca e sviluppo, dove l’attività è tesa allo studio di possibili migliorie da apportare alla produzione aziendale, al fine di ottenere una nuova configurazione di prodotto che possa permettere all’azienda di espandere il proprio target di riferimento.

Il problema fondamentale che quindi grava sulle imprese circa i propri investimenti in Ricerca e Sviluppo, è determinato dalla limitata disponibilità di risorse economiche da investite in tale attività, tenuto conto dei rischi che le stesse corrono, nel momento in cui dall’attività di ricerca, non si ottengono risultati applicabili commercialmente. Il più delle imprese infatti, tende a stanziare per la ricerca e sviluppo, risorse economiche calcolate in misura percentuale sul fatturato annuo, così da raggiungere al massimo, una replica dei risultati ottenuti dai precedenti sforzi, senza quindi riuscire ad ottenere un nuovo vantaggio competitivo.
Ebbene, grazie al partenariato digitale, le aziende potranno replicare online il concetto di spin off al quale affidare congiuntamente molte più risorse da destinare a tale attività di marketing e godere poi, di tutti i vantaggi derivanti dallo sfruttamento immediato delle nuove conoscenze, in virtù delle loro caratteristiche di versatilità.
Da un recente lavoro di analisi dei distretti industriali italiani, condotto nel marzo 2001 dalla FEDERCOMIN, RUR e CENSIS4 , emerge però che a livello italiano, anche laddove siano forti i legami commerciali tra imprese, essendo gli stessi basati su un sistema di accordi strutturati in modo tale da portare le stesse aziende a sviluppare strategie unitarie, non risultano in crescita le loro relazioni sviluppate su base tecnologica.
L’impedimento principale che limita di fatto le relazioni basate sull’uso della nuova tecnologia e che quindi ostacola la digitalizzazione dei meccanismi di funzionamento e collaborazione dei distretti industriali, è data dalla vischiosità tipica della mentalità imprenditoriale italiana, ossia la difficoltà di condividere le proprie informazioni con la concorrenza. Questo perché la condivisione delle informazioni, tramite i nuovi intermediari, potrebbe, di fatto, stravolgere il normale rapporto competitivo che si è creato nel distretto, così da sottrarre vantaggi competitivi a quelle aziende che in tale situazione non potrebbero più mantenere elevata la propria autonomia gestionale in quanto indotta dal nuovo intermediario o, peggio, da nuovi forti concorrenti che entrando a far parte del distretto digitale, imponendo cambiamenti organizzativi.
A tal riguardo però le imprese, potrebbero iniziare il proprio cammino verso le nuove tecnologie, creando ad esempio delle unità aziendali specializzate su singole fasi di lavorazione e collaborazione online, così da valutarne i risultati ottenuti e la fattibilità economica ed organizzativa e, in presenza di risultati positivi, sviluppare progressivamente online anche tutte le altre attività di core business.
Tali difficoltà quindi, fanno si che i sistemi imprenditoriali italiani, stentino ad implementare progetti per una collaborazione produttiva comune, fondata sull’uso della rete e delle tecnologie in grado di coinvolgere una massa critica di imprese locali.
I nuovi intermediari hanno quindi la possibilità di assumere un ruolo importantissimo, ossia proporsi come artefici dei modelli di sviluppo di mercati o distretti digitali, tramite la realizzazione di piattaforme tecnologiche che siano in grado di attrarre tutte le aziende facenti parte del distretto, in un nuovo polo di aggregazione virtuale. Occorre però fare molta attenzione a quello che è accaduto in Italia con le prime iniziative di marketplace in quanto, molti progetti di adesione aziendale ai Marketplace, si basano solo su accordi che intercorrono tra questi operatori e le associazioni di categoria dove, molto spesso, le aziende o sono del tutto ignare dell’esistenza dell’accordo, o dove all’adesione non corrisponde poi un’effettiva e stabile partecipazione dell’azienda stessa (fatto questo documentato in prima persona, a seguito di colloqui con alcune aziende della provincia di Latina le quali, pur essendo presenti nell’elenco delle imprese partecipanti ad un marketplace, non erano poi a conoscenza dell’esistenza di una simile organizzazione digitale). La possibilità di scambiare informazioni a basso costo e di gestire in modo integrato i dati aziendali tramite questi nuovi intermediari, basati quindi non solo sullo “scambio” di informazioni ma soprattutto sulla comunicazione della conoscenza, ha permesso alle imprese che hanno saputo sfruttare la reintermediazione, entrando così in un nodo di imprese specializzate in funzioni particolari, di focalizzarsi ognuna sulla propria core competence, esternalizzando quelle attività non strategiche che di fatto possono essere meglio soddisfatte dalle altre aziende facenti parte del network le quali andranno ad offrire la loro attività a costi effettivamente convenienti. La difficoltà di realizzare compiuti modelli relazionali fondati sullo scambio e condivisione di dati ed informazioni tramite le nuove tecnologie, non ha però impedito la nascita delle prime iniziative di siti interaziendali destinati ad esempio alla realizzazione di un lavoro comune ovvero di promozione dell’area di un distretto in un’ottica di apertura del network verso l’esterno, così da ridefinire i processi di scambio ed i rapporti commerciali con nuove imprese fornitrici ed acquirenti, appartenenti ad esempio, alla medesima filiera produttiva.
Un servizio fondamentale che i distretti digitali devono assicurare alle proprie imprese, è l’outsourcing per le attività aziendali non core. Con lo sviluppo dei distretti digitali infatti, le imprese che collaborano tra loro, possono essere localizzate anche a distanze geografiche rilevanti ed inoltre, con lo sviluppo dell’internazionalizzazione permessa appunto dalla comunità, si pongono problemi legati soprattutto alla logistica. Questo è sicuramente il caso dove il ricorso a forme evolute di outsourcing, incrementa ulteriormente il grado di collaborazione interaziendale.
La logistica tradizionale, si è sempre preoccupata di gestire il flusso delle merci e la loro distribuzione fisica tramite diversi mezzi di trasporto, con un servizio spesso assegnato a specifici operatori, per un periodo contrattualmente definito. Tali operatori quindi, hanno avuto delega a gestire operativamente, una o più attività logistiche di tutte quelle imprese prive di una propria rete distributiva, come il trasporto vero e proprio delle merci, lo stoccaggio delle stesse all’interno dei magazzini, i controlli qualitativi, le operazioni amministrative necessarie alla documentazione della loro movimentazione, ecc.
Aspetto poi da sottolineare, risiede nel fatto che tale attività è stata da sempre considerata come un qualcosa di separato dalle altre funzioni aziendali svolte all’interno dell’impresa. Ebbene, con la nascita delle comunità, vengono offerti i servizi logistici con modalità più evolute di outsourcing, considerando anche la logistica quale parte integrante e soprattutto ottimizzante dell’intera supply chain di ogni azienda, così da innalzare il livello di integrazione tra i diversi partner commerciali.
Tramite il flusso informativo che precede ed accompagna quello della movimentazione delle merci, a partire dall’ordine del prodotto sino al pagamento e, quindi, dal punto di origine a quello di destinazione, le comunità possono organizzare la gestione di tutto il processo logistico, studiando nuove soluzioni atte ad offrire servizi ad alto valore aggiunto e quindi offrire alle aziende partecipanti, nuovi vantaggi competitivi.
Il ruolo della comunità, è quello di sviluppare al massimo, il coinvolgimento tra impresa logistica ed impresa committente, studiando quelle che risultino essere le soluzioni migliori in linea con le esigenze e caratteristiche specifiche di ogni azienda partecipante.
Il passaggio da outsourcing logistico tradizionale a quelle evoluto, permesso dall’intermediario, si sostanzia nell’ottimizzazione del processo logistico nell’ambito di ogni specifica supply chain aziendale e quindi nell’offrire un servizio che permetta all’azienda fornitrice di logistica, di andare oltre la semplice evasione della consegna della merce. Con tale servizio, la comunità virtuale, permette anche alle imprese di più piccole dimensioni, di soddisfare al meglio le esigenze e le aspettative della propria clientela. Permette inoltre una sostanziale riduzione dei costi associati alla presenza di uno o più magazzini, i costi amministrativi per l’esistenza di un sistema informativo degli ordini, i costi di ricerca delle migliori soluzioni di spedizione (tipo imballaggi da utilizzare o le norme da rispettare per spedizioni effettuate in Paesi che hanno normative diverse da quella italiana) e quindi tutti quei costi connessi all’esistenza di personale addetto a presiedere le funzioni coinvolte nel processo di movimentazione delle merci sia nell’approvvigionamento che nel processo di vendita e distribuzione dei prodotti. Si assiste così, ad una crescente “verticalizzazione” delle prime iniziative di intermediazione nate come orizzontali e, dove le relative motivazioni, vanno ricercate nelle funzioni che la comunità deve andare ad offrire. I nuovi operatori di BTB infatti, cercano di offrire una funzione di tipo infra-strutturale, mettendo a disposizione dei propri partecipanti, strumenti e procedure specificamente progettati in maniera specifica per il loro settore o mercato di appartenenza, permettendo loro di operare online, tramite una creazione e condivisione di nuova conoscenza che risulterebbe conseguibile solo tramite una profonda e perfetta esperienza sul “campo”. L’elemento che quindi contraddistingue le comunità virtuali dalle altre tipologie di cybermediari è data proprio dalla creazione di spazi virtuali ove le imprese possono tra loro interagire e questo, sia per poter realizzare scambi commerciali efficienti o per attivare nuove relazioni di partnership, sia per poter scambiare e condividere nuove conoscenze dando così la possibilità a tutti i partecipanti, di avere accesso ad informazioni e competenze specifiche segmentate, ossia già selezionate per il settore economico di appartenenza.

Una delle esperienze di distretto digitale molto importante, realizzata nell’ambito dell’economia italiana, è rappresentata dalla comunità verticale dedicata al settore calzaturiero, www.acrib.it (Associazione Calzaturifici della Riviera del Brenta). Tale comunità, ha raggiunto¹ una partecipazione di circa 850 imprese italiane con 13 mila addetti, 20 milioni di paia di scarpe prodotte ed un giro d’affari pari a tremila miliardi. Tutta la produzione delle scarpe, viene co-ideata e commercializzata direttamente dall’area del Brenta, verso 72 Paesi mondiali. Il compito principale di Acrib, è quello di avvicinare le imprese partecipanti, alla new economy, favorendo nuove forme di aggregazione che valorizzino la comunicazione e la collaborazione interaziendale, così da offrire un valore aggiunto ad ogni impresa appartenete al distretto.
Il distretto digitale, oltre a garantire la possibilità di un sistema di commercio elettronico sicuro e dinamico (commerce), offre quindi, nella propria area riservata alle imprese registrate, uno spazio dedicato alla comunicazione ed alla interattività tra le aziende partecipanti e lo stesso Acrib, con l’obiettivo di ottimizzare il flusso informativo per lo sviluppo del lavoro collaborato (community). In tale area, le varie aziende, possono collaborare con i propri fornitori, scambiarsi informazioni, conoscenze ed esperienze, ma soprattutto progetti ed idee innovative, sia di prodotto che di processo, tramite un’ottimizzazione della gestione in rete, dell’attività di clienti, fornitori, terzisti e delle reti di vendita.
Tale comunità inoltre, sviluppa la sua attività, nella costante ricerca di promozione dei prodotti delle aziende partecipanti verso un mercato sempre più globale, favorendo quindi quel processo di internazionalizzazione tanto difficile per le imprese di piccole e medie dimensione.
Tale attività, viene perseguita con un database contenete tutti i dati relativi alla produzione delle aziende, parco clienti forniti, prezzi e foto dei prodotti, presenze in fiere e le eventuali “griffe” che collaborano con le stesse, così da permettere loro di essere contattate anche da società estere, che ricercano i tipici prodotti del “made in Italy”. Il sito inoltre, proprio per garantire il rispetto dell’autonomia gestionale di ogni impresa, punto cruciale questo per lo sviluppo dei nuovi progetti di distretti digitali, permette a ciascuna azienda di beneficiare tanto di servizi ad accesso libero e, quindi, anche per imprese non partecipanti, quanto servizi di accesso ad informazioni aziendali particolareggiate, sottese però all’inserimento di password di accesso (community).
Il Network digitale poi, offre molti contenuti informativi ad alto valore aggiunto alle imprese partecipanti, primo fra tutti, il servizio di formazione online per il personale aziendale, l’e-learning, per lo sviluppo di una cultura imprenditoriale anche tramite il corretto uso del portale, le circolari normative di settore create dallo stesso Acrib, videoconferenze su seminari e convegni così da permettere alle aziende impossibilitate a partecipare, la consultazione del materiale nei tempi e nei modi desiderati, oltre ad un risparmio dei costi relativi ai viaggi e pernottamenti.
Un ultimo spazio, forse il più importante in termini di valore aggiunto offerto, è quello rappresentato dall’area di personalizzazione, ossia quello spazio della comunità, ove ogni impresa ha la possibilità di gestire le relazioni commerciali con i propri fornitori, ovvero con i nuovi, con gli stilisti e quindi con i clienti acquisiti o potenziali. In tale spazio, le imprese, possono creare collezioni, scambiarsi modelli di riferimento e nuove informazioni, fino a poter realizzare in tempo reale un nuovo progetto.
La comunità poi, per garantire eventualmente la riservatezza richiesta dalle aziende per dette particolari informazioni, può limitarne l’accesso ai non autorizzati, così da garantire, ancora una volta, quell’autonomia gestionale tanto voluta e ricercata dalle aziende che sono in procinto di partecipare a progetti di collaborative commerce.
Attualmente, le imprese che partecipano fattivamente a tale progetto digitale promosso dall’Acrib, sono solamente 6, anche se la comunità virtuale, spera di portare in rete tutte le proprie aziende entro il 2002, tramite un massiccio intervento informativo e corsi di formazione gratuiti per rendere noti i vantaggi ottenibili dallo sviluppo di tali attività digitali.

2.6. La gestione del conflitto di canale

L’avvento del BTB, ha inciso in modo radicale, sugli assetti organizzativi delle imprese che hanno implementato un simile progetto, ed in modo particolare il sistema dei rapporti interorganizzativi presenti all’interno del canale distributivo. Con l’intermediazione virtuale infatti, le imprese devono necessariamente saper gestire il possibile conflitto che potrebbe nascere all’interno dei propri canali distributivi, visto che essi assumono una nuova dimensione ai fini della produzione di un maggior valore per la clientela. Abbiamo visto come la rete permetta una sviluppo esponenziale delle attività ad alto contenuto informativo e dove la principale funzione degli intermediari tradizionali va trasformandosi da una semplice gestione dei flussi logistici in una di infomediazione, svincolata dal contesto fisico.
Prima dell’avvento della rete, l’attività di informazione necessaria alle imprese clienti ai fini di una loro valutazione circa prodotti e servizi, era reperibile nel punto vendita, tramite il personale all’uopo preposto, ovvero dall’analisi fisica del prodotto. Con Internet invece, è possibile separare il contenuto informativo dal contesto fisico e temporale, offrendo così ulteriori opportunità per i nuovi intermediari, oggi in grado di superare le difficoltà proprie dell’economia tradizionale, riconducibili appunto alle succitate limitazioni.
Le imprese inoltre, avendo la possibilità di migliorare il proprio potenziale relazionale con le imprese clienti, possono acquisire la fiducia di quest’ultime molto più efficacemente rispetto a tutte quelle che invece risultano ancorate all’economia tradizionale, ovvero avvalersi dell’opera degli infomediari che basano il loro core business proprio in tale direzione.
Con la nascita del nuovo canale distributivo, che si aggiunge a quello tradizionale, l’impresa deve essere in grado di gestire questa multicanalità, dove compito principe del management aziendale, consisterà nel risolvere i possibili conflitti di canale per cogliere tutte le possibilità offerte dalla rete.
Molte imprese infatti, non hanno sviluppato un progetto di BTB temendo il sorgere di questi conflitti¹ , lasciando così grandi fette di mercato alla concorrenza.
Partendo dal presupposto che un conflitto è di per se un aspetto negativo che porta all’insoddisfazione delle parti interessate e quindi alla nascita di comportamenti anche contrastanti con gli obiettivi fissati dal management, le imprese dovranno pensare strategie che siano in grado non di eliminare del tutto tale conflitto, bensì di contenerlo visto che una “sana competizione²” costituisce un elemento utile per le performance dei canali. La mancanza di stimoli competitivi, in presenza di ambedue i canali all’interno dell’organizzazione aziendale, potrebbe anche determinare comportamenti inerziali con scarse propensioni al lavoro ed al raggiungimento degli obiettivi. Il conflitto, nasce quando coesistono divergenze negli obiettivi che i diversi canali devono raggiungere, ad esempio quando la realizzazione dell’obiettivo da parte di un canale, preclude quello dell’altro, ovvero quando si è in presenza di confusione nella percezione dei propri ruoli all’interno dell’organizzazione stessa.
Nel caso specifico in cui l’impresa scelga di avvalersi di un nuovo intermediario per l’implementazione del progetto di BTB e per l’organizzazione del processo distributivo, tale nuovo operatore sarà allora considerato, dal canale distributivo tradizionale, un nuovo concorrente. Concludendo, l’impresa avrà la responsabilità di non ignorare il progetto di BTB, precludendosi altrimenti lo sfruttamento di opportunità rilevanti per il suo sviluppo, ma adoperandosi per non far sorgere possibili conflitti e nel contempo, prestare attenzione alla loro natura, ricercando così la soluzione “intelligente” per la risoluzione. Nello stesso tempo, sarà opportuno salvaguardare l’esistenza degli altri canali per garantire quella concorrenza tanto utile al raggiungimento degli obiettivi prefissati.

3°: L’EVOLUZIONE DEI MODELLI DI INTERMEDIAZIONE NEL BTB

PARTE PRIMA

3.1.1. Directory e Portali

Questi siti, sono stati la prima forma di intermediari che hanno coadiuvato il potenziale buyer a localizzare i produttori, tramite una classificazione delle aziende presenti online, così da creare dei menù di ricerca strutturati in modo da facilitarne la navigazione. La dicotomia principale in questa tipologia è quella tra portali orizzontali e portali verticali (o vortal, da vertical portal). I portali orizzontali, o portali generalisti, sono i “mega-siti” di accesso alla rete che offrono strumenti di ricerca, contenuti e servizi ad ampio spettro tematico.
Si tratta di prodotti che si rivolgono esplicitamente ad una utenza indifferenziata ed esempi di questo genere di portali sono Yahoo!, Lycos, Excite, Microsoft Network o, per citarne alcuni italiani, Virgilio, Kataweb, Italia OnLine, Jumpy, ecc. Oggi, la maggior parte dei portali orizzontali, è rappresentata da vere e proprie città virtuali, strutturate con l’obiettivo di trattenere al loro interno l’impresa, offrendogli uno spettro sempre più ampio di servizi piuttosto che fornirgli immediati punti di accesso a risorse presenti negli altri siti aziendali esterni.

Per quanto concerne la situazione italiana, Assinform ha condotto una ricerca sui portali generalisti italiani, maggiormente visitati dall’utenza business:

grafo15

(fonte www.Assinform.com, 2001, dati in percentuale)

Sempre Assinform, ha poi effettuato una ricerca compiuta sul numero e qualità dei servizi offerti da detti portali generalisti, analizzandone “l’accessibilità”, intesa come velocità di reperimento delle informazioni, presenza di eventuali link d’approfondimento ed architettura delle sezioni prese in esame; il “tutorial”, inteso come quel complesso di informazioni che forniscono all’impresa soluzioni, guide, glossari, manuali ed approfondimenti relativi al settore analizzato; “l’aggiornamento” delle varie sezioni e “l’esaustività”, intesa come qualità dell’offerta d’informazioni, in termini di completezza, chiarezza espositiva e soddisfazione esternata dall’impresa utente.
Valore dei servizi offerti dai portali, da uno a cinque.

grafo16

(fonte www.Assinform.com, 2001)

I portali verticali (detti anche portali tematici o di nicchia), di contro, sono siti che offrono contenuti, servizi e (non sempre) strumenti di ricerca dedicati a particolari domini tematici (sport, cinema, informatica, finanza, cultura, ecc.) o rivolti a ben definiti gruppi sociali e/o comunità (caratterizzati dal punto di vista etnico, religioso, economico, culturale, sessuale, ecc.).
Soprattutto i siti indirizzati a particolari segmenti economici, che vengono definiti da alcuni analisti come “affinity portal”, attraggono notevole interesse dal punto di vista commerciale, poiché la loro utenza, fortemente caratterizzata e quindi facilmente segmentabile, esprime bisogni e necessità precisi. Poiché la quasi totalità dei portali presenti in rete, sia orizzontali che verticali, fornisce all’utenza servizi e contenuti gratuiti, traggono profitti dalla vendita di spazi pubblicitari, con l’intento di fidelizzare un parco di imprese sempre più vasto.
Esistono diversi generi di comunicazione pubblicitaria on-line ma in assoluto, quella preponderante, è costituita dai cosiddetti banner, immagini, fisse o animate, collocate in punti strategici di una pagina Web, in genere collegate direttamente al sito dell’azienda inserzionista (o del prodotto reclamizzato). Tali banner pubblicitari, vengono venduti con diverse formule. Quella più diffusa si basa sul numero delle esposizioni (exposure), ossia il numero di volte che la pagina contenente il banner viene scaricata dall’impresa.
Secondo alcuni studi, la maggior parte delle imprese surfer mostra interesse e massima concentrazione più verso i contenuti che le immagini impresse su una pagina Web. Naturalmente, il livello di efficacia della comunicazione, può essere aumentato qualora il banner pubblicitario sia inserito in un contesto adeguato: ad esempio, la pubblicità di un libro, è tanto più efficace se esposta in una pagina culturale, come anche la pubblicità di una casa di alta moda risulta esserlo nel contesto di un affinity portal che si rivolge ad un pubblico di settore specializzato. Per questo, molti portali, includono nella loro offerta di pacchetti pubblicitari, sistemi di rotazione intelligente dell’esposizione degli stessi, prestando molta attenzione alle parole chiave inserite dalle imprese utenti nei motori di ricerca.
La perplessità di molte agenzie pubblicitarie circa la validità persuasiva della pura e semplice esposizione, ha stimolato la sperimentazione di nuove formule di valutazione del valore commerciale (e dunque del prezzo) di un banner. Una di queste, è basata sul “click-through”, ossia il numero di volte che un banner viene effettivamente cliccato dall’impresa per accedere al sito di quella inserzionista. Si è osservato, a tal proposito, che il tasso di click-through cala notevolmente se un banner viene esposto più volte. Un’altra formula, è quella basata sulla effettiva conclusione di una transazione commerciale da parte di un’impresa, che arriva ad un altro sito aziendale per mezzo dello stesso. I portali, hanno dunque arricchito e nello stesso tempo semplificato la navigazione in rete da parte di moltissimi utenti, specialmente di quelli alle prime armi. Se è vero che i portali possono essere strumenti utilissimi, essi vanno scelti ed utilizzati dalle imprese, in modo attivo e consapevole, valutandone criticamente i contenuti e sfruttandone al massimo le componenti interattive e di personalizzazione. Soprattutto, non debbono divenire gli unici componenti nell’orizzonte dell’esperienza di rete delle imprese utenti. Si tratta di fonti di informazioni organizzate e di facile accesso, ma anche incompleti e raramente neutrali. La vera ricchezza di Internet, risiede nella moltitudine di contenuti distribuiti nella rete, contenuti questi, che provengono da moltissime imprese emittenti e che esprimono molteplici punti di vista.
Attualmente, tutti i portali presenti in rete, organizzati professionalmente da grandi imprese, tipo Lycos, Altavista, Google, Virgilio, Arianna, Infoseek,ecc., permettono alle imprese visitatrici, di condurre ricerche, tramite l’invio di parole chiave (keywords), al fine di individuare la telepresenza¹ di altre aziende o organizzazioni commerciali, le quali abbiano aderito al servizio di search service.

Concludendo sul fenomeno dei portali, possiamo affermare senza dubbio, che rappresentano una delle chiavi della trasformazione indotta da Internet sul business degli ultimi anni, soprattutto perché ne ha facilitato la diffusione. Nati come strumenti di accesso, spesso collegati ai vari strumenti di ricerca dell’informazione in rete, i portali si sono progressivamente espansi e diversificati, sino a divenire dei veri e propri continenti nel caotico mare informativo del Web.
I portali, sono quindi caratterizzati da architetture informative complesse ed estremamente organizzate contrastando in tal modo, la tradizionale disorganizzazione dell’informazione di rete. Di contro però, possiamo osservare coma la quasi totalità dei portali, non sono stati in grado di offrire nuovo valore aggiunto alle imprese operanti in specifici ambiti economici, non essendo la loro offerta di servizi, mirata alla partecipazione e condivisione di risorse strategiche tra le stesse.

3.1.2. E-malls ed E-market Makers

Tali nuovi intermediari, sono modelli organizzativi composti da tutta una serie di siti di aziende appartenenti anche a Paesi diversi, ma che operano in stretta collaborazione tra loro essendo legate da rapporti commerciali.
Tali organizzazioni, tendono ad offrire all’impresa utente, una visione unitaria dei beni presenti ed offerti nel sito, pertanto il “mall”, è un infomediario elettronico che, analogamente ai centri commerciali tradizionali, offre infrastrutture di vendita online, ai produttori ed ai rivenditori, verso la corresponsione di una tassa di iscrizione, che può essere determinata in misura fissa o, in percentuale, rispetto al volume di fatturato prodotto.
Per le aziende, questo modello di business, può essere adottato in due modi differenti: come fruitore del servizio messo a disposizione dall’E-Mall o, come fornitore dell’E-Mall stesso. Nel primo caso, l’azienda decide di aderire alla comunità con l’obiettivo di ridurre gli alti investimenti richiesti per lo svolgimento dell’attività diretta in rete: nel secondo invece, offrire i propri prodotti alle aziende partecipanti e/o visitatrici dell’E-Mall.
Optando per tale strategia, l’azienda deve comunque adattare la propria struttura commerciale al nuovo canale di vendita. Nel secondo caso infatti, l’azienda si rende parte attiva dell’E-mall, scegliendo di investire e di realizzare una piattaforma tecnologica capace di raccogliere gli ordini delle aziende partecipanti, tramite l’attività di intermediazione dell’E-Mall stesso.
L’adozione di questo modello può comportare un totale ridisegno delle proprie strategie commerciali e, sotto questo punto di vista, giungere alla creazione di una nuova struttura commerciale.
Attualmente, si registra una parziale sconfitta degli E-Mall; questi infatti, hanno perso interesse e diffusione, incalzati dal diffondersi dei più moderni ed evoluti E-marketplace.
Gli e-market makers, sono invece creati da gruppi di imprenditori, con lo scopo specifico di facilitare le relazioni interaziendali. Questa tipologia di intermediario, crea valore aggiunto fornendo un punto di incontro tra imprese venditrici ed acquirenti, all’interno di un settore merceologico o di una regione geograficamente limitata, assicurando così liquidità al mercato (intesa come sicuro piazzamento dei prodotti aziendali presso le altre aziende partecipanti all’organizzazione¹ ) ed una riduzione dei costi relativi alle transazioni commerciali.

3.1.3. Agenti intelligenti

Questa tipologia di intermediari, basa la propria attività su strumenti di tipo informatico, raccogliendo ed elaborando tutta una serie di informazioni sull’impresa e, dove, sfruttando la conoscenza delle sue esperienze passate di approvvigionamento, è in grado di suggerirle le occasioni di acquisto maggiormente convenienti. Questa attività di supporto, in un ambiente sempre più complesso ed ipernutrito di informazioni quale quello del Web, costituisce una funzione di estremo valore per la garanzia di trasparenza e facilità di acquisto che l’impresa, decisa ad approvvigionarsi online, tanto richiede.
Gli Intelligent Agents, utilizzano quindi programmi che filtrano le informazioni in base agli interessi mostrati dalle imprese, memorizzandone le scelte e costruendone il profilo. Gli input di ricerca per questi “maggiordomi elettronici”, possono provenire dall’impresa stessa, nel momento in cui manifesta interesse a ricevere informazioni su specifici settori commerciali. L’agente pertanto, effettuerà periodiche ricerche in rete, sulla base dei dati presenti nei database dell’azienda interessata agli acquisti ed in quelli dell’organizzazione per cui lavora, al fine di ottenere informazioni circa i prodotti e servizi necessari per l’impresa cliente fino ad arrivare ad una personalizzazione dei criteri di ricerca, sulla base della soddisfazione mostrata dall’impresa per le informazioni ottenute.
Le principali funzioni compiute dagli agenti intelligenti, sono quelle di filtraggio (filtering) dell’informazione per distribuirla poi all’utente, evitando l’accumulo in uno stesso archivio, di una quantità di documenti che vada al di là della capacità di gestione dell’utente (evitando cioè l’information overflow) e di recommending (segnalazione) delle informazioni utili in un dato contesto operativo. In entrambi i casi, alla base c’è una capacità di ricerca (searching) che arriva, nel caso degli agenti “super”, alla scansione del contenuto dei documenti stessi (net filtering).
Taluni sistemi, presentano caratteristiche tipiche degli agenti, quali appunto i programmi client, utili per ricevere informazioni tramite meccanismi di information pushing. Tra i casi più interessanti, possiamo citare quello di www.quicken.com, un consulente digitale per gli acquisti. Grazie a tecnologie software molto avanzate, permette infatti all’impresa, in procinto di acquistare un prodotto online, di ottenere una consultazione rapida di tutte le proposte offerte in relazione alla ricerca.
Una caratteristica molto importante di questi siti, è che essi tendono a divenire una “marca”, che può addirittura rimpiazzare le aziende classiche, nelle preferenze dei consumatori (il sito della Microsoft, se vende auto, può fare concorrenza alla Ford¹ ).
Altri casi interessanti, sono rappresentati da www.autotrader.com, che offre uno dei migliori assortimenti di auto usate al mondo, ovvero da www.carpoint.com, che in aggiunta alle autovetture usate, offre anche veicoli nuovi; è opportuno notare però come i servizi offerti dagli agenti intelligenti, si limitino ad effettuare un raffronto dei prodotti esclusivamente in termini di prezzo, anziché effettuare una ricerca differenziata sulla base di parametri aggiuntivi, come ad esempio la qualità dei prodotti stessi.

PARTE SECONDA

3.2.1. Definizione di Digital Marketplace

Nel capitolo precedente, abbiamo visto come la centralità dell’infomediazione nel BTB, dipenda essenzialmente dalla necessità di un’integrazione dei processi aziendali, quale conseguenza della riconfigurazione della catena del valore, in quanto, solo tramite i servizi offerti da “terze parti”, le imprese potranno sfruttare al meglio le opportunità e le potenzialità insite nel BTB. Con riferimento specifico al BTB, è possibile notare la proliferazione di spazi di mercato virtuali, o e-marketplaces, dove anche le PMI vengono messe nelle condizioni di accedere a potenziali clienti e fornitori geograficamente distanti e con livelli di efficienza di gran lunga superiori rispetto ai modelli di business tradizionali.
All’interno di detti siti, simili a piazze virtuali e da alcuni riconosciuti come omologhi virtuali delle piazze di mercato reali, si ha un incontro tra domanda ed offerta tra fornitori ed imprese acquirenti e dove gli operatori del marketplaces hanno appunto il compito di facilitare tale incontro, generare opportunità commerciali di acquisto e vendita, supportare con servizi lo svolgimento dei processi sottostanti gli scambi commerciali nel modo più completo possibile, stabilendo essi stessi le regole dell’interscambio. I marketplaces, si contraddistinguono per la loro specificità del settore in cui vanno ad operare, per una loro specializzazione nei mercati verticali e per la crescente domanda di interoperabilità tra partner, fornitori e clienti. Loro prerogativa, è quella di riuscire ad affiliare un numero sempre crescente di fornitori e clienti, così da garantire loro un risparmio di costo negli approvvigionamenti, una maggiore velocità nell’approvvigionamento stesso, visto che potranno offrire anche soluzione di supporto per la logistica, ed infine assicurare una corretta transazione economica per gli acquisti-vendite effettuate. Generalmente, un marketplace, è strutturalmente composto, da diverse aree, pubbliche e private:

  • Area per l’accesso come seller,
    dove è offerta la possibilità di inserire e quindi rendere visibili, la propria offerta di prodotti e servizi, consultare eventuali interrogazioni commerciali avanzate dalle altre imprese sulle proprie inserzioni ed infine tutta una serie di strumenti per le interazioni con gli altri operatori.
  • Area di accesso come buyer,
    dove è possibile accedere direttamente alla struttura ed alle categorie dei prodotti e servizi presenti nel sito, consultare le offerte presenti, che sono state preventivamente trasmesse dal sito stesso ai vari fornitori potenzialmente interessati ed accedere allo shopping basket (carrello o borsa della spesa dei prodotti visionati ma non ancora acquistati) dove inserire le offerte a cui si è interessati, così da poterne calcolare il valore complessivo prima di procedere all’acquisto.
  • Area di discussione,
    o di e-community, ossia un’area in cui vengono pubblicate le news e gli articoli più interessanti del settore merceologico in cui opera il marketplace, così da creare un vero e proprio spazio di discussione dove gli utenti possono scambiare opinioni e creare trasferimenti di conoscenza che sono alla base del vantaggio competitivo che il marketplace può offrire.
  • Area dei servizi addizionali,
    tipo posta elettronica, news letter o le promozioni reclamizzate dalle aziende che abbiano acquistato spazi pubblicitari sul sito.
  • Area per la ricerca dei prodotti e servizi, tramite le key words,
    Nella battaglia competitiva tra questi marketplaces, che vedrà più sconfitti che vincitori¹ (risultato delle ricerche condotte dalle società di ricerca Booz Allen & Hamilton e Jupiter, disponibili sui rispettivi siti), le maggiori probabilità di sopravvivenza, vengono attribuite a quegli attori che:
  • si pongono nei confronti delle imprese fornitrici ed acquirenti, in una posizione di “neutralità”;
  • avranno raggiunto rapidamente una massa critica di utenza, anche su un piano internazionale, per consolidare i volumi ed il numero dei partecipanti;
  • siano in grado di garantire una copertura ed un supporto all’intero ciclo della transazione, dal primo contatto tra le aziende, ai pagamenti, ai finanziamenti, sino alle consegne.

Purtroppo, le prime iniziative di marketplaces, hanno visto questi attori collaborare necessariamente con alcune aziende fornitrici di prodotti e servizi, sia per raggiungere quella massa critica iniziale indispensabile ad ottenere una certa visibilità che, per avviare il circolo virtuoso di “liquidità – minori costi di transazioni – maggiori opportunità di business”.
Lo sviluppo dei marketplaces, è quindi legato ad una scelta strategia fondamentale ossia, non intervenire direttamente nell’attività aziendale e quindi evitando di acquisire titolo di proprietà sui beni aziendali intermediati.

3.2.2 Lo scenario dei marketplaces

La quasi totalità delle società di ricerca mondiali, hanno effettuato studi approfonditi sullo sviluppo futuro del BTB condotto tramite marketplaces. I risultati degli studi, anche se non coincidenti nei “numeri”, hanno come unico denominatore, la crescita impressionante del fatturato prodotto dalle aziende, soprattutto di piccole dimensioni, con l’ausilio di questi infomediari. Tali studi, essendo a lungo termine, dovranno sicuramente essere rivisti per l’evoluzione subita dai mercati, settori esaminati o per l’andamento dell’economia nei diversi Paesi, ma questo non sminuisce l’impatto positivo che i marketplaces apportano allo sviluppo del BTB.
Gli analisti della Gartner Group¹ , prevedono che entro il 2004, gli e-marketplaces, assorbiranno fino al 35% delle vendite mondiali derivanti dall’e-commerce BTB e dove, sempre nel 2004, le imprese fornitrici che sceglieranno di operare nei marketplaces, saranno oltre 3 milioni, con un volume d’affari mondiale, che si aggirerà intorno ai 3.000 miliardi di dollari.
Previsione del BTB mondiale, valore in miliardi di dollari

grafo17

Secondo un sondaggio condotto dalla società di ricerca Forrester² poi, tra i dirigenti di alcune grandi aziende, un numero sempre crescente di manager, prevede di acquistare e vendere tramite questa sorta di “borsa elettronica”. Attualmente, sempre a detta della Forrester Research, il 26% delle aziende mondiali, utilizza i marketplaces per acquistare prodotti ed il 18% per vendere, ma entro il 2002, detti valori cresceranno vertiginosamente, fino ad arrivare alla soglia del 69% per le aziende acquirenti ed al 71 % per quelle fornitrici di prodotti e servizi.
Solo nel corso del 2000³ , sono stati creati nel mondo, più di 400 nuovi marketplaces, (secondo la società di ricerca Deloitte Research, nel febbraio del 2000, esistevano 1.447 progetti di marketplaces, alcuni dei quali già attivati ed altri in fase di lancio4) con l’obiettivo di ritagliarsi una fetta dei 1400 miliardi di dollari attesi dal trading generato tramite questi mercati.
Le stime di Forrester relative allo sviluppo dei marketplaces nel mercato europeo, quantificano il volume del fatturato in 900 miliardi di Euro per il 2005, pari al 6% di tutto il trading BTB mondiale e dove, il 70% delle aziende europee, gestirà entro il 2004, una porzione significativa del proprio e-business tramite i marketplaces.
Secondo una ricerca condotta dalla società IDC5 , lo sviluppo mondiale dei marketplaces, sarà superiore rispetto alle altre forme di collaborazione di BTB ed infatti, il suo sviluppo raggiungerà quasi 1.250 miliardi di dollari.

Previsione del BTB mondiale, valori in miliardi di dollari.

grafo18

(fonte IDC 2001)

Per quanto concerne il mercato italiano, la società di ricerca IDC6 , prevede che nel 2003 il valore del BTB realizzato tramite i marketplaces, raggiungerà quasi 30 miliardi di Euro, a fronte dei circa 4 miliardi di Euro raggiunti nel 2001

Previsione del BTB italiano, valori in milioni di Euro.

grafo19
La propensione delle PMI italiane a sfruttare le potenzialità offerte dal commercio elettronico BTB tramite i marketplaces, è certamente alta e questo è quanto emerge da una ricerca condotta dalla società B2Biscom7 , secondo cui il 43% del campione delle aziende intervistate, si dichiara interessato ad effettuare i propri acquisti aziendali tramite un Marketplace.
Tale propensione, si giustificata però, nella misura in cui risulta disponibile per l’impresa, un ambiente sicuro, affidabile e controllato da un gestore neutrale, dove invece la propensione agli acquisti aziendali effettuati in rete e condotti senza avvalersi dell’attività dei marketplaces, scende all’11%.

Interesse dei manager italiani verso i marketplaces

grafo20

(fonte www. B2biscom.com)

Relativamente allo sviluppo del BTB europeo, è poi possibile osservare la sua mappa di sviluppo, secondo una ricerca condotta dalla Forrester Research , distinguendo la semplice adozione di tali progetti, dal suo hipergrowth, reso possibile dagli investimenti aziendali per la realizzazione di una fattiva partecipazione all’interno dei marketplaces.
Ebbene, stante i risultati della ricerca, possiamo notare come il processo di sviluppo del BTB, sia partito negli U.S.A. e Canada, per poi espandersi anche in Europa. Secondo la ricerca, l’Italia sarebbe uno dei Paesi più arretrati, con le prime vere implementazioni di progetti di BTB solo nel 2003, ma anche uno dei Paesi più promettenti in quanto basa la sua economia soprattutto sulle PMI, le quali sarebbero poi le dirette destinatarie dei servizi erogati dai marketplaces.

grafo21

(fonte: Goldman Sachs “B2B Europe” su www.gs.com)

Secondo una ricerca condotta dalle società Bear, Stern & Co 9 e Forrester Research, i principali settori industriali e commerciali, interessati dalle attività condotte tramite marketplaces, saranno quelli dell’industria energetica, dove le stime economiche prevedono nel 2003 fatturati per 90 miliardi di dollari, stesse cifre per l’industria chimica, 55 miliardi di dollari nell’alimentazione ed agricoltura e a seguire tutti gli altri settori.

BTB condotto tramite marketplace, valori in miliardi di dollari.

grafo22

3.2.3. Il valore creato tramite i servizi di collaborazione

Il valore generato da un marketplace per le aziende che vi partecipano, è rappresentato in primo luogo dalla possibilità di ampliare il proprio raggio d’azione commerciale rispetto ai canali tradizionali, permettendo così anche alle aziende di piccole e medie dimensioni, di raggiungere fornitori e clienti prima non raggiungibili. In secondo luogo, le aziende ottengono un incremento dell’efficienza sia nella catena degli approvvigionamenti che in quella della distribuzione, potendo ottenere notevoli risparmi di costo nelle transazioni e, quindi, sia per i buyers che acquistano che per i sellers che vendono. Con particolare riguardo alle PMI, i marketplaces, svolgono una funzione infrastrutturale, con l’automazione dei processi di commercializzazione ed una di gestione del processo stesso, indispensabile al completamento della transazione.
Inoltre, creano le premesse per una condivisione della conoscenza nell’ambito dello specifico settore industriale in cui operano, conseguita tramite l’aggregazione e l’organizzazione di informazioni ad alto valore aggiunto, raccolte sulla base delle diverse esperienze che le aziende partecipanti acquisiscono nel corso del tempo. Ciò consente a tali imprese di operare in condizioni di sufficiente simmetria informativa, rispetto ad interlocutori di maggiori dimensioni e peso sui mercati di riferimento.
Tali benefici per le PMI, sono ottenibili soprattutto quando il marketplace predispone servizi collaterali a quello del semplice incontro tra domanda ed offerta dei prodotti. Occorre sottolineare però che, l’operatività del marketplace, sarà realizzabile in tal senso solo se le imprese si mostreranno pronte al “cambiamento”, soprattutto quando i benefici economici derivanti dal nuovo servizio, non saranno evidenti nel breve periodo, ma, di contro, lo saranno sicuramente i costi connessi all’adozione dei nuovi processi d’acquisto, di vendita e di lavoro, quale diretta conseguenza delle innovazioni introdotte. Occorre ora studiare quale sia il valore che tali organizzazioni possono offrire alle imprese partecipanti, affinché le stesse possano cogliere tutte le opportunità offerte dallo sviluppo del BTB. In particolare, è importante sottolineare come il marketplace non offra solo un risparmio di costo sugli approvvigionamenti in quanto, la maggior porzione di valore creata per i partecipanti, risiede nei servizi complementari che gli stessi devono necessariamente offrire.
La Boston Consulting Group¹ , stima ad esempio che nel 2010, le aziende americane, partecipanti ai marketplaces, potrebbero arrivare ad ottenere un risparmio finanziario pari al 6% del proprio fatturato, stimato all’incirca in 1.000 miliardi di dollari. Secondo la BCG, queste sono cifre del tutto rispettabili, di per se già in grado di far confluire un gran numero di aziende verso i marketplaces, destinate poi a crescere in funzione dell’aumentato valore offerto dai marketplaces tramite i nuovi value-added services.
Le entrate stimate per i marketplaces, con lo sviluppo di tali servizi, varieranno allora dagli attuali 6-9 miliardi di dollari ai 350-450 miliardi del 2005, per quelli di grandi dimensioni, ed ai 100 miliardi per quelli di dimensioni più ridotte.
Stesse conclusioni, dalla società di ricerca Booz Allen & Hamilton².
Questi servizi complementari, possono così classificarsi³; :

nuovo1

(fonte Booz Hallen & Hamilton)

La società Booz Hallen & Hamilton, definisce tali servizi complementari, come vere e proprie strategie di crescita e sviluppo dei marketplaces. I marketplaces che vorranno sopravvivere nel prossimo futuro, dovranno offrire sempre nuove opportunità alle imprese partecipanti, soprattutto di piccole dimensioni. Una di queste è quella dell’e-supply chain management che permette alle partecipanti di ottenere una razionalizzazione nell’uso delle proprie attività, tramite una stretta collaborazione con le altre imprese. Questa forma di collaborazione, porta ad una riduzione del margine d’errore nella programmazione e gestione della produzione stessa, ad una migliore configurazione della propria catena del valore ed infine alla possibilità di ottenere una maggior produttività dalla propria forza lavoro.
Con le nuove forme di collaborazione aziendale, sfruttabili dalle aziende tramite i marketplaces, è inoltre possibile ottenere una riduzione dei costi associati all’esistenza di un magazzino in quanto, la maggior efficienza nella gestione della supply chain, permette di ridurre il livello minimo di scorte così da evitare l’obsolescenza ed il conseguente reintegro delle stesse. Questo perché il marketplace, permette alle aziende di ripensare la gestione dei propri magazzini, organizzare in modo comune gli inventari, i tempi di riordino ed il livello minimo di scorte da detenere, oltre a poter concordare i tempi e le modalità di consegna delle forniture. Le strategie che i vari marketplaces dovranno predisporre a tal proposito, varieranno poi a seconda delle caratteristiche del mercato, considerando ad esempio i tempi normalmente occorrenti alle aziende per gli approvvigionamenti (continui o occasionali), la concentrazione del mercato (domanda frammentata o concentrata) ed ancora rispetto alle caratteristiche dei beni scambiati (strategici o meno).
Secondo la Boston Consulting Group, i marketplaces, dovrebbero sviluppare delle “Killer application4” ossia creare dei servizi specifici che sappiano rispondere efficacemente alle esigenze dell’industria di riferimento, tramite strategie basate sulle collaborazioni digitali interaziendali.
Dal momento in cui, stanti gli studi condotti dalla società di ricerca Boston Consulting Group riguardo5 al settore chimico, falliscono il 50% delle reazioni chimiche dovute ad un’impropria selezione dei reagenti, allora una killer application che i marketplaces operanti in tal settore potrebbero sviluppare, è la creazione di un catalogo di modelli di reazioni chimiche, consultabile online dalle imprese partecipanti, così da permettere un miglior utilizzo dei prodotti, scongiurando la possibilità di commettere errori.
Un altro esempio di Killer application che il marketplace potrebbe perseguire ad esempio al settore industriale aeronautico, dove sono presenti ambienti privati destinati all’immagazzinamento dei materiali di ricambio di ogni compagnia aerea, determinando così delle scorte eccessive che si traducono in costi per la gestione dei magazzini, è la riorganizzazione della gestione delle scorte, sulla base dei tempi e modalità di utilizzo delle stesse.
Altra Killer application che merita attenzione, è quella che potrebbe riguardare l’industria del legname. In tale settore infatti, le imprese fornitrici di detto materiale, sono costrette a dotarsi di magazzini situati in prossimità dei canali di vendita, visti gli alti costi relativi al trasporto, soprattutto con riferimento a quello di tipo marittimo, che debbono sopportare per raggiungere i buyers situati in diverse zone geografiche. Ebbene la Killer application che il marketplace dovrebbe studiare, onde creare nuovi vantaggi competitivi e quindi massa critica, potrebbe essere, ad esempio, una collaborazione con un altro marketplace che basa la propria specificità sulla logistica, così da permettere alle aziende partecipanti, una riduzione dei costi di trasporto, una più puntuale consegna delle merci ed una maggiore fidelizzazione della clientela.
Un ultimo esempio di Killer application che merita menzione, è quello relativo al settore alimentare dove, molte categorie di prodotti alimentari, vengono puntualmente rifiutate al momento della loro consegna in quanto presentano errori od omissioni nella loro certificazione di qualità. La strategia del marketplace, che può consentire alle aziende operanti in tale settore di ottenere vantaggi competitivi, consiste allora nell’offrire una gestione online dei dati di certificazione, così da garantire un incremento del business e la conquista quindi nuove fette di mercato a danno logicamente di tutte quelle imprese concorrenti che non hanno invece saputo cogliere le opportunità loro offerte.
Un’altra strategia perseguibile dai marketplaces nella creazione di valore per le proprie partecipanti, è quella riconducibile al network effect6 . Con l’effetto network, si crea una massa critica aggiuntiva di imprese partecipanti, per il fatto che l’esistenza di un gran numero di imprese di settore già partecipanti, provoca un comportamento in detta direzione di tutte quelle che non hanno ancora aderito al progetto. Le stesse, sono quindi, per certi aspetti, costrette a provvedere.
Tali strategie, sono indicate soprattutto per i marketplaces che si rivolgono alle PMI operanti in settori particolarmente frammentati, dove, dopo aver creato convincimento nel management aziendale circa i vantaggi di un simile progetto, si ottengono sensibili diminuzioni di costo, direttamente proporzionali all’ingresso di nuovi partecipanti.
I marketplaces poi, devono permettere alle partecipanti di sfruttare la piattaforma tecnologica anche in vista di una riduzione dei costi di marketing per la ricerca dei partner essendo qui le imprese di riferimento, già identificate e selezionate dallo stesso marketplace. Nei marketplaces, è quindi indispensabile predisporre architetture adeguate per la negoziazione online, parametri comuni per la classificazione quali/quantitativa dei beni e/o servizi offerti ma, soprattutto, una raccolta dei dati aziendali dei buyers e sellers, onde assicurarne l’affidabilità, la solvibilità e la serietà nelle modalità con cui intrattengono i loro rapporti commerciali. Una soluzione molto importante, viene offerta a tal proposito dalle società “American International Group” e “Dun & Bradstreet Corporation”, le quali hanno annunciato la costituzione di una joint venture dedicata ai servizi per i marketplaces.
La D&B Co., ha infatti creato un servizio denominato “Avantrust SM7” , in grado di offrire online, quanto necessario per la riduzione dei rischi connessi alle attività condotte sui mercati virtuali, coprendo inoltre esigenze che vanno dalla verifica preventiva delle abilitazioni ad operare, sino alla copertura assicurativa dei crediti commerciali.
La nuova joint venture, poggerà sulla leadership mondiale che l’AIG e la D&B Co. detengono nei rispettivi settori, la prima in quello assicurativo e la seconda in quello della business information e della prevenzione dei rischi commerciali. I nuovi servizi di “Avantrust SM”, consentiranno ai gestori delle piazze di e-commerce, ai buyers ed ai sellers, di verificare l’identità degli interlocutori commerciali, di disporre della loro assistenza per eventuali controlli merceologici, di gestire ed assicurare i rischi inerenti i crediti commerciali, garantendo copertura assicurativa delle consegne e delle transazioni.
Tali servizi a valore aggiunto, mirano ad incrementare la fiducia e la sicurezza tra imprese venditrici ed acquirenti. L’apporto della D&B Co. ad Avantrust, è funzionale a ridurre l’incertezza e l’anonimato tra venditori e acquirenti, con soluzioni sperimentate di verifica ed autenticazione degli interlocutori commerciali, servizi quindi che, combinandosi con quelli propri della D&B Co., consentiranno lo svolgimento di attività di e-business in tutta sicurezza. Nello specifico, tali servizi, si concretizzano per chi acquista nel riconoscimento sicuro della controparte commerciale (identificazione e autenticazione), così da poter ridurre al massimo, il rischio di transazioni fraudolente o non autorizzate, una protezione quindi, contro le responsabilità ed i rischi legati all’uso di Internet.
Per coloro che vendono invece, i servizi erogati, comprendono soluzioni specifiche per il credit risk management, basate su indicazioni in tempo reale dei limiti di fido, sulle coperture assicurative dei crediti, sul profilo dell’acquirente, e su servizi di monitoraggio della condizione finanziaria di quest’ultimo.
Infine, l’offerta si completa con altri servizi mirati alla copertura dei rischi di fornitura, tramite l’attivazione diretta al punto di vendita online, di polizze merci anche per singole spedizioni, controlli di qualità sullo stato dei beni secondo i termini contrattuali tramite il supporto di partner specializzati. Le imprese, grazie ai servizi di customer care, non sono più costrette a collaborare con i soliti fornitori, ma possono rivolgersi a partner diversi, rapportando la scelta alle specifiche esigenze del momento, creando quindi un profilo personalizzato degli stessi, senza con questo sostenere costi esorbitanti, che, diversamente, costituiscono un limite alla ricerca e relativa valutazione dei nuovi collaboratori. Tale conoscenza, rende l’azienda molto più efficiente nel rivolgersi al mercato in quanto, il buyer informato, è in grado di riconoscere eventuali comportamenti lesivi attuati dai sellers.
Tradizionalmente, le aziende devono sopportare tutta una serie di costi identificabili nella ricerca e selezione del partner più adatto alla transazione per le negoziazioni necessarie alla definizione di un accordo, quelli relativi al controllo del comportamento del partner circa il rispetto dei termini stessi ed eventualmente le spese legali da sostenersi nel caso sorgano controversie tra le parti. Tali costi di transazione, risultano particolarmente elevati per le imperfezioni dei mercati dovute alla razionalità degli attori ed al loro opportunismo che, spingendo gli stessi verso una ricerca esasperata della massimizzazione del profitto, determinando con ciò danni economici alle relazioni instaurate tra le parti.
La trasparenza che i marketplaces devono assicurare alle proprie imprese tramite il servizio di customer care, deve quindi riferirsi tanto ai prezzi di vendita dei beni, quanto alla disponibilità dei sellers ad assicurare forniture in grado di soddisfare appieno il buyer.
La trasparenza dell’informazione per l’azienda, si sostanzia quindi nel suggerire l’esistenza di eventuali altri fornitori che siano in grado di fornire i medesimi prodotti richiesti, anche a condizioni più favorevoli, effettuando confronti di offerta basati su prezzi, qualità, tempi di consegna, ecc.
Occorre poi offrire alle imprese, una panoramica di prodotti alternativi e/o complementari, comunque in grado di rispondere alle specifiche esigenze dell’impresa.
Le aziende fornitrici, hanno da sempre investito notevoli risorse economiche in indagini di mercato tendenti a carpire le reali esigenze del buyer. Molto spesso, la produzione aziendale, non è però direttamente collegata al reale bisogno del cliente, ma ad esempio, alle tradizioni produttive aziendali, all’intuito del management aziendale, se non addirittura alle preferenze del produttore. Le imprese che invece sfruttano i servizi offerti dal marketplace, per lo sviluppo di attività di collaborazione online, sono in grado di trasformare la propria supply chain in demand chain, concentrandosi fattivamente sulle specifiche esigenze del buyer come dallo stesso dichiarate.
Il marketplace, permette quindi alle associate, una raccolta di informazioni sui loro partner, offrendo loro, la possibilità di incrementare gli scambi di valore e di attese che le aziende da sempre hanno ricercato tramite investimenti costosi e non sempre efficaci. Si realizzano così, gli effetti propri della collaboration interaziendale tramite marketplace, in quanto si assiste ad uno scambio di informazioni ad alto valore aggiunto tra i vari partecipanti e, proprio da simili scambi informativi, le aziende possono raggiungere vantaggi competitivi che altrimenti non avrebbero mai potuto ottenere.
Il marketplace deve quindi garantire la creazione di una comunità virtuale che possa effettivamente agevolare la comunicazione tra tutti i soggetti che abbiano scelto di farne parte. Tradizionalmente, le comunità virtuali, si sono caratterizzate come un evento sociale spontaneo, nato per soddisfare ciò che le imprese fondamentalmente desiderano: comunicare tra loro in modo interattivo e continuo. Quello che manca nelle comunità tradizionali, non è la possibilità di comunicare, ma l’opportunità di scambiare dati in real time, così da essere costantemente aggiornati sui reali bisogni dei partner commerciali.
Il marketplace quindi, creando e favorendo lo sviluppo di tale strumento di marketing, permette alle associate di utilizzarlo per meglio segmentare il proprio target di riferimento così da poter meglio definire e perseguire i vantaggi propri di una partecipazione attiva alla comunità stessa.
Un altro servizio a valore aggiunto che i marketplaces offrono, è il design collaboration, dove la gestione tra più aziende, nella progettazione e realizzazione dei prodotti tramite lo scambio di informazioni in tempo reale, riduce di molto il ciclo della produzione stessa e, quindi, anche i costi che normalmente le aziende sostengono, prima e durante le fasi di realizzo. Grazie all’attività condivisa tra le diverse imprese per la progettazione e realizzazione del prodotto, si riescono ad apportare da subito ed a basso costo, le eventuali migliorie intermedie alla produzione stessa, prima, quindi, che il prodotto venga lanciato sul mercato, ottenendo così economie associate alla riduzione del time to market.
Questo tipo di collaborazione, è adatta soprattutto per quelle imprese che forniscono materiali caratterizzati da un veloce ciclo di vita e che quindi divengono presto obsoleti. Le aziende di tipo tradizionale, prima della progettazione del prodotto, devono necessariamente studiare i bisogni delle proprie imprese clienti ed essendo il mercato attuale caratterizzato da un elevato grado di complessità, occorrono delle vere e proprie ricerche per lo studio e la realizzazione del prodotto che risulti il più aderente possibile alle specifiche esigenze del buyer.
Un ruolo fondamentale è quindi svolto dagli uffici aziendali di Ricerca e Sviluppo e di marketing i quali devono collaborare per progettare e realizzare il prodotto. Le aziende di piccole dimensioni, incontrano purtroppo notevoli limiti, in virtù dei bassi stanziamenti economici disposti per tali attività. Ebbene, tramite i marketplaces, le partecipanti possono superare tali limiti essendo in grado di progettare un prodotto perfettamente aderente alle richieste pervenute direttamente dalle imprese clienti, sostenendo minori costi di ricerca, confidando su una forma di collaborazione che permette loro di competere anche con imprese che dispongono di budget più corposi.
Il marketplace, permette inoltre di evitare tutte quelle fasi che solitamente precedono il lancio del prodotto, tipo lo studio delle strategie di commercializzazione e di trade, come il lancio del prodotto su città campione, dove si potrebbero verificare spese aggiuntive per le migliorie da apportare allo stesso, nel caso il mercato non abbia risposto positivamente.
Storicamente, le aziende operanti nel settore dell’automotive, per meglio coordinare tutte le attività necessarie alla realizzazione di un prodotto finito, dal reperimento dei componenti e materie prime sino al loro assemblaggio, sono state costrette a ricercare elevati livelli di integrazione verticale. La necessità di integrare verticalmente un largo numero di attività industriali, era indotto dalla complessità dei processi e dal costo associato allo scambio di informazioni. Ad esempio, l’alto livello di integrazione verticale che storicamente era presente nell’industria automobilistica statunitense, si coniugava alla necessità di integrare processi produttivi estremamente complessi. A causa di tale bisogno di integrazione, le aziende automobilistiche producevano in casa più del 70% del valore dei veicoli prodotti.
I progressi produttivi, ottenuti ad esempio in tale settore con il marketplace statunitense Covisint8 , nato dall’accordo concluso tra General Motors, Daimler Chrysler e Ford Motors, hanno contribuito notevolmente a ridurre il bisogno di integrazione verticale. In passato, le principali aziende automobilistiche, hanno facilitato lo scambio di informazioni con i fornitori, tramite la creazione di costosi sistemi informativi aziendali (EDI). Con lo sviluppo del marketplace, le stesse aziende, hanno potuto eliminare la necessità della creazione di tali sistemi informativi aziendali, potendo scambiare dati produttivi più rapidamente e a costo contenuti. Tramite tale scambio informativo online, aziende automobilistiche ed i loro fornitori, hanno così ridotto il costo di produzione delle autovetture. Con tali soluzioni strategiche, le aziende possono sempre più concentrarsi sulle proprie attività core, affidando in outsourcing le altre attività di approvvigionamento.
Il marketplace poi, permette alle proprie imprese, anche la possibilità di attivare procedure di e-procurement, ossia quel sistema di acquisto e vendita tramite cui le aziende ottengono una riduzione dei costi di approvvigionamento e transazione, in quanto diminuiscono sensibilmente i possibili errori commessi nella gestione degli ordini.
Un’azienda, necessita normalmente, per lo svolgimento delle proprie attività e per portare avanti il processo produttivo, di risorse diverse ed ulteriori rispetto ai beni strategici direttamente utilizzati nella fase core della produzione.
Tale processo d’acquisto di beni “indiretti”, presenta delle criticità in quanto, articolandosi la richieste di fornitura su più livelli, a partire dalla ricerca e selezione del miglior fornitore, il confronto delle diverse offerte e quindi la concessione dell’autorizzazione per l’acquisto, distoglie l’attenzione del personale aziendale dallo svolgimento delle attività più core.
Nasce quindi per l’impresa, l’esigenza di un meccanismo che permetta un risparmio di tempo, denaro e risorse al fine di rendere più fluido ed efficiente l’intero processo d’acquisto dei cosiddetti beni MRO.
Con il servizio di e-procurement quindi, tutti gli ordini di tali forniture, saranno gestiti con nuove modalità di tipo automatizzato, ottenendo l’impresa un notevole abbattimento dei costi d’acquisto, in virtù delle diminuite attività che devono essere gestite sia per la ricerca dei migliori fornitori, essendo stata l’attività delegata al marketplace, sia per la maggior efficienza ottenuta nel processo di acquisto, nella fatturazione e nel pagamento e/o incasso della fornitura.
Il servizio di e-procurement offerto dal marketplace, permette quindi ai buyers di evitare l’investimento di risorse nella fase di selezione e screening del fornitore e dell’offerta, che invece l’azienda deve effettuare nel momento in cui sviluppa strategie di approvvigionamento senza avvalersi dell’ausilio del marketplace. L’azienda affiliata al marketplace quindi, ottiene non solo una riduzione del costo operativo del processo d’acquisto, ma anche un servizio che le permette di far passare in secondo piano, la ricerca e l’analisi strategica dei migliori fornitori per la selezione delle offerte.
Con l’e-procurement in senso stretto, l’azienda riesce a consolidare il proprio rapporto commerciale con il fornitore di fiducia, tramite quindi lo sviluppo di un rapporto di partnership di lungo periodo in vista di un miglioramento delle rispettive prestazioni.
Il presupposto di tale scelta strategica, si basa quindi sull’esistenza di una collaborazione già consolidata tra le parti. Al contrario, il servizio di e-procurement offerto dal marketplace, si basa su tutta una serie di rapporti “anonimi9” , dove i diversi fornitori si cimentano in una vera e propria lotta competitiva, pertanto il rapporto commerciale sarà prevalentemente di breve periodo. Con specifico riferimento al servizio di e-procurement offerto dal marketplace, è possibile tracciare la mappa dei vantaggi d’approvvigionamento conseguibili dalle aziende partecipanti e la riduzione dei relativi costi in %, operando una distinzione per i diversi settori merceologici principalmente interessati.

Vantaggi di approvvigionamento

grafo24

(Fonte At Kearney, su www.BiztoB.com)

Riduzione dei costi per settore merceologico

grafo25

(Fonte Goldman Sachs, su www.BiztoB.com)

Un ulteriore servizio che non può mancare nell’offerta dei marketplaces, è quello finanziario. Tale servizio, deve permettere alle partecipanti, la possibilità di usufruire della veicolazione online delle transazioni economiche, ivi compresa la gestione di quelle concluse tramite marketplaces.
Fondamentali, risultano essere le partnership che marketplaces concludono con gli Istituti di Credito, o società affini, consentendo così alle proprie aziende, di poter usufruire a condizioni particolari, dei servizi di:

  • gestione online di incassi, pagamenti, presentazione di effetti e fatture all’incasso, relativi alle operazioni commerciali concluse, con l’utilizzo di servizi di security ed autenticazione dei partner commerciali;
  • gestione degli anticipi commerciali;
  • gestione del rischio debitore tramite cessioni di credito (factoring);
  • assicurazione del credito e della transazione tramite ad esempio una riscossione immediata, al momento della consegna, del corrispettivo che il buyer deve pagare, custodendo il denaro per tutto il periodo di tempo stabilito nel diritto di recesso e, successivamente, se l’acquirente non abbia riscontrato difetti nella fornitura ovvero non abbia esercitato il proprio diritto di recesso, pagare la fornitura. Nel caso contrario, trattenere la somma, così da garantire la correttezza della transazione commerciale;
  • servizi di finanziamento veri e propri a condizioni particolari e riservati esclusivamente ai partecipanti, diversamente non ottenibili;
  • servizio di supporto per la gestione degli aspetti legali e fiscali, che di fatto garantiscono l’osservanza delle normative in vigore per le transazioni commerciali concluse online.

Il ruolo chiave delle banche nei servizi offerti dai marketplaces, risiede nel fatto che la banca stessa, ponendosi quale intermediario, o terza parte, si fa garante della fiducia che di fatto genera perplessità nelle imprese ad implementare soluzioni di BTB anche tramite l’attività dei marketplaces. Per tale motivo, le banche, rivestono un ruolo chiave nel garantire le identità dei partner commerciali così da assumersi anche il rischio della gestione delle transazioni.
Le PMI, trovano così nelle banche, un interlocutore di fiducia, potendo disporre di una loro consulenza, in ogni momento ed in un punto facilmente raggiungibile quale quello del marketplaces, a prescindere quindi dalle distanze geografiche, ottenendo ancora una volta, vantaggi e riduzioni di costo. Tramite il marketplace, tali aziende, possono anche ottenere un’offerta personalizzata di servizi bancari e finanziari che più si addicono alle loro specifiche esigenze, oltre naturalmente al suesposto servizio di tesoreria.
Un ultimo servizio ad alto valore aggiunto, che i marketplaces offrono alle proprie partecipanti, è quello definito come Internal Transaction Processing, ossia quel sistema tramite il quale, tutto il personale aziendale, a cominciare dal management, sino all’ultimo impiegato, riesce a meglio comprendere il valore di un progetto di e-business, adoperandosi in tal modo, per orientare l’azienda verso le opportunità offerte dal BTB tramite il marketplace.
E’ stato rilevato da diverse indagini, che uno dei principali ostacoli allo sviluppo delle partecipazioni aziendali all’interno dei marketplace, sia proprio quello della mancanza di conoscenza dell’intermediario.
Le PMI italiane10 , nella stragrande maggioranza, non conoscono a fondo cosa sia un mercato digitale delle forniture. Questo è, purtroppo, uno dei dati che emergono dalla lettura dell’Osservatorio Net Economy 2001, presentato dalla società di ricerca italiana Mate, durante il convegno tenutosi ad “Italia Expo”, manifestazione dedicata all’informatica e alle telecomunicazioni svoltasi nell’area espositiva della Fiera di Parma.
La società di ricerca Mate, sostiene la necessità di sviluppare una conoscenza approfondita circa i vantaggi che i marketplaces offrono alle proprie partecipanti e questo perché, il marketplace, è in definitiva una grande opportunità aziendale per ottimizzare i processi e per scoprire nuovi mercati.
Secondo i risultati della ricerca, pochissime imprese italiane, hanno avuto modo di conoscere appieno i vantaggi derivanti da una partecipazione ad un marketplace. Ancora meno, mostrano interesse a partecipare nello stesso con un ruolo di seller, al contrario invece di quanto accada per il ruolo di buyer. Un’azienda su cinque, desidera portare parte del proprio business sulla rete, motivata soprattutto dal miglioramento dell’efficienza dei processi e dalla dichiarata riduzione dei costi, mentre in misura inferiore per una possibilità di incrementare e razionalizzare le relazioni con le proprie imprese partner e/o clienti.
Il discorso poi, varia naturalmente da azienda a azienda ed infatti, secondo una ricerca condotta da B2Biscom e Ipsos Explorer11 , le imprese tecnologicamente più avanzate (il 26% del campione intervistato su un totale di più di 1.000 imprese italiane), sono oggi consapevoli dei vantaggi che l’utilizzo del marketplace può offrire loro.
In particolar modo, la loro attenzione è focalizzata sulla maggior efficienza ed efficacia ottenibile nel processo d’acquisto, sulla flessibilità ed il risparmio nei costi per la gestione interna di tali processi, sulla velocità delle forniture e procedure d’acquisto, ma non invece sui vantaggi ulteriori che il marketplace potrebbe offrire loro, tramite i servizi di collaborazione.
Il 47% delle imprese intervistate, caratterizzate da un livello tecnologico medio, si dichiarano interessate alle innovazioni tecnologiche e sono consapevoli dei vantaggi derivanti da una partecipazione ai marketplaces. Tuttavia le stesse sono ancora troppo legate sia alle procedure consolidatesi offline con i propri partner di fiducia, sia all’esigenza di avere ancora un rapporto di tipo face to face con i propri fornitori, rinviando quindi il cambiamento del proprio modus operandi.
Infine, il 27% delle PMI intervistate, caratterizzate da un’attività tradizionalista, con un basso livello di informatizzazione e di interesse per la tecnologia, dimostrano ancora forti perplessità nel partecipare al marketplace ed in generale, alle attività condotte in rete.

Atteggiamento aziendale verso il commercio elettronico ed il marketplace
Il ruolo chiave delle banche nei servizi offerti dai marketplaces, risiede nel fatto che la banca stessa, ponendosi quale intermediario, o terza parte, si fa garante della fiducia che di fatto genera perplessità nelle imprese ad implementare soluzioni di BTB anche tramite l’attività dei marketplaces. Per tale motivo, le banche, rivestono un ruolo chiave nel garantire le identità dei partner commerciali così da assumersi anche il rischio della gestione delle transazioni.
Le PMI, trovano così nelle banche, un interlocutore di fiducia, potendo disporre di una loro consulenza, in ogni momento ed in un punto facilmente raggiungibile quale quello del marketplaces, a prescindere quindi dalle distanze geografiche, ottenendo ancora una volta, vantaggi e riduzioni di costo. Tramite il marketplace, tali aziende, possono anche ottenere un’offerta personalizzata di servizi bancari e finanziari che più si addicono alle loro specifiche esigenze, oltre naturalmente al suesposto servizio di tesoreria.
Un ultimo servizio ad alto valore aggiunto, che i marketplaces offrono alle proprie partecipanti, è quello definito come Internal Transaction Processing, ossia quel sistema tramite il quale, tutto il personale aziendale, a cominciare dal management, sino all’ultimo impiegato, riesce a meglio comprendere il valore di un progetto di e-business, adoperandosi in tal modo, per orientare l’azienda verso le opportunità offerte dal BTB tramite il marketplace.
E’ stato rilevato da diverse indagini, che uno dei principali ostacoli allo sviluppo delle partecipazioni aziendali all’interno dei marketplace, sia proprio quello della mancanza di conoscenza dell’intermediario.
Le PMI italiane10 , nella stragrande maggioranza, non conoscono a fondo cosa sia un mercato digitale delle forniture. Questo è, purtroppo, uno dei dati che emergono dalla lettura dell’Osservatorio Net Economy 2001, presentato dalla società di ricerca italiana Mate, durante il convegno tenutosi ad “Italia Expo”, manifestazione dedicata all’informatica e alle telecomunicazioni svoltasi nell’area espositiva della Fiera di Parma.
La società di ricerca Mate, sostiene la necessità di sviluppare una conoscenza approfondita circa i vantaggi che i marketplaces offrono alle proprie partecipanti e questo perché, il marketplace, è in definitiva una grande opportunità aziendale per ottimizzare i processi e per scoprire nuovi mercati.
Secondo i risultati della ricerca, pochissime imprese italiane, hanno avuto modo di conoscere appieno i vantaggi derivanti da una partecipazione ad un marketplace. Ancora meno, mostrano interesse a partecipare nello stesso con un ruolo di seller, al contrario invece di quanto accada per il ruolo di buyer. Un’azienda su cinque, desidera portare parte del proprio business sulla rete, motivata soprattutto dal miglioramento dell’efficienza dei processi e dalla dichiarata riduzione dei costi, mentre in misura inferiore per una possibilità di incrementare e razionalizzare le relazioni con le proprie imprese partner e/o clienti.
Il discorso poi, varia naturalmente da azienda a azienda ed infatti, secondo una ricerca condotta da B2Biscom e Ipsos Explorer11 , le imprese tecnologicamente più avanzate (il 26% del campione intervistato su un totale di più di 1.000 imprese italiane), sono oggi consapevoli dei vantaggi che l’utilizzo del marketplace può offrire loro.
In particolar modo, la loro attenzione è focalizzata sulla maggior efficienza ed efficacia ottenibile nel processo d’acquisto, sulla flessibilità ed il risparmio nei costi per la gestione interna di tali processi, sulla velocità delle forniture e procedure d’acquisto, ma non invece sui vantaggi ulteriori che il marketplace potrebbe offrire loro, tramite i servizi di collaborazione.
Il 47% delle imprese intervistate, caratterizzate da un livello tecnologico medio, si dichiarano interessate alle innovazioni tecnologiche e sono consapevoli dei vantaggi derivanti da una partecipazione ai marketplaces. Tuttavia le stesse sono ancora troppo legate sia alle procedure consolidatesi offline con i propri partner di fiducia, sia all’esigenza di avere ancora un rapporto di tipo face to face con i propri fornitori, rinviando quindi il cambiamento del proprio modus operandi.
Infine, il 27% delle PMI intervistate, caratterizzate da un’attività tradizionalista, con un basso livello di informatizzazione e di interesse per la tecnologia, dimostrano ancora forti perplessità nel partecipare al marketplace ed in generale, alle attività condotte in rete.

Atteggiamento aziendale verso il commercio elettronico ed il marketplace

grafo26
Le stesse motivazioni, sono poi confermate da una ricerca condotta dalla società americana Jupiter12 secondo cui, anche a livello europeo, la scarsa conoscenza e la mancanza di fiducia verso i marketplaces, sono le principali cause che determinano il rallentamento del loro sviluppo. Secondo la società, il 55% degli 83 manager intervistati, ha confessato che è l’ignoranza riguardo ai mercati virtuali il principale deterrente ad una loro partecipazione al marketplace, mentre il 45% dichiara tra le cause, quella della poca sicurezza associata alle transazioni.
Per quanto concerne le barriere che di fatto limitano o impediscono tale partecipazione, sempre secondo l’analisi condotta da Jupiter, il 60% degli intervistati, sostiene che i propri fornitori non effettuano ancora transazioni tramite marketplaces preferendo continuare a collaborare tramite modalità di tipo.
I legami personali, la fiducia reciproca e la selezione effettuata personalmente dalle aziende, sono caratteristiche giudicate difficili da riprodurre all’interno dei marketplaces.
Il marketplace quindi, dovrà effettuare sforzi non indifferenti onde far comprendere l’effettiva portata dei vantaggi ottenibili dalle proprie partecipanti, sia con comunicazioni online, aggiornando costantemente gli effettivi risultati ottenuti dalle società che si avvalgono dei suoi servizi, sia con modalità offline, portando tali risultati a conoscenza di un pubblico qualificato e selezionato, ad esempio con una partecipazione continua a convegni e seminari con un proprio case history.
Sicuramente, occorrerà ancora del tempo affinché l’impresa, soprattutto se di piccole dimensioni, possa assimilare queste nuove strategie, ma anzi, occorrerà anche una certa attenzione, lungimiranza, pazienza e prudenza a non accelerare i tempi.
Certamente, le imprese non devono rimanere immobili ed indifferenti a tali cambiamenti, limitando lo spazio alla diretta concorrenza che abbia avuto il coraggio e la capacità di sfruttare il marketplace per il proprio business pronte a conquistare nuove fette di mercato a danno di tutte quelle meno decise perplesse rispetto al cambiamento.

3.2.4. Tipologie di marketplaces e loro funzionamento

I marketplaces aziendali, come per i portali, possono essere classificati in due grandi categorie: quelli orizzontali e quelli verticali. Il primo modello, basato sui prodotti, si indirizza su più settori merceologici e quindi comune a più industrie. Lo stesso, opera trasversalmente lungo la catena del valore delle imprese, fornendo in particolar modo, prodotti e servizi non strategici per il core business aziendale, nel senso che fornisce prodotti che non partecipano direttamente al processo produttivo.
Tali prodotti, possono essere inquadrati ad esempio nelle forniture dell’ufficio, materiali di consumo utili all’organizzazione del processo produttivo o ancora le parti di ricambio. Un marketplace orizzontale, si occupa principalmente di selezionare i prodotti e di negoziare il prezzo degli stessi con i fornitori, per la realizzazione di un catalogo prodotti omogeneo per tutti i partecipanti.
Le imprese, una volta consultato il catalogo e scelto il prodotto di cui necessitano, effettuano la richiesta d’acquisto, la quale si trasformerà in ordine vero e proprio solo dopo l’approvazione del marketplaces. Quest’ultimo, provvede alla trasmissione dell’ordine al fornitore ed eventualmente a garantirne la fatturazione ed il pagamento/incasso della fornitura. Tali siti, permettono quindi alle imprese, di maturare esperienza, senza grossi rischi, con le nuove modalità automatizzate di approvvigionamento.
Il secondo modello, è invece basato sull’industria ed è specializzato nel fornire un determinato settore economico. Il compito del marketplace verticale, è quello di coadiuvare i buyers nell’incontro dell’offerta e quindi, le fonti di approvvigionamento di beni e servizi specifici.
All’interno di questa categoria, nascono i cosiddetti major e-marketplaces, ossia strutture che riescono a soddisfare per intero, tutte le possibili esigenze di un’industria, a partire dalle funzioni più semplici, come il supporto per la transazione, i servizi commerciali o ancora per l’acquisto dei beni e servizi (siano essi strategici o meno), sino ad arrivare a quelli più complessi di collaborazione interaziendale. Tali modelli di business, possono essere creati da altre tipologie di marketplace, ossia i private marketplaces da una parte ed i public marketplaces dall’altra.
I primi vengono costituiti e guidati da una singola impresa, seller o buyer, dove la partecipazione al private-marketplace è diretta in primo luogo ai suoi clienti o fornitori abituali e solo eventualmente ad altre imprese. Jupiter¹ , analizza poi, il target di riferimento di tali marketplaces, indicando le PMI quali principali destinatarie dei possibili vantaggi legati ad una partecipazione a tale modello (79%), seguito dalle imprese con più di 2000 dipendenti (49%) e quindi dalle imprese con più di 5000 dipendenti (31%).

Target di riferimento dei Marketplaces

grafo27

(fonte www.jup.com, 2001)

Secondo un’analisi condotta da Jupiter², le aziende presenti in un determinato settore e che già collaborano tra loro, sarebbero orientate ad affiliarsi ad un simile marketplace, in vista dell’ottimizzazione della gestione della propria supply chain (17%), per lo sviluppo di una collaborazione nella progettazione futura della produzione (15%), per ottenere una miglioria nella gestione degli approvvigionamenti (13%), per raggiungere un elevato grado di ottimizzazione nel processo logistico soprattutto se internazionale (13%), ed infine per una collaborazione fattiva con i clienti per la realizzazione della produzione (10%), il cosiddetto product design, con la creazione quindi di vantaggi competitivi per tutti i partecipanti.

Principali vantaggi offerti dai Private marketplaces

grafo28

Tali marketplaces privati, sono creati dai leader di settore per incrementare l’efficienza della propria catena del valore. Con tali soluzioni, i leader, possono riorganizzare il sistema delle relazioni consolidate con i propri partner, con l’obiettivo di automatizzare i processi d’acquisto, ridurre i tempi ed i costi della gestione delle scorte, estendere il controllo ed il monitoraggio sulle transazioni ed aumentare così l’efficienza complessiva della supply chain. Queste grandi imprese, sono state in grado di costruire nel tempo, propri meccanismi di selezione, valutazione e certificazione delle controparti con cui andare ad operare, pertanto tramite il proprio marketplace, possono generare una massa critica di partecipazione con relativa facilità e quindi generare consistenti processi di scambio, contraddistinti da livelli specifici di qualità e performance³ .
Tale capacità di generare vantaggi competitivi anche per le altre imprese partecipanti, dipenderà poi dal potere di aggregazione e controllo che il leader riuscirà ad assicurare in vista dell’integrazione completa della catena del valore da monte a valle.
I secondi, i Public e-marketplaces, vengono fondati e sponsorizzati da alcune imprese di settore, anche competitors tra loro, come consorzi industriali aperti ai quali possono quindi aderire tutte le imprese interessate ai servizi che vengono offerti da quel determinato marketplace, finalizzati quindi alla gestione dei processi di approvvigionamento e/o vendita in forma allargata.
La nascita del marketplace di questa tipologia, possibile soprattutto all’interno di settori fortemente concentrati e caratterizzati da evidenti posizioni di leadership aziendale, richiederà un diretto coinvolgimento delle grandi imprese, con il loro contributo finanziario ed organizzativo.
Le strategie perseguite in tali modelli per la creazione vantaggi competitivi, si basano soprattutto sullo sviluppo dei servizi di collaborazione tra le aziende partecipanti.
Alcuni dubbi di liceità però, serpeggiano su tali marketplace guidati dai consorzi aziendali, in quanto sia attori Istituzionali (Antitrust su tutti), sia gli stessi operatori coinvolti che ancora non ne fanno parte (i fornitori estranei all’organizzazione), hanno il timore che tali piazze virtuali, negli intenti dichiarati come aperti a tutti, non diano poi un’effettiva possibilità di essere sfruttati anche dalle imprese estranee all’organizzazione, quali piattaforme per gli scambi.
Un’ultima categoria di marketplaces che occorre considerare, è quella del marketplace di nicchia, il cosiddetto niche vertical e-marketplace, che va ad operare in mercati molto frammentati ma caratterizzati da un elevato volume di fatturato.
Tali marketplaces di nicchia, possono poi distinguersi4 in matchmaker e specialist.
I primi, sono marketplaces che offrono prevalentemente servizi di tipo commerciale, finanziario, di supporto alle transazioni tramite il reperimento di più clienti e fornitori di prodotti e di logistica.
La loro attività, offre possibilità di sviluppo in mercati particolarmente frammentati dove i prodotti risultano standardizzati e dove il marketplace riesce a creare valore tramite un’aggregazione della domanda.
La loro sopravvivenza, è legata all’alto grado di specializzazione che hanno raggiunto e che offrono poi nelle nicchie di mercato di riferimento e, per garantirsi nel tempo tale sopravvivenza, detti marketplaces, devono quindi evitare strategie di espansioni dimensionali, visto che non sarebbero in grado di sopportarle sia da un punto di vista organizzativo che finanziario.
La seconda categoria di marketplaces di nicchia, è costituita invece dai quei marketplaces che si specializzano in determinate funzioni aziendali e che offrono, con la loro attività, un supporto ad ogni tipologia di impresa. I principali servizi offerti, sono di tipo commerciale, finanziario e logistico, altamente legati alla tipologia di settore in cui operano le imprese partecipanti.
Il loro sviluppo si ha in quei settori caratterizzati dalla rapida evoluzione della tecnologia e dei processi; pertanto, tali organizzazioni, dovranno saper soddisfare rapidamente le mutevoli esigenze delle imprese che variano appunto con le nuove tecnologie.
Anche per questi marketplaces, si ritiene che per mantenere saldo il successo raggiunto, non debbano assolutamente espandere la loro offerta in prodotti o servizi per i quali non abbiano raggiunto un elevato grado di specializzazione.
In una recente ricerca, condotta dalla società Jupiter 5 , viene analizzata la situazione del BTB europeo e del suo futuro sviluppo tramite i marketplaces, distinti quest’ultimi, nelle loro diverse tipologie. Ebbene, stando ai risultati ottenuti, Jupiter, stima che il BTB europeo, passerà dagli attuali 205 miliardi di Euro ai quasi 3000 miliardi di Euro del 2005.
Sempre secondo Jupiter, il ruolo dell’industria italiana, non sarà da sottovalutare anche se l’Italia, risulta classificata al quarto posto nell’ambito europeo in termini di futuro fatturato, alle spalle della Germania, Regno Unito e Francia.

grafo29

(fonte Jupiter “European online BTB trade”, su www.Jup.com, 2001)

Previsione del valore del BTB suddiviso per Paese, valori in miliardi di Euro

grafo30

(fonte Jupiter “European online BTB trade”, su www.Jup.com, 2001)

Jupiter6 poi, analizza anche il possibile scenario che i marketplaces, distinti nelle loro diverse categorie, potranno ottenere nel prossimo futuro. In tale analisi, risulterebbe, quale modello vincente, quello dei marketplaces privati i quali, sempre secondo l’analisi, sarebbero in grado di garantire in misura maggiore rispetto ai concorrenti (marketplaces pubblici e storefronts, ossia i marketplaces costituiti con un modello di semplice catalogo), ulteriori servizi a valore aggiunto.
Tali servizi, si concretizzano nell’assicurare la liquidità del mercato, la possibilità di creare partnership con collaboratori professionali esperti per l’erogazione dei servizi complementari anche di tipo finanziario, ed infine per lo sviluppo dell’integrazione multicanale per un supporto al servizio della logistica.

Proiezione del valore europeo, in miliardi di Euro, dei diversi marketplaces

grafo31

grafo32

Tipologie di marketplaces

(fonte Jupiter “BTB is more than Net Market”, su www.jup.com, 2001)

grafo33

(fonte: Goldman Sachs “B2B: 2B or not 2B?”, su www.gs.com)

Nella maggior parte delle categorie di marketplaces analizzate, i possibili modelli di struttura del sito e, quindi di contrattazione8 , possono così classificarsi :

Modello a catalogo, o storefront, dove esiste un vero e proprio catalogo virtuale dei prodotti presenti nella banca dati del marketplace, organizzato in maniera tale da rendere semplice la consultazione del sito, la ricerca del prodotto di cui si necessita, e l’ordinazione degli stessi.

Modello exchange, dove più compratori e venditori partecipano in modo interattivo al sistema di domanda ed offerta, come in una trattativa in tempo reale simile agli scambi finanziari delle borse.

Modello ad asta, dove la possibilità di acquistare o vendere è subordinata al rispetto delle regole garantite dallo stesso marketplace, mentre le modalità di svolgimento delle aste vengono fissate dai sellers ovvero dai buyers, in relazione alla tipologia dell’asta.

Modello ad asta inversa, dove lo svolgimento dell’asta, permette una transazione in tempo reale, che quindi risulta di veloce conclusione, ed una forte dinamicità dei prezzi. Questo modello, è particolarmente adatto per le grandi imprese acquirenti, ovvero agli infomediari che aggregano la domanda di molte piccole aziende.

Il modello di contrattazione attualmente più utilizzato, è quello dell’asta dove, grazie all’interattività permessa dal marketplace, molteplici buyers e sellers competono online per l’acquisto o la vendita dei prodotti e servizi, così da ottimizzare la formazione dei prezzi finali di vendita (determinati dall’incontro immediato tra domanda ed offerta) ed i relativi confronti sugli stessi. Tale modello, ha ottenuto un gran successo nei marketplaces in quanto, viene qui ricreato, un ambiente regolato e controllato per tutti gli utenti, fattore indispensabile per un corretto svolgimento dell’asta stessa.
Essendo i partecipanti al marketplace geograficamente distanti tra loro, l’asta permette di raggiungere una massa critica di aziende, attratte dall’offerta, molto interessante, stimolandone la competizione per aggiudicarsi l’asta stessa e, essendo il funzionamento automatizzato, non occorre l’intervento dei sellers nelle diverse contrattazioni. Occorre ancora sottolineare come la partecipazione all’asta sia del tutto gratuita ed aperta e, quindi, fruibile da tutte le aziende. Lo sviluppo di tali modelli poi, sarà ottenibile dai quei marketplaces che costruiranno sistemi d’aste multilingue e multivaluta, così da permettere una partecipazione effettivamente globale.
Le tipologie di asta più interessanti, utilizzate soprattutto nei marketplaces specializzatisi nei settori delle materie prime, dove è più facile procedere ad un loro standardizzazione, possono così classificarsi :

Asta al rialzo
In questo tipo di asta, si parte da un prezzo base fissato dal seller e dove il buyer cerca di aggiudicarsi la stessa tramite il “rilancio” sul prezzo. Il venditore quindi deve solamente attendere la migliore offerta per un determinato periodo di tempo prefissato, al termine del quale la miglior offerta fatta in termini di prezzo (solo secondariamente ci si basa sulle quantità dei prodotti o servizi richiesti dagli altri offerenti), conclude la transazione. Nelle aste di questo tipo, molto spesso, diversi buyers, convengono tra loro affinché il prezzo dell’asta rimanga il più basso possibile, così da contenere le aspettative di profitto del seller. A tal proposito, molti marketplaces, aggirano l’ostacolo, dando possibilità al venditore di fissare egli stesso un prezzo di “riserva” superiore a quello di partenza, al disotto del quale non rimane vincolato con alcuno dei partecipanti che si siano aggiudicati l’asta.

Asta inversa o reverse auction
In questo modello, è il buyer che ha un ruolo attivo nell’asta. Infatti è proprio il cliente che lancia un’offerta al ribasso sui prodotti e servizi di cui necessita, fissando un determinato periodo di tempo entro il quale i sellers devono rispondere e, al termine dello stesso periodo, la migliore offerta fatta dal seller si aggiudicherà l’asta. Il compito del marketplace in questa tipologia d’aste, è molto importante in quanto deve egli stesso selezionare i sellers che possano soddisfare il buyer secondo le sue specifiche richieste.

Asta a numero chiuso
In questo modello, la particolarità risiede nel fatto che la partecipazione all’asta, è limitata ad un numero prefissato di partecipanti e dove il seller, decide sia il numero dei round entro cui si svolgerà la stessa, sia gli incrementi minimi che le offerte d’acquisto devono presentare.

Aste immediate o flash auction
In questo modello di acquisto o vendita, si ha un’interattività immediata tra i diversi sellers e buyers e si conclude non appena le parti abbiano raggiunto il loro accordo sul prezzo. Questa tipologia d’asta si distingue dagli altri modelli per la sua brevissima durata, svolgendosi al massimo in un’ora.

Aste sealed Bid
Generalmente, nelle aste al rialzo, le imprese partecipanti, hanno la possibilità di visualizzare e conoscere la history dell’asta stessa, ossia la sequenza delle offerte e dei successivi rilanci effettuati per l’acquisto del bene. Nelle aste sealed bid invece, o aste segrete, i partecipanti non sono a conoscenza dell’ammontare delle offerte effettuate dai propri concorrenti. In tale modello quindi, il vincitore dell’asta pagherà l’esatto ammontare calcolato in base al prezzo d’acquisto offerto, solo nel caso in cui la quantità del bene conteso sia unica ed andata esaurita nell’offerta. Nel caso in cui vi siano all’asta più unità del prodotto offerto e questa non vada esaurita nell’unica offerta, allora non tutti i vincitori dell’asta pagheranno lo stesso prezzo, ma ognuno pagherà quanto avrà offerto, realizzandosi così una discriminatory auction.

3.2.5 Principali fonti di ricavo dei marketplaces

A fronte dei servizi offerti alle proprie partecipanti, i marketplaces basano la propria sopravvivenza su diverse fonti di ricavo:

  1. Commissioni sulle transazioni
  2. Commissione fissa di associazione
  3. Commissioni sui servizi commerciali
  4. Commissioni collegate ai servizi complementari

Da una recente ricerca condotta dalla Boston Consulting Group¹ , risulterebbe che le entrate per i marketplaces, derivanti dalle commissioni sulle transazioni, continuano a diminuire nel tempo, contro quindi le prime stime fatte su tale tipologie di entrate, fino a poco tempo fa considerate come le principali fonti di guadagno. La Boston infatti, in un suo report, stima che il livello delle commissioni per transazioni, è sceso al 2-8% nel 1999 ed al 0.5-2% nel 2000, mettendo in guardia tutte quelle imprese che basano la loro sopravvivenza su queste entrate, sottolineando che qualche possibilità di guadagno permanga per quei marketplaces che operando in mercati molto frammentati e che riescono a generare un elevato volume di transazioni.
Questo è il caso, ad esempio, del marketplace New York Stock Exchange, il quale è riuscito a generare nel 1999 un fatturato per 736 miliardi di dollari, scaturiti da un volume di transazioni pari a 8.900 miliardi di dollari. In tale categoria di fonti di ricavo, rientrano tutte quelle entrate relative alle informazioni che i marketplaces offrono alle partecipanti, come informazioni sui prodotti, sui quantitativi degli stessi disponibili presso i fornitori, sulla possibilità per i buyers di effettuare l’acquisto online, dopo aver consultato il catalogo elettronico del marketplace, ed infine la possibilità di inviare l’ordine direttamente al fornitore sulla base di un modello standard (RFQ) predisposto dallo stesso marketplace, così da evitare ogni possibilità d’incomprensione tra le parti.
Un’altra categoria di fonti di entrata per i marketplaces, è quella determinata dalle quote fisse di partecipazione (fee), che possono poi variare in base ai servizi offerti e che l’impresa decide di sfruttare². Considerando però il panorama futuro dei comportamenti dei principali marketplaces, è possibile notare come la maggior parte di essi, onde coinvolgere un numero sempre crescente di nuove imprese, tende nel tempo, a non richiedere più sia le commissioni sulle transazioni, sia le quote associative e quindi tali fonti, a detta della Boston Consulting Group, non rappresentano nel futuro, fonti di ricavo sulle quali basare la propria sopravvivenza.
La terza categoria di entrate per i marketplaces, è quella relativa alle commissioni sui servizi commerciali, che possono distinguersi in finanziari e logistici. Nel primo caso, le entrate si riferiscono al servizio di automazione dell’ordine d’acquisto, alla conferma e fatturazione dello stesso ed infine alla possibilità per le imprese partecipanti, di poter integrare la procedura degli ordini online con il proprio sistema di contabilità.
Le entrate per il marketplace, aumentano poi, se lo stesso offre anche un servizio d’assicurazione, di garanzia e di deposito per le merci acquistate. Per quanto concerne il secondo caso, le entrate si riferiscono al servizio della gestione di tutto il processo logistico di consegna delle merci acquistate, a partire dalla gestione dei documenti di trasporto, alla possibilità di essere costantemente informati sullo stato delle consegne, sino alla consegna vera e propria delle merci, ottenendo anche dei risparmi di costo quando il marketplace provvede ad accorpare diverse consegne destinate ad imprese dislocate in zone geograficamente limitrofe.
Occorre però sottolineare che anche tali commissioni non possono garantire nel futuro, la sopravvivenza dei marketplaces in quanto molti di essi, onde assicurare servizi ottimali alle imprese partecipanti, tendono a delegare tali servizi in outsourcing, e quindi ad aziende specializzate che abbiano maturato competenze tecniche specifiche per la fornitura di tali servizi. Un esempio di servizio di e-fullfilment, il processo di commercio elettronico che va dall’acquisizione degli ordini delle imprese clienti, alla consegna dei beni ed alla loro fatturazione, processo che solitamente rappresenta l’anello più debole della vendita online ed una delle principali fonti di difficoltà per gli operatori dell’e-business, viene offerto dalla società www.accenture.com.
Occorre innanzitutto sottolineare come tale processo, venga attentamente studiato dai marketplaces, per evitare il sorgere di ritardi nelle consegne delle merci o delle problematiche sottese alla gestione dei resi (backorders o stockout)³ in quanto, si assisterebbe ad uno stop degli impianti produttivi del buyer e, di converso, un’attesa per le sue aziende clienti e quindi una perdita di valore e competitività che invece con il marketplace deve essere incrementata.
Attualmente, la maggior parte dei marketplaces operanti, ancora non si occupa direttamente di quest’aspetto, rimandando le parti ad una loro contrattazione offline. La risoluzione di questo problema, richiede una forte integrazione tra seller e marketplace, per cui, nel momento in cui il buyer effettua il suo ordine, deve necessariamente essere informato circa la disponibilità di scorte nel magazzino del seller, ovvero la sua capacità produttiva, così da rendere trasparenti le condizioni ed i tempi di consegna delle merci.
La società Accenture, ha creato a tal proposito, il servizio “Market Plug”4 , con l’obiettivo di divenire leader europeo nella fornitura di servizi integrati e soluzioni end-to-end.
Accenture S.p.A., offre una struttura operativa già attiva, un’infrastruttura informatica ed una architettura di comunicazione Internet, per gestire in maniera automatica l’interscambio di dati fra i sistemi di front-end e back-end dei vari partner commerciali. Tale iniziativa, consente in tempi rapidi, l’attivazione dei processi di e-fullfilment per il commercio elettronico BTB, con possibilità dei marketplaces che ne faranno uso, di offrire elevati livelli di servizio e a costi molto competitivi.
Il servizio logistico offerto alle imprese partecipanti, si concretizza nella gestione del tracciamento dei vari ordini, il coordinamento del magazzino, dei servizi di distribuzione fisica e nella gestione automatizzata dei flussi di eccezione (resi, mancata consegna, consegna ritardata, consegna parziale, recessi, sostituzioni, contenziosi, ecc.). Viene poi offerto alle partecipanti, la possibilità della gestione dei processi amministrativi con la fatturazione degli acquisti/vendite (emissione fatture, note di credito, corrispettivi e storni), la spedizione delle fatture e la gestione della posizione aziendale verso l’I.V.A.
Si tratta quindi, di guadagni relativamente limitati e secondo la Boston Consulting Group si aggireranno nel 2005, intorno al 8-10% dei fatturati dei marketplaces. L’ultima tipologia delle fonti di guadagno per i marketplaces, che rappresenterà la stragrande maggioranza delle entrate dei marketplaces di successo, è quella rappresentata dalle commissioni applicate sui servizi collaborativi e che rappresenterebbero nel 2005, sempre secondo la Boston Consulting Group, il 40-50% delle entrate totali di un marketplace che offre tali servizi.
Possiamo analizzare graficamente, l’andamento futuro delle entrate dei marketplaces, secondo una ricerca condotta dalla Boston Consulting Group 5 , distinguendo questi sulla base delle loro dimensioni e della focalizzazione delle loro attività principali. Queste le fonti di ricavo dei marketplaces di diverse dimensioni.

Marketplaces di grandi dimensioni (focalizzati sulla collaborazione)

grafo34
Marketplaces di medie dimensioni (focalizzati sulla collaborazione)
grafo35

Marketplaces di piccole dimensioni (focalizzati sulle transazioni)

grafo36

3.2.6. Le strategie delle imprese partecipanti

Un primo step d’analisi che le imprese devono effettuare prima di partecipare quale affiliata ad un marketplace, è quello relativo ai vantaggi ottenibili dalla partecipazione stessa, ovvero se gli stessi siano ottenibili con strategie differenti¹ . Secondo una ricerca condotta dalla Boston Consulting Group, esisterebbero due motivazioni fondamentali che spingono le aziende ad entrare in collaborazione con i marketplace e questo, in un’ottica di first movers: influenzare da subito lo sviluppo del marketplace e le sue regole di gioco a proprio vantaggio, così da ottenere posizioni irraggiungibili dalle imprese concorrenti le quali, qualora decidessero di partecipare, dovrebbero conformarsi agli standard operativi già fissati. I first movers, godono così di benefici di lungo termine riuscendo ad accaparrarsi anche una parte di valore generato dalle nuove imprese.
La seconda motivazione temporale, che spinge le aziende ad entrare nel marketplace, si riferisce alle possibilità di ottenere da subito i vantaggi derivanti dai risparmi negli acquisti, dallo scambio delle conoscenze e quindi tutti gli altri vantaggi derivanti dalla partecipazione stessa.
Con espresso riferimento alle strategie di partecipazione delle imprese ai marketplaces, occorre da subito operare una distinzione tra strategie riferite ai sellers rispetto a quelle dei buyers. Secondo l’analisi effettuata dalla Boston Consulting Group² , i principali modelli strategici perseguibili tanto dai buyers che dai sellers, possono così classificarsi:

  1. Embrance e quindi accettare le regole operative del marketplace, così come formulate dallo stesso.
  2. Alter ossia cercare di modificare le regole di funzionamento del marketplace, a proprio vantaggio.
  3. Adapt ossia apportare delle modifiche alla propria struttura ed ai processi aziendali onde adattarsi al modello organizzativo predisposto dal marketplace.

Per quanto concerne le strategie dei sellers, tali imprese, secondo i modelli suesposti, possono adottare il modello dell’Embrance qualora possano offrire prodotti “superiori” ma non abbiano la possibilità di rafforzare il proprio vantaggio competitivo, in virtù di un canale distributivo poco efficace ed un modello di vendita poco efficiente. L’azienda allora, tramite questa strategia, potrà raggiungere più clienti e sfruttare il servizio logistico offerto dal marketplace per ottenere vantaggi che da sola non avrebbe potuto raggiungere.
Le aziende che offrono invece dei prodotti superiori caratterizzati da un lento ciclo di vita, ma che possiedono un efficace servizio logistico, possono optare per la strategia dell’Alter per entrare in un marketplace e modificarne le logiche di funzionamento a proprio vantaggio. Con tale strategia, l’impresa può plasmare il marketplace, affinché nello stesso siano privilegiati i confronti delle offerte, sulla base della qualità e dei tempi delle consegne, piuttosto che sui prezzi di vendita.
Qualora l’impresa possa adattare, senza costi proibitivi, la propria struttura per una partecipazione al marketplace, la strategia che potrebbe perseguire, è quella dell’Adapt, al fine di sfruttare tale partecipazione per accrescere il valore creato con i propri fattori critici di successo, quali la differenziazione dei prodotti, tramite una collaborazione con i potenziali clienti, ossia sulla base delle loro specifiche richieste, riducendo così il time to volume (tempo che intercorre tra la progettazione del prodotto e la sua realizzazione in larga scala); la qualità della propria produzione e quindi se il fattore critico di successo non è rappresentato dal prezzo è possibile sfruttare il marketplace per comunicare ai clienti il perché del loro livello; di contro, se il livello dei prezzi rappresenta un fattore critico di successo, è possibile sfruttare il marketplace per aggredire il mercato e conquistare nuove fette; ancora se il fattore critico di successo è rappresentato dai tempi di consegna, allora sarà possibile sfruttare il marketplace non solo per accontentare i clienti interessati ai tempi delle consegne, ma addirittura offrire il proprio servizio anche per le altre imprese in un’ottica di comakership. Il marketplace offre con questa strategie, la possibilità di un cambiamento competitivo dinamico.
Per quanto concerne le strategie dei buyers, anche in questo caso è possibile proporre la strategia di Embrance per quelle imprese che, non volendo correre rischi eccessivi, si accontenterebbero delle opportunità di sfruttare il marketplace solo in un’ottica di risparmio di costo negli approvvigionamenti e gestione ottimale della supply chain.
Tale strategia può essere perseguita quando l’impresa è alla ricerca di prodotti non strategici, tipo i prodotti MRO³ o prodotti superiori ma standardizzati i quali, non presentando un elevato valore economico e/o strategico, possono essere ordinati indifferentemente dal fornitore che risulti più conveniente.
Tuttavia, le possibilità offerte da una partecipazione al marketplace, vanno aldilà dei suddetti vantaggi, anche se gestire il cambiamento competitivo in modo dinamico, comporta l’assunzione di rischi che non tutte le imprese sono disposte a correre. Ebbene, per quelle imprese decise più delle altre ad ottenere ulteriori vantaggi dai marketplace, le strade percorribili sono quella dell’Altrer e quella dell’Adapt.
Nel primo caso, l’impresa, modificando a proprio vantaggio la struttura del marketplace, può ripensare i criteri di selezione dei fornitori, sulla base dei propri fattori critici di successo, così da accrescere enormemente il proprio vantaggio competitivo.
Nel secondo caso invece, l’impresa si adatterà al funzionamento del marketplace, così da collaborare in real time con i fornitori nella progettazione del prodotto di cui si necessita, ottenendo così prodotti personalizzati e sconti sulle forniture in virtù della riduzione del tempo di sviluppo dello stesso, tanto oneroso per il fornitore; avere la possibilità di reperire nuovi partner con cui collaborare; gestire il proprio magazzino riducendo l’ammontare delle scorte di sicurezza.
Quest’ultima strategia, è particolarmente indicata per tutte quelle imprese che sono alla ricerca di prodotti strategici, per i quali risulti necessario sviluppare strategie di approvvigionamento.
La strategia dell’Adapt, è perseguibile solo se il costo che l’imprese deve sostenere, per poter partecipare fattivamente al marketplace, non risulti troppo oneroso, pertanto, il successo raggiungibile, dipende fortemente dalle reali possibilità e volontà dell’azienda nel perseguirlo.

4°: IL CASO UNITEC D GmbH

4.1. Presentazione dell’azienda UNITEC D GmbH

UNITEC D (High Tech Industrieprodukte Vertriebs GmbH), è un’impresa a responsabilità limitata, con sede ad Augsburg (Germania), nata alla fine degli anni ’80 su iniziativa dell’imprenditore italiano Vincenzo Marino, che aveva maturato importanti esperienze nell’ambito del settore dei grandi impianti di automazione per la costruzione di autovetture a livello mondiale.
Tale esperienza lavorativa, lo portò ad individuare tutta una serie di carenze operative e gestionali nella logistica e negli approvvigionamenti in quelle aziende che iniziavano a stringere nuove relazioni commerciali con imprese situate in mercati geograficamente distanti. La problematica più vistosa di tale carenze, concerneva infatti la frammentazione delle forniture e la quasi impossibilità di coordinare gli approvvigionamenti anche sotto un punto di vista temporale.
UNITEC, realizzò così nuovi servizi, ad alto valore aggiunto, che risultarono di estrema importanza per tali aziende. Nacque così il concetto di fornitura integrata, tramite il quale si permetteva alle aziende clienti di delegare le attività di approvvigionamento così da ottenere le forniture con modalità più efficaci ed efficienti rispetto ai metodi tradizionalmente utilizzati. UNITEC, si poneva quindi come una sorta di ufficio acquisti-estero per conto di tali imprese e dove l’attività di assistenza offerta, era giustificata dal fatto che la predetta, disponendo di tutta una serie di risorse e conoscenze, agevolava di fatto l’implementazione a basso costo di rapporti commerciali con nuovi fornitori.
Le imprese risultavano infatti carenti di conoscenze specifiche del nuovo mercato in cui si andava ad operare, oltre che di tipo linguistico e, quindi, si rendeva indispensabile disporre di tutta una serie di risorse gestionali utili ad implementare un’integrazione dei processi operativi, logistici ed amministrativi (si pensi in questo caso alle varie norme legali e doganali necessarie per lo sdoganamento dei prodotti acquistati).
Il parco clienti di UNITEC, in virtù dell’offerta di tali servizi e quindi, del valore che le imprese ottenevano grazie alle nuove modalità di outsourcing e di fornitura integrata, con ciò in grado di gestire ed organizzare tutte le fasi dell’approvvigionamento, cominciò da subito ad aumentare, registrando un incremento progressivo della sua forza lavoro, costituito da professionisti del settore, che si aggirava intorno al 40% annuo.
Un ulteriore riconoscimento dell’attività svolta dalla UNITEC, si ebbe con la partecipazione all’attività del DIN, “Deutsche Institut Für Normung”, voluta dall’organismo stesso, il quale opera a livello mondiale per la definizione delle norme di sicurezza generali in relazione alla costruzione e manutenzione degli impianti di produzione e del quale UNITEC è appunto membro attivo, esercitando al suo interno un potere decisionale, tramite la formulazione del proprio voto, oltre ad offrire consulenza tecnica.
Per quanto concerne la scelta della localizzazione geografica aziendale all’interno dell’area tedesca, è spiegata dal fatto che proprio in tale area, definita dallo stesso Marino come un crogiuolo primordiale, vi fosse all’inizio degli anni ’80, un’alta concentrazione di aziende, operanti principalmente nel settore automobilistico (Mercedes, BMW, Porsche, Audi, Volkswagen, Grob, KuKa, MAN, Siemens..), all’interno della quale si sviluppò una produzione di componenti e prodotti ad alto contenuto tecnologico, relativamente ai quali le imprese europee erano particolarmente interessate in termini di fornitura. Per tali imprese, nacque così l’esigenza di avere un punto di riferimento cui fare affidamento per lo sviluppo di rapporti commerciali con imprese estere, UNITEC, approntò quindi una fitta rete di servizi logistici ed amministrativi innovativi tali da consentire a dette imprese di delegare, tutto o in parte, le attività necessarie ad organizzare tutto il flusso logistico ed amministrativo dei rapporti di sub-fornitura.
Tali attività infatti, non essendo di tipo core, avrebbero generato dei costi di coordinamento interno superiori rispetto a quelli di mercato, delegando invece ad UNITEC le stesse attività, le imprese clienti parteciparono attivamente ad una fitta rete di scambi commerciali con Paesi esteri a costi contenuti.

Localizzazione geografica di UNITEC GmbH
europa

(Fonte UNITEC GmbH, 2001)

Attualmente, i mercati di riferimento di UNITEC, si espandono non solo in ambito europeo, grazie anche all’apertura del Mercato Unico che ha favorito sia la libera circolazione delle merci che una riduzione di rischi connessi ai tassi di cambio con l’introduzione dell’Euro, ma anche in ambito internazionale, ove persistono ancora difficoltà oggettive per le imprese appartenenti ai diversi Paesi, tenuto conto dei diversi linguaggi non ancora pienamente condivisi.

4.2. Applicazione delle nuove tecnologie nelle attività di UNITEC D

Come visto nei capitoli precedenti, UNITEC nasce rispondendo all’esigenza delle imprese di dover comunicare con i vari fornitori presenti su tutto il territorio internazionale, con il maggior grado di efficienza ed efficacia possibile.
Il concetto di rete e di networking interaziendale, sono da sempre alla base dell’attività della UNITEC, dove l’utilizzo dei sistemi di informatizzazione ed industrializzazione, le hanno permesso di ottenere già da tempo, i vantaggi connessi all’utilizzo dei nuovi strumenti informatici.
L’azienda ha quindi il merito di aver individuato e sfruttato con largo anticipo, la possibilità di ottenere consistenti riduzione dei costi legati alla gestione dei processi di approvvigionamento, tramite l’utilizzo della rete, dei concetti di outsourcing e di industrializzazione nella gestione, ricezione, elaborazione e trasmissione delle informazioni. La mancanza di tali concetti innovativi e, quindi, di prodotti e soluzioni software sul mercato, ha spinto l’azienda a sviluppare in proprio tali soluzioni, maturando così un’esperienza nel settore, risultata poi fondamentale per la sua nascita.
UNITEC, nel 1995 rilascia la prima versione di un software gestionale per il workflow di processo, successivamente migliorato fino a trovare applicazione in tutti gli ambiti dell’attività aziendale.
Con l’avvento della rete Internet, UNITEC individua immediatamente l’importanza ed il valore offerto da tale strumento e, quindi, il nuovo valore aggiunto per le aziende che lo avessero eventualmente sfruttato. In UNITEC, nasce quindi la volontà e l’esigenza di investire in tale ambito, creando così una divisione specializzata nel settore dell’informatica. Tale divisione esterna, conduce poi, nel 1997, alla costituzione della UNITEC Service & Web con sede a Sabaudia (LT), la cui gestione ed operatività risulta del tutto indipendente rispetto ad UNITEC GmbH.
La nuova divisione informatica, oltre a fornire servizi direttamente all’interno di UNITEC, inizia a studiare ed offrire servizi anche per le aziende clienti, producendo sia strumenti software per tutto il networking., sia attività di consulenza ed assistenza in modo del tutto innovativo.
UNITEC è quindi in grado di sfruttare al massimo le possibilità offerte dalle nuove tecnologie, dove tutti i processi aziendali sono definibili come paperless (per i quali ha ottenuto una certificazione di qualità come “La prima azienda ad operare senza carta” già nel 1998) Le soluzioni proposte da UNITEC, sono state infatti certificate dalle norme ISO 9001 in termini di qualità ed innovazione. Ciò ha consentito il riconoscimento alla stessa di un premium price da parte del mercato clientelare, costituendo inoltre un modello di riferimento per le altre società interessate all’implementazione di simili soluzioni.
UNITEC, dispone già da diverso tempo, di un sistema software ERP realizzato interamente sulle proprie esigenze, tramite il quale riesce ad ottenere una completa informatizzazione del workflow aziendale, così da gestire in tempo reale l’intero processo di approvvigionamento, realizzando cospicui risparmi sulla gestione delle informazioni (essendo prossima a livelli di “errore zero”), in ambito organizzativo ed amministrativo.
Con la sua attività, UNITEC permette quindi anche alle aziende clienti, di reingegnerizzare le procedure di approvvigionamento, così da generare immediatamente dei ritorni economici dovuti alla eliminazione dei costi connessi all’approvvigionamento delle forniture tramite procedure e tools di tipo convenzionale (trasformando i costi fissi in variabili e riducendoli).
La mission che UNITEC ha deciso di perseguire è quindi la trasformazione dei costi fissi aziendali in costi variabili e, contemporaneamente, una loro riduzione. Per garantire questo, l’azienda, oltre ad offrire i mezzi utili ad una reingegnerizzazione delle procedure aziendali di approvvigionamento, supporta il continuo miglioramento aziendale con applicazione del concetto di Quality Management, così da permettere alle aziende clienti di ottenere nuovo valore aggiunto connesso alla riduzione dei costi.
Le aziende clienti possono così dedicarsi esclusivamente e serenamente alle proprie attività strategiche di core business e, quindi, delegare tutti i processi gestionali che normalmente assorbono risorse economiche e professionali di fatto sottratte alle altre attività aziendali.
Tramite tali soluzioni, le aziende ottengono una immediata riduzione delle attività e dei processi necessari per gestire i diversi rapporti di approvvigionamento con i propri fornitori. Tali risparmi, si ottengono tanto negli approvvigionamenti relativi ai non production goods, (intesi questi come MRO necessari per gli impianti di produzione di diverse tipologie industriali, come ad esempio quella automobilistica, della stampa, degli elettrodomestici, della chimica, ecc.), quanto per i materiali a più elevato contenuto strategico.
Le aziende clienti, raggiungono inoltre tutta una serie di economie di costo tramite una aggregazione degli acquisti condivisi, in virtù dell’attività di brokeraggio industriale delegata e promossa dalla stessa UNITEC.
L’attività delegata alla UNITEC quindi, consente all’azienda cliente di mantenere comunque un rapporto relazionale stabile con i propri fornitori, affidando in outsourcing solo quel complesso di attività gestionali che generano uno spreco di risorse.
Una fra le più ricorrenti difficoltà che le imprese incontrano nei processi di approvvigionamento, è riscontrabile nella esigenza di organizzare ed integrare uniformemente le varie forniture attese. Per ogni processo di approvvigionamento esistono infatti, nel corso dell’anno, molteplici procedure amministrative, contabili e di controllo riferite ai diversi rapporti commerciali, in relazione alla organizzazione delle consegne, dei pagamenti, ecc.

grafo40

(Fonte UNITEC D GmbH, 2001)

UNITEC ha quindi permesso a tutte le aziende clienti, di ridurre del 50% i costi connessi alla gestione di tali processi di approvvigionamento, studiando appunto procedure di outsourcing personalizzate.
La personalizzazione dell’offerta del servizio, si basa sull’analisi svolta da UNITEC circa i costi che l’azienda sostiene per la gestione dei processi di approvvigionamento. Tramite il modello dell’Activity Based Costing, e del Business Process Outsourcing, vengono associati tutti i costi sostenuti per i processi di approvvigionamento al complesso delle attività generate all’interno dell’azienda stessa. UNITEC ricerca, in accordo con il management clientelare e sulla base di opportuni calcoli di convenienza economica, quali possano essere i processi gestionali da delegare in outsourcing (ambito del servizio consulenziale di UNITEC).
Ebbene, la fase di gestione del processo di approvvigionamento, rappresenta il “ciclo passivo” dell’intera catena di produzione e quindi, quanto più sono le strutture aziendali preposte a tali attività, tanto più risulteranno sprechi di risorse economiche e professionali che potrebbero invece essere destinate ad aree e funzioni aziendali più remunerative.
Tramite la delega, l’azienda cliente raggiunge un miglioramento delle proprie performance, terziarizzando le attività che non contribuiscono ad offrire un maggior valore alla produzione.
UNITEC, distingue il concetto di processo d’acquisto, quale attività ad alto contenuto strategico che richiede know-how, dal processo di gestione dell’approvvigionamento.
Tale ultimo processo infatti, si sostanzia in una attività priva di contenuti know-how e segreti industriali e pertanto, seguendo gli stessi step procedurali e quindi ripetitivi, rappresenta un processo gestionale di tipo meccanizzabile.
Con l’outsourcing quindi, il processo di gestione dell’approvvigionamento, non solo risulta meno costoso, ma addirittura più conveniente, potendo la UNITEC aggregare tutti i diversi step in unico processo di più elevata qualità elevata e con peculiari caratteristiche che restano costanti nel tempo.
La società, a tal fine, interpreta il processo di outsourcing operando una netta separazione fra attività procedurali ed amministrativeo. Per quanto concerne il concetto di outsourcing procedurale, UNITEC si pone come obiettivo primario, quello di rendere flessibile il costo di gestione della funzione di approvvigionamento. Le imprese, in condizioni normali, si vedono costrette ad impiegare ingenti risorse economiche e professionali per la conclusione di rapporti commerciali, per l’organizzazione del relativo trasporto e consegna della merce, per la gestione dell’immagazzinamento.
Delegando invece ad UNITEC, le aziende trasformano i costi fissi relativi a tali operazioni, in costi variabili, direttamente proporzionati alle effettive necessità del momento. Con l’outsourcing amministrativo invece, UNITEC offre alle aziende la possibilità di ottenere una drastica riduzione dei costi associati alle attività interne di amministrazione, consegna e controllo delle merci. L’azienda cliente infatti, una volta indicato ad UNITEC la tipologia della merce che desidera acquistare, i vari fornitori a cui rivolgersi ed i tempi relativi alla consegna, affiderà alla medesima il compito di coordinare i necessari rapporti, ottimizzando così il processo logistico e la gestione amministrativa.
Tale sistema di fornitura integrata, che si basa sull’utilizzo delle più moderne tecnologie, permette all’azienda cliente una pianificazione delle diverse attività di approvvigionamento, solitamente organizzate con una pluralità di sellers. La pluralità di richieste andranno quindi a confluire in unico ordine di fornitura indirizzato ad UNITEC, la quale è stata delegata del relativo processo e che pertanto organizzerà tutte le attività conseguenti con unicità di ordine, fatturazione e pagamento e a prescindere dalle condizioni di fornitura stabilite dai diversi fornitori, ottenendo quindi, un’unica consegna. Quest’ultimo punto è di fondamentale importanza per l’azienda che ricerca delle economie di costo negli approvvigionamenti.
In tal modo infatti, l’impresa ottiene una sensibile riduzione anche nei costi connessi al trasporto della merce in quanto, UNITEC, avendo in gestione una pluralità di forniture e relative anche a diverse aziende, riesce ad ottimizzare il coordinamento dei flussi logistici. In conclusione, l’impresa cliente, sostiene costi relativi al trasporto per forniture diverse, come se l’ordine fosse stato inoltrato ad un solo fornitore.

Concetto di “Fornitura integrata”

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(Fonte UNITEC D GmbH, 2001)

La riduzione dei costi relativi al trasporto delle merci, si basa sul concetto di “nodo logistico”. In pratica, vengono tracciate per ogni impresa, delle linee immaginarie trasversali che collegano la stessa con i suoi fornitori sparsi sul territorio. Su tali linee vengono quindi studiati dei punti logistici strategici, ove far confluire la totalità delle forniture richieste dall’azienda e dove quindi ogni fornitore depositerà le merci.
In tal modo, il costo relativo alla consegna delle varie forniture, subirà una riduzione in quanto il percorso della merce dal nodo logistico al magazzino aziendale, essendo condiviso tra più consegne, segue un percorso comune ed in forma aggregata. In tal modo, la somma parziale dei costi relativi ad ogni consegna, sarà sempre inferiore al costo del trasporto delle merci da fornitore a cliente, singolarmente considerato.

Nodi logistici condivisi

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(Fonte UNITEC GmbH, 2001)

Nelle forniture comuni ad una pluralità di imprese e che seguono anche il medesimo tragitto, si generano di fatto (quasi come un effetto collaterale), dei veri e propri consorzi virtuali di acquisto e di trasporto cosicché UNITEC, aggregandone i processi di gestione, offre la possibilità di ottenere ulteriori risparmi di costo ed economie di scala rispetto a quelle proprie del trasporto, associando quindi la riduzione, non ad un intervento sui margini di profitto dei fornitori, ma riconducibile alla effettiva eliminazione degli sprechi aziendali, trasformati in risorse.
Tramite poi un sistema informatico, il “NETSOURCING”, UNITEC offre alle proprie aziende, la possibilità di seguire in real time, lo stato di avanzamento della spedizione e del giorno della consegna, consentendo così l’organizzazione del flusso produttivo (quindi il rispetto dei termini di consegna delle forniture ai propri clienti).

Schema funzionale della fornitura integrata

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(fonte: UNITEC D GmbH, 2001)

Il concetto di fornitura integrata per UNITEC però, non è ancorato esclusivamente alla fornitura di beni non strategici, ma anche per beni a più alto contenuto di know-how, offrendo così alle aziende clienti, la possibilità di moltiplicare i vantaggi ottenibili da tale sistema di gestione anche per gli approvvigionamenti di tipo strategico, creando le condizioni per migliorare ulteriormente l’efficienza aziendale e liberando ulteriori risorse da investire in attività più prossime al vero business aziendale.
La fornitura integrata, studiata da UNITEC, convoglia e ricomprende al suo interno, le varie richieste di fornitura dell’azienda cliente, permettendo così a quest’ultima di ottenere le merci al momento desiderato e con unico documento cartaceo emesso da UNITEC.
L’azienda cliente ottiene benefici derivanti da un recupero di efficienza nelle proprie attività core, una semplificazione estrema dei processi di approvvigionamento, dove diversamente il costo globale d’acquisto è nella maggioranza dei casi particolarmente elevato in quanto l’utilizzo di risorse aziendali in attività secondarie, determina sproporzione tra valore del bene acquistato e costo delle procedure attivate.

Analisi dei costi della fornitura

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(Fonte UNITEC D GmbH, 2001)

Il principio di funzionamento della fornitura integrata, descritto nella figura successiva, prevede una riduzione di quella parte di costo sostenuto per l’acquisto del prodotto, relativamente al solo processo di approvvigionamento e dove, in virtù della delega in outsourcing del processo stesso, all’aumentare del livello di delega, corrisponde proporzionalmente il ritorno economico aziendale.

Logica della Fornitura integrata

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(Fonte UNITEC D GmbH, 2001)

L’azienda cliente, rivolgendosi ad un outsourcer che le propone una soluzione mirata e personalizzata per le procedure di approvvigionamento, convoglia quindi tutta una serie di attività in unica operazione riuscendo, inoltre, ad ottenere una regolarizzazione dei tempi di consegna.
Nel grafico, è evidenziata la parte di costo del prodotto non riconducibile al valore effettivo del bene acquistato (parte scura) che, grazie ad UNITEC, viene sensibilmente ridotta.
Fuori dagli schemi di tale sistema di fornitura, l’impresa, nel concludere rapporti commerciali con i propri fornitori, si vede costretta a sopportare costi amministrativi relativi ad ogni singolo rapporto, quando invece n costi amministrativi possono essere eliminati o, quantomeno ridotti, se delegati in outsourcing.

Schema degli approvvigionamenti di una impresa tradizionale

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(fonte UNITEC D GmbH, 2001)

Con l’implementazione del concetto di fornitura integrata, l’azienda, si rivolge invece ad un solo interlocutore, UNITEC, il quale elabora tutte le diverse richieste di fornitura smistandole ai vari fornitori, per le quali emette unico documento cartaceo di fatturazione. In tal modo, l’amministrazione aziendale, si libera del sovraccarico lavorativo connesso alla gestione del rapporto amministrativo e contabile con la pluralità dei fornitori. Successivamente all’implementazione della soluzione di forni
tura integrata realizzata dalla UNITEC quindi, l’amministrazione aziendale, riesce a snellire tutte le procedure di gestione dell’approvvigionamento, così da poter dedicare più risorse alle attività strategiche e, quindi, più strettamente connesse al proprio core.

Snellimento dell’attività amministrativa consentita da UNITEC

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(fonte UNITEC D GmbH, 2001)

4.3. La gestione delle scorte

Di particolare importanza aziendale, è il servizio di magazzino virtuale offerto da UNITEC relativamente alla gestione delle scorte.
Abbiamo visto come la società consenta, alle imprese clienti, di gestire in outsourcing tutto il processo di gestione dell’approvvigionamento, del pagamento delle relative forniture e di consegna delle stesse. UNITEC infatti, studia ed organizza il servizio logistico di consegna delle merci secondo termini e modalità preventivamente concordati con l’azienda cliente.
Il servizio, permette alle suddette di gestire al meglio il proprio processo produttivo e, quindi, soddisfare in maniera più efficace le richieste effettuate dai propri clienti. In tal modo, ogni impresa cliente, riesce a sua volta a fidelizzare la propria clientela, confidando inoltre in forniture organizzate, potrà altresì ridurre la quantità delle scorte di beni (strategici o meno) solitamente accumulati nel proprio magazzino.
La problematica principale, relativa alla gestione delle scorte, concerne infatti due punti essenziali:

  • quando ordinare
  • quanto ordinare

Pur ammettendo l’utilità, se non addirittura la necessità, dell’esistenza di una scorta minima di sicurezza (orientamento prevalente nelle economie di tipo occidentale, a differenza di quelle nipponiche che, successivamente alla filosofia del Just in Time, hanno sviluppato nuove soluzioni, come quella del “magazzino interoperazionale su camion”), l’azienda deve essere in grado di poter stabilire con una certo margine di approssimazione, l’esatto momento di arrivo delle materie per essere pronta ad erogare immediatamente il servizio al proprio cliente, tale da risultare più funzionale e tempestiva rispetto alla concorrenza. La risposta a “quanto ordinare”, è rilevabile dal cosiddetto “punto di riordino”, ossia quel valore quantitativo espresso dal ritmo d’uso aziendale delle materie, moltiplicato per il tempo di evasione dell’ordine da parte del fornitore.
Per quanto concerne invece la quantità da ordinare, l’azienda ha la possibilità di utilizzare appositi software che le permettono di individuare, in base al consumo delle materie stesse, l’esatto ammontare di scorte che dovrà ricostituire per raggiungere quel livello di scorte “minimo” preventivamente stabilito. Poiché l’esistenza delle scorte in magazzino rappresenta un costo aziendale, il management deve necessariamente realizzare un’oculata gestione delle stesse.
Presupposto della loro esistenza è lo sfasamento temporale che intercorre tra il flusso delle consegne e quello del loro utilizzo (sia fisico che informativo).
Pertanto le imprese riescono ad ottenere una loro riduzione, solo nel momento in cui arrivano ad una condivisione di informazione, consentita dalle nuove tecnologie, tra fornitore ed azienda stessa, ovvero tramite un provider di servizi a cui delegare il compito di assicurare tale scambio informativo.
Partendo dall’analisi ABC dei prodotti detenuti in magazzino, è infatti possibile ottenere una classificazione tipica dei beni da gestire in scorta per la produzione, in base quindi all’importanza che assumono in ambito aziendale.
Si Individuano allora i prodotti di fascia “A” quali materiali strategici che assorbono l’80% dei costi sostenuti nella funzione di approvvigionamento e detenuti nella misura del 20% rispetto al totale di magazzino, i beni di fascia “B” come beni “intermedi” che assorbono il 15 % dei costi di magazzino con un volume pari al 30%, ed i beni di fascia “C” che rappresentano il restante 5% dei costi di magazzino con un volume pari al 50%. I prodotto di fascia “A”, essendo appunto strategici, vengono solitamente gestiti dalle aziende con una cura maggiore rispetto a quelli di fascia “B” e “C” i quali pesano poco sulla formazione del costo e del fatturato (si applica il principio 80/20 di Pareto).
Questi ultimi, possono quindi essere facilmente gestiti tramite la delega in outsourcing in modo condiviso tra più aziende, così da ottenere economie rispetto al costo d’acquisto, di trasporto, di ordinazione e controllo.
Ebbene, le imprese clienti, raggiungono una ottimizzazione della gestione delle scorte tramite un continuo flusso logistico e informativo condiviso tra le stesse ed i fornitori. La condivisione delle risorse e delle informazioni, è sicuramente ottenibile per quanto concerne i prodotti di fascia “B” e “C”, non rappresentando questi materiali strategici, anche se nulla preclude simili progetti applicati anche a quelli di fascia “A”.
Il provider del servizio e quindi UNITEC, oltre ad integrare gli ordini di fornitura relativi a tali beni, riuscendo ad ottenere forniture più regolari ed a condizioni di prezzo più vantaggiose, offre alle partecipanti tanto la possibilità di ridurre progressivamente le proprie scorte aumentandone però la disponibilità (lemma del magazzino virtuale), quanto il raggiungimento di effetti positivi sugli indici di rotazione della merce stoccata.
UNITEC infatti, tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie, è in continua connessione con i propri fornitori (suoi partner) e le aziende clienti, così da ottimizzare i tempi e le procedure necessarie per la gestione dell’approvvigionamento basato sulle abitudini e necessità di consumo delle stesse aziende clienti, della loro localizzazione territoriale e, non ultimo, rispetto alla viabilità dell’area geografica di riferimento.
A tal proposito, UNITEC, ha realizzato un nuovo e-tool, il “NETSOURCING”, quale strumento internet-based che permette un effettivo collegamento tra il proprio ufficio acquisti, con quello dei clienti e fornitori. In tal modo, ogni impresa cliente, ha la possibilità di formulare una richiesta di fornitura in real time, sulla base dei cataloghi di prodotti presenti nel data-base di UNITEC, ovvero formulando richieste di prodotti che sono poi reperiti dalla stessa UNITEC, associando anche richieste relative a forniture diverse. Tale sistema, permette all’azienda una continua attività di tracking, così da ottenere, in ogni momento, informazioni relative allo stato di avanzamento della fornitura, i termini di consegna, di spedizione e di fatturazione.
Come noto, la consegna della merce, segue un iter procedurale che vede la sua realizzazione, coincidere con il momento in cui il fornitore ha la disponibilità dell’intero quantitativo di merce ordinata, ovvero dell’ultima tipologia di merce richiesta.
In pratica, fino a quando tutto il quantitativo di merce non è disponibile, la consegna della stessa non avviene, in quanto il fornitore evita di sopportare più volte il costo del trasporto. Tale ritardo, si ripercuote negativamente sulla produzione aziendale.
Ebbene, l’azienda, distinguendo le consegne urgenti da quelle che possono essere rinviate nel tempo, concorda con UNITEC le migliori soluzioni affinché le consegne siano ottimizzate ed organizzate in base alle effettive necessità del momento.
In tal modo, si annullano i rischi legati ai ritardi delle consegna e, nel contempo, si ottiene una concentrazione ed una riduzione dei tempi necessari alla gestione del magazzino, eliminando di conseguenza i tempi morti ed aumentato parallelamente l’efficienza delle strutture preposte.

La programmazione delle consegne

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(Fonte UNITEC D GmbH, 2001)

La continua ricerca della riduzione delle scorte all’interno di ogni realtà aziendale (fig. A), ha causato però , quale diretta conseguenza, un incremento numerico spropositato delle operazioni di approvvigionamento e, quindi, dei relativi costi ad esse associati (fig. B).

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(fonte UNITEC D GmbH, 2001)

Con la soluzione della fornitura integrata e del magazzino virtuale offerti da UNITEC invece, si studia un possibile punto di equilibrio tra livello minimo delle scorte (calcolato in base all’utilizzo delle stesse in relazione alla capacità produttiva aziendale ed al tempo di evasione degli ordini da parte dei fornitori) ed il numero e costo relativi agli approvvigionamenti (fig. C).

Relazione ottimale tra scorte e numero degli approvvigionamenti

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figura C
(fonte UNITEC D GmbH, 2001)

4.4. Il magazzino virtuale

La logistica e le nuove tecnologie di rete, costituiscono delle vere e proprie infrastrutture strategiche tramite le quali, soprattutto le PMI, possono ridisegnare la propria organizzazione produttiva.
Nei capitoli precedenti, abbiamo visto come le imprese possano stabilire una comunicazione a distanza con i propri partner, stringere nuovi rapporti commerciali e di collaborazione anche con imprese appartenenti a contesti geografici diversi e questo grazie appunto all’ICT.
Il flusso dei beni tra i diversi luoghi di produzione però, necessita di nuovi strumenti atti a ridurre le barriere operative che tradizionalmente hanno rappresentato un limite allo sviluppo delle attività economiche delle PMI su scala globale. La nuova concezione della logistica, grazie alle nuove tecnologie, ha permesso alle imprese di rendere più fluidi i processi produttivi “spazialmente differenziati¹” .
Infatti, tramite una delega in outsourcing di tutte quelle attività che non rientrano fra quelle comprese nella area di eccellenza, l’impresa può concentrare le risorse sulla produzione di beni e servizi, sulla loro qualità, sul design e quindi sulle competenze distintive con cui creare valore utile per le imprese clienti (in pratica l’impresa riesce a riorganizzare la propria struttura con una nuova organizzazione a rete della divisione del lavoro). Nel concetto di impresa estesa e, quindi, di extended supply chain, la logistica è da intendersi come quell’insieme di attività che guida tutta la movimentazione del flusso fisico ed informativo delle merci all’interno di una rete produttiva (come potrebbe essere nel caso di un distretto produttivo).
In tale prospettiva quindi, la logistica non deve più considerarsi come un’attività sussidiaria, bensì una nuova modalità operativa che consente di ridisegnare le relazioni di fornitura e distribuzione, oltre ché di coordinare le attività produttive e di servizio fra imprese localizzate in aree geografiche diverse.
Si comprende quindi la grande rilevanza che assume l’organizzazione logistica come strategia competitiva, per tutte quelle piccole e medie imprese e dei sistemi produttivi locali (distretti) che abbiano una forte propensione all’export. Prendendo a riferimento il caso da analizzare, possiamo notare come la logistica, associata all’utilizzo delle nuove tecnologie, diviene quindi una vera e propria infrastruttura strategica che le aziende dovrebbero saper sfruttare così da raggiungere economie di scala e di scopo nell’uso condiviso dei propri magazzini.
Occorre notare però come, per le imprese di minori dimensioni, l’evoluzione della logistica, rischia di tradursi in una minaccia piuttosto che in un’opportunità, tanto per la mancanza di mezzi, infrastrutture, risorse e tecnologie atte a garantire il perseguimento di tali strategie a bassi costi, quanto per le difficoltà proprie insite nella condivisione di risorse tra più aziende, in modo particolare, all’interno di quei distretti definibili come concorrenziali, ossia dove tra le imprese stesse risulta particolarmente difficoltoso, organizzare un “gioco di squadra² “.
Data per scontata l’importanza e la necessità delle scorte, le aziende che sfruttano le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, tendono continuamente a dirigersi verso l’obiettivo dello “zero-scorte” sia per ridurre progressivamente le quote di capitale immobilizzato e sia per rendere più efficace la risposta alla crescente variabilità dei cicli produttivi (sempre più brevi).
Persistono comunque delle barriere che rendono difficoltosa l’implementazione di soluzioni in tal senso per la mancanza di personale dotato di competenze specifiche in materia e di attrezzature adatte a supportare tali strategie.
L’outsourcing quindi, rappresenta un’opportunità che consente alle imprese di ottenere nel contempo, sia le economie associate alla riduzione dei costi di gestione del processo, sia i vantaggi propri dell’operare in real time, così da evadere gli ordini delle imprese clienti in tempi sempre più brevi. A tal fine, si affacciano in tale panorama, nuovi operatori che offrono soluzioni radicali per la e-logistic.
UNITEC, rappresenta quindi un Information based integrator il quale offre alle imprese clienti, la possibilità di usufruire anche di servizi che permettano approvvigionamenti comuni e magazzini condivisi. Il “Magazzino virtuale”, rappresenta una possibilità di ottimizzazione della gestione dei magazzini delle imprese. Tale soluzione, è stata studiata soprattutto per tutte quelle imprese che operano nei distretti industriali. L’idea di utilizzare un magazzino unico a servizio di più imprese, non è stata accolta favorevolmente, scontrandosi con problematiche di natura gestionale. Molte imprese infatti, tendono a voler conservare la propria autonomia gestionale (insostituibile fonte di versatilità), e quindi a non voler condividere con la concorrenza, informazioni strategiche sui propri mercati (siano essi di approvvigionamento che di distribuzione) o ancora informazioni ad alto valore aggiunto delle proprie produzioni.
Una prima iniziativa in tal direzione, si è avuta nel distretto dei marmi della Valpolicella, dove alcune delle imprese appartenenti al cluster, si sono attivate per un consorziamento logistico, tramite attività di coordinamento degli investimenti infrastrutturali per la realizzazione di una piattaforma logistica comune, con l’intento di razionalizzare la movimentazione e lo stoccaggio delle merci, in entrata ed uscita, per gruppi di imprese che, oltre ad essere localizzate in uno stesso ambito territoriale, condividono beni appartenenti allo stesso settore merceologico.
Altro esempio molto importante, è quello relativo al distretto di Montebelluna (il distretto dello scarpone da sci), dove le imprese cominciano a sviluppare ed intraprendere strategie di investimento in elementi comunicativi condivisi.
E’ stata creata, a tal fine, una piattaforma gestionale che consentirà, nel tempo, di implementare soluzioni di progettazioni condivise e di rapid prototyping per lo scarpone da sci.
Le nuove tecnologie però, oltre alla possibilità della condivisione delle informazioni, consentono anche, tramite la costruzione di piattaforme virtuali, la condivisione delle scorte aziendali in un magazzino virtuale, dove un operatore specializzato, neutrale rispetto a tutte le aziende distrettuali e quindi che possa assicurare una certa garanzia di trasparenza per tutte le partecipanti al progetto, UNITEC appunto, gestisca tutte le informazioni sullo stato dei singoli magazzini aziendali e delle attività di riordino relative agli acquisiti condivisi.
La condizione per il successo di tale iniziativa però, è subordinata sia all’adozione di uno standard logistico e comunicativo nel quale si concretizza tale piattaforma virtuale, che una vicinanza geografica delle imprese stesse per una migliore organizzazione delle consegne delle merci.
L’area della calzatura sportiva infatti, si presenta inserita in un territorio dalle dimensioni contenute, omogeneo e ben definito da un punto di vista funzionale.
Il distretto, si estende su 15 comuni, con una superficie totale di 320 Kmq. Le imprese appartenenti al distretto, sono circa 400, tra aziende industriali ed artigianali, caratterizzate da una straordinaria capacità di innovazione di prodotto e di processo. La logistica però, continua a rappresentare un nodo cruciale per il distretto. La rapidità della circolazione delle informazioni e delle merci, è quindi uno degli aspetti su cui tutte le imprese dovrebbero ragionare ed investire.
I vantaggi propri del magazzino virtuale possono essere spiegati con il lemma coniato dallo stesso Amministratore della UNITEC, Vincenzo Marino.
Le scorte di ogni impresa che partecipa al progetto, diminuiscono immediatamente ma, paradossalmente, ne aumenta la disponibilità. La trasformazione di un oggetto “fisico” in “virtuale”, è sicuramente un’attività impossibile, ma gli sviluppi delle comunicazioni e della rete informatica, sono in effetti strumenti che permettono questa “metamorfosi”.
Il Magazzino Virtuale è infatti una espressione dell’uso che si può fare di queste possibili trasformazioni. Sia lo stato fisico degli oggetti, che il loro lo stato virtuale, vengono considerati all’interno del M.V. per cui, possiamo definirlo, come un ibrido fisico-informatico.
La condivisione delle informazioni, resa possibile dalle tecnologie di rete, permette infatti di razionalizzare ed esternalizzare la gestione delle scorte, fisicamente presenti nei magazzini aziendali. Tramite il M.V. infatti, le scorte sono rappresentate dalla somma dei componenti, resi disponibili dalle imprese partecipanti al M.V. stesso e che operano in uno stesso territorio.
Il modello quindi, trova il suo particolare punto di riferimento nei distretti industriali, dove la possibilità di condividere materie prime, semilavorati e parti di ricambio, risulta massima.
I magazzini delle imprese che operano nei distretti infatti, presentano il più delle volte, delle ridondanze di scorte, oltre a tutta una serie di problematiche legate alla confusione operativa e logistica che si crea tra merci in entrata ed uscita.
Fenomeni questi che riguardano tutte le imprese indistintamente le quali si vedono costrette a sopportare i conseguenti costi di gestione, esistendo in tali realtà economiche dei “duplicati strutturali”. Un progetto di condivisione, consente quindi a dette imprese, di eliminare sprechi ed ottenere nuove risorse economiche.
All’interno di ogni magazzino industriale è normalmente presente una certa quantità di materiali di ricambio, utili a garantire la continuità produttiva soprattutto qualora si verifichino guasti o picchi di domanda. In caso di inutilizzo però, tali scorte, devono essere dimesse senza che siano mai state utilizzate, creando così forme di spreco economico (si pensi anche ai casi connessi alla sostituzione degli impianti e/o obsolescenza dei componenti).
Con il M.V., la UNITEC offre a tutte le imprese del distretto, una riduzione delle scorte da stoccare, senza però la rinuncia ad una pronta disponibilità delle stesse in caso di necessità e, questo, grazie ad un sistema software che permette di avere sempre sotto controllo ed in tempo reale, tutte le informazioni necessarie per la gestione coordinata e globale nell’utilizzo delle scorte stesse. In caso di utilizzo di scorte da parte di un’azienda, oltre i limiti della propria disponibilità, UNITEC, tramite il sistema informatico, procede immediatamente al prelievo della merce dal magazzino di un’azienda vicina, ed al riordino della merce stessa al fornitore. L’intero distretto, funziona quindi come un’unica fabbrica e dove il M.V. è costituito fisicamente dall’insieme dei magazzini di proprietà delle diverse aziende, la cui gestione però, viene affidata ad UNITEC.
Le economie ottenibili all’interno dei distretti industriali, avrebbero quindi un grande impatto su tutta la catena del valore nazionale.

Distretti industriali su cui implementare soluzioni di interconnessione logistica tramite un provider di servizi

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(Fonte UNITEC D GmbH, 2001)

L’impianto e l’esercizio di un Magazzino Virtuale è raffigurato dalla seguente illustrazione:

Magazzino Virtuale di distretto
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(Fonte UNITEC D GmbH, 2001)

Le aziende partecipanti, trasmettono al gestore del M.V., la UNITEC, tutte le informazioni dei contenuti del magazzino aziendale che desiderano condividere con le altre imprese operanti nel distretto, cosicché il gestore genera un M.V. che contiene la descrizione dei materiali, le quantità disponibili ed i tempi di approvvigionamento e riordino.
Le imprese possono conseguentemente ridimensionare le loro scorte in funzione appunto della disponibilità del M.V. e delle proprie necessità operative. I partecipanti possono così richiedere online la consegna dei materiali di cui necessitano e questo, 24 ore su 24.
La stessa UNITEC, provvede poi ad organizzare i prelievi e le consegne dei materiali nell’ambito di tutto il territorio distrettuale e, quindi, i relativi processi di riordino dai fornitori.
Nel M.V. quindi, la gestione delle scorte viene normalizzata e le obsolescenze riciclate, così da permettere un aumento della rotazione di magazzino e della disponibilità del capitale, prima vincolato con l’esistenza di una gestione di tipo tradizionale.
Poniamo il caso che partecipino al progetto di M.V. tre imprese appartenenti ad esempio al distretto industriale del marmo di Massa Carrara.
Le tre aziende, riducono ognuna le proprie scorte di marmo e graniti (le aziende possiedono tutte la stessa tipologia di scorte) nella misura del 33%, così da detenere ognuna il 66% del proprio magazzino e, parallelamente, renderlo disponibile anche per le altre.

Riduzione delle scorte e disponibilità condivisa

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(Fonte UNITEC D GmbH, 2001)

In pratica, vengono annullati i costi connessi all’esistenza di un magazzino (la somma dei costi del 33% di ogni magazzino aziendale, corrisponde infatti al costo totale di un intero magazzino) dove però la disponibilità di condivisione delle merci data da ogni azienda, determinano una disponibilità raddoppiata rispetto alla consistenza delle scorte ante partecipazione al progetto di M.V.
Il risparmio per le tre imprese, è quindi equivalente al costo di un intero magazzino paradossalmente associato all’incremento del 100% delle scorte utilizzabili da ognuna di esse.
Le aziende interconnesse in tale sistema, hanno quindi la garanzia di una disponibilità di materie, che va addirittura oltre quella posseduta precedentemente, pur non essendo le scorte presenti nel loro magazzino. Ovviamente, più imprese partecipano all’implementazione di tale soluzioni, minori risulteranno le quote di materie da immagazzinare, e parallelamente, maggiori saranno le quote di materie disponibili.
Nel caso specifico del distretto dello scarpone da sci di Montebelluna, dove le imprese, essendo in forte competizione tra loro, vanno ad operare singolarmente con una pluralità di fornitori, sostengono tutta una serie di costi, non solo logistici ma anche amministrativi ed organizzativi, che possono essere eliminati o, al limite, notevolmente ridotti.
Immaginiamo il distretto come un condominio formato da dieci appartamenti (imprese). Ogni condomino, conserva nella propria casa, un set di 10 lampadine di riserva e di tipo standard, nel caso si renda necessaria una sostituzione.
Lo stock totale sarà quindi di 100 lampadine. Supponendo un costo medio pari a 50 Euro a set di lampadine, il costo complessivo dello stock, sarà pari a 500 Euro. Viene deciso di ridurre lo stock individuale a 2 lampadine con possibilità per ognuno dei condomini di rivolgersi per l’eccedenza, al vicino.

Viene poi affidato l’incarico della gestione dello stock delle lampadine ad un custode (UNITEC nella realtà), il quale, grazie ad un elenco dei condomini e dei relativi set di lampadine resi disponibili, preleva la necessaria lampadina dal set del condomino più vicino, organizzandone il trasporto e la consegna, per poi curarne la reintegrazione. Il risparmio di ogni singolo condomino è in questo caso dell’80%, mentre la disponibilità di scorte è raddoppiata (il condomino dispone di 20 lampadine contro le 10 ante M.V.).
Le imprese del distretto, possono quindi passare da una gestione di tipo convenzionale, a cui si associa l’esistenza di notevole spreco di risorse, ad una che prevede la partecipazione e l’utilizzo di un magazzino virtuale, tramite interconnessioni e servizi logistici erogati dal provider.
Nel caso poi si verificassero delle variazioni particolari nelle richieste delle merci da parte di un’impresa, ed i magazzini delle altre non fossero in grado di soddisfare tale esigenza (caso limite), UNITEC effettuerà immediatamente nuovi approvvigionamenti. Il provider può operare con estrema sollecitudine, in quanto la richiesta di fornitura da parte dell’azienda, perviene in real time e lo stato della disponibilità dei magazzini, è tenuto sotto controllo 24 ore su 24.
Dal canto loro, le imprese, possono ridurre le proprie scorte, senza comprometterne la disponibilità e, quindi, il rischio di perdita di potenziali ordini.
I costi di gestione del magazzino, come è noto, crescono proporzionalmente all’aumentare della disponibilità delle scorte. Ebbene, con tale soluzione, i costi tenderanno a decrescere. Possiamo osservare graficamente, la curva dei costi di gestione del magazzino (Stockholding costs), la quale tende a traslare verso il basso, mentre la curva dei costi associati alla perdita di eventuali vendite (Potential low sales costs), tende ad appiattirsi.

Traslazione verso il basso della curva dei costi di gestione del magazzino

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(Fonte UNITEC GmbH, 2001)

Appiattimento della curva dei costi di eventuali vendite andate perdute

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(Fonte UNITEC GmbH, 2001)

Partecipare ad un Magazzino Virtuale inoltre, permette di:

  • eliminare gli overhead gestionali;
    adeguare i costi del magazzino all’andamento congiunturale aziendale;
  • avvalersi di sinergie negoziali ed organizzative;
    usufruire di sconti di scala moltiplicati in funzione dei grandi volumi d’acquisto generati;
  • garantire una migliore reperibilità delle forniture associato ad un innalzamento degli standard qualitativi;
    minimizzazione dei costi di struttura;
  • salvaguardia dell’ambiente tramite una riduzione del traffico generato da trasporti di lungo percorso.

Occorre sottolineare però, che lo sviluppo futuro di simili soluzioni, dipenderà fortemente dalla volontà dell’imprenditorialità distrettuale (e non) di arrivare ad una fattiva condivisione di risorse.
L’ostacolo fondamentale, è infatti rappresentato dal timore di perdere quell’autonomia gestionale ed operativa che da sempre ha contraddistinto la versatilità delle PMI, soprattutto quando la condivisione stessa concerne approvvigionamenti di prodotti strategici, tramite i quali si offre alla propria clientela, quel valore aggiunto che riesce a contraddistinguere l’azienda dalla diretta concorrenza.
In alcuni casi infatti, la dinamica concorrenziale interna al distretto, ha creato forme di conflittualità manifeste le quali, nonostante il loro effetto positivo a livello di sistema, hanno però creato una forte avversione verso le possibili forme di collaborazione e cooperazione tra i diversi attori distrettuali, palesando così tutte le difficoltà insite nei progetti basati sulla condivisione aggregata di beni, risorse ed informazioni.
Occorre quindi che il management, comprenda l’importanza di un percorso aziendale basato non solo sulla competizione, ma anche sulla collaborazione per l’ottenimento delle economie di scala e scopo in ottica di economia globale.

CONCLUSIONI

Lo sviluppo del BTB e delle nuove tecnologie

La continua diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione digitale (ICT), ha determinato, e determina tutt’ora, un progressivo e sostanziale mutamento nel sistema dei rapporti interaziendali di fornitura e sub-fornitura. Le sfide imposte dalla globalizzazione dei mercati, richiedono infatti alle aziende di ripensare le proprie strategie, riorganizzando la struttura al fine di ridurre il time-to-market ed operare così in tempo reale con clienti, fornitori e partner in un’ottica di struttura aziendale allargata.
La digitalizzazione dei rapporti commerciali, rappresenta una vera e propria rivoluzione che produce un forte impatto su quelli che sono gli orientamenti culturali dell’imprenditorialità aziendale e, questo, con particolare riferimento alle PMI.
Per quanto concerne l’impatto dell’e-business sui diversi settori dell’economia, il comparto del Business to Business (BTB), dove l’attività online interessa lo scambio di dati ed informazioni, materie prime, semilavorati, risorse umane, ecc. tra fornitori, partner produttivi e distributori commerciali, è quello con più elevati margini di crescita, a dimostrazione di quanti benefici le imprese hanno ottenuto e continuano ad ottenere con la virtualizzazione della propria supply chain.
Tramite l’utilizzo della rete infatti, le aziende creano e sfruttano nuove opportunità di business potendo da un lato condividere e scambiare, a basso costo, risorse ed informazioni su processi e prodotti aziendali, realizzando così una diminuzione dei costi di gestione ed una ottimizzazione dei tempi e cicli produttivi, dall’altro offrire prodotti progettati in perfetta aderenza alle specifiche esigenze delle proprie aziende clienti.
La personalizzazione di massa dell’offerta, offre così l’opportunità di raggiungere e conquistare anche quei segmenti di mercato geograficamente distanti che, senza l’ausilio delle nuove tecnologie, risulterebbero irraggiungibili se non a costi proibitivi.
Lo studio e realizzazione di strategie che consentono lo sfruttamento delle tecnologie Internet, trovano la loro giustificazione nei grandi benefici economico-temporali connessi alla possibilità di svolgere una molteplicità di operazioni, con modalità più efficaci ed efficienti rispetto ai metodi tradizionali, quali la raccolta, elaborazione, trasmissione ed archiviazione di informazioni, dati e progetti, elementi questi basilari per poter affrontare la crescente pressione competitiva.
Per quanto concerne la situazione italiana, secondo una stima della società di ricerca Jupiter, il “nostro” BTB risulta in forte crescita, con un passaggio dai quasi 24 miliardi di Euro del 2001, ai quasi 360 miliardi di Euro previsti per il 2005.

Crescita del BTB italiano

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(fonte: www.jup.com)

Molte delle nostre aziende però si mostrano ancora perplesse nell’implementare soluzioni di business in rete principalmente perché non si ha piena coscienza dei vantaggi offerti da simili strategie.
E’ presente inoltre seria preoccupazione circa modalità di implementazione e risorse da rendere disponibili per lo sviluppo ed attuazione di un simile progetto, inclusi i costi da sostenere per la formazione e riqualificazione professionale della propria forza lavoro.
Per quanto concerne poi la riorganizzazione della propria supply chain, molti imprenditori, palesano forti timori per la sicurezza delle proprie informazioni strategiche in quanto, per la fattibilità del concetto di extended enterprice (azienda estesa) si rende necessaria la condivisione di tali dati e risorse con i partner commerciali e, quindi, anche con imprese concorrenti.
La stragrande maggioranza dei nostri imprenditori non è infatti pronta a tale condivisione di risorse in quanto, non consentendo ai potenziali collaboratori di entrare in possesso dei dati contenuti nei propri data base, condizione necessaria per l’automatica predisposizione in real time dei piani di produzione e di fornitura, risulterà alquanto difficile implementare soluzioni di e-supply chain in tempi brevi.&
Oltre alle menzionate difficoltà di chiara impronta culturale, esistono poi anche ostacoli oggettivi, soprattutto di carattere economico. Molte delle possibilità offerte dall’e-business, sono comunque realizzabili in virtù di rilevanti forme di investimento per cui difficilmente un’azienda di medio-piccole dimensioni riuscirebbe nell’intento.
Con la nascita dell’intermediazione virtuale però, si sono create le premesse affinché anche le imprese di più piccole dimensioni, possano sfruttare appieno i vantaggi propri delle attività condotte online.
La pressione competitiva, ha quindi giocato un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle nuove tecnologie e, quindi, della nuova intermediazione.
La nascita dei nuovi intermediari, è infatti spiegabile con il fatto che, essendo necessaria una profonda revisione dei modelli di impresa a costi proibitivi, si sono offerti di gestire in outsourcing ed a costi limitati anche per le piccole aziende, tutto quel complesso di attività necessarie per l’ottenimento dei benefici propri della e-economy.
Delegando dette attività all’intermediario, le PMI sono in grado di sfruttare le nuove opportunità di business senza spreco di risorse e con una maggiore concentrazione sulle proprie attività di core.

Nascita della nuova intermediazione

Com’è noto, il sistema industriale italiano, ha come perno principale il sistema di piccole e medie imprese, le quali sono oggi chiamate ad affrontare le sfide imposte dalla globalizzazione dei mercati.
La rivoluzione apportata dall’utilizzo delle nuove tecnologie, ha fatto presagire la nascita di mercati elettronici “perfetti”, con l’illusione per l’impresa di contattare nuovi fornitori ed imprese clienti senza l’ausilio di alcuna forma di intermediazione.
In concreto, si auspicava per l’impresa la possibilità di raggiungere, rapidamente ed a basso costo, gli interlocutori presenti a monte ed a valle rispetto alla propria catena del valore.
Tale scenario non si è però riprodotto nelle forme prospettate ma, di contro, ha favorito la nascita e lo sviluppo delle prime forme di intermediari informatici i quali si propongono come collettori di informazioni, accumulando e divenendo fonti di nuova conoscenza di importanza strategica per ogni impresa interessata alla sfruttamento della rete.
Tali organizzazioni, hanno infatti consentito alle aziende di più piccole dimensioni, di colmare i propri fabbisogni informativi, intervenendo direttamente nella gestione delle loro attività non core, così da permettere loro di integrare, a basso costo, tutta la catena del valore in condivisione con gli altri attori facenti parte della catena stessa. Si è quindi assistito ad un abbandono dell’idea di un mercato elettronico puro, a favore invece un mercato elettronico contraddistinto dalla presenza di vere e proprie comunità virtuali di settore.
Le comunità virtuali, sono luoghi digitali ove le imprese, previa partecipazione ed iscrizione all’organizzazione stessa, hanno la possibilità di trovare spazi appositamente dedicati al settore economico in cui operano. La connessione diretta tra le imprese, permette infatti alle stesse di ricreare online un gruppo di lavoro che abbia esigenze ed interessi comuni e condivisi, dove tale interconnessione elettronica, prescinde da confini geografici.
All’interno della comunità infatti vengono predisposti luoghi del tutto sicuri, trasparenti e controllati, adibiti sia allo scambio di beni e servizi di settore, sia allo scambio ad alla condivisione di risorse “immateriali”, come idee, progetti ed esperienze professionali passate, così da permettere alle stesse di implementare soluzioni di collaborazione, co-progettazione e co-design, e quindi produzioni altamente personalizzate per raggiungere i massimi livelli di business satisfaction.
I servizi che le imprese ritrovano all’interno della comunità, sono riassumibili nel concetto delle 3 “C”, ossia:

  • Content
  • Community
  • Commerce

All’interno della comunità, oltre agli spazi dedicati alla comunicazione (community) ed all’informazione (content), ce ne sono altri adibiti allo scambio delle forniture (commerce), con possibilità di procedere di acquisto e vendita online organizzate direttamente dalla comunità stessa.
Proprio grazie ai servizi di Community, le imprese partecipano ad un network digitale ove si supera il concetto proprio della competizione a favore di nuove forme di collaborazione, come se le stesse facessero parte di un’unica azienda che, grazie alla condivisione di risorse, ottiene nuovi vantaggi competitivi.
Lo sviluppo delle PMI italiane, sul piano nazionale e soprattutto su quello internazionale, si è avuto con la costituzione di distretti produttivi e reti di imprese, dove sono state enfatizzate al massimo le relazioni economiche tra gruppi aziendali. Il distretto, è un ambiente sociale fortemente dinamico oltre che una forma organizzativa, ove la contiguità culturale ha permesso di sfruttare i vantaggi connessi con le economie di costo ed agglomerazione.
Lo scopo che le aziende partecipanti ad una comunità verticale si prefiggono, è proprio quello di arrivare a replicare online gli stessi punti di forza tipici dei distretti e, quindi, la possibilità di sfruttare la rete per una collaborazione più efficace ed efficiente all’interno della filiera produttiva.
Parte della tesi, è dedicata proprio alle possibilità che l’ICT offre anche per lo sviluppo dei distretti stessi e quindi l’opportunità per i medesimi, di sfruttare la rete Internet per una maggiore collaborazione all’interno di una stessa filiera produttiva. Il sistema produttivo dei distretti è contraddistinto, nella maggior parte dei casi, da un’elevata divisione del lavoro dove ogni impresa tende a specializzarsi su una specifica fase della filiera.
Le capacità distintive delle imprese distrettuali, si fondano principalmente sulla versatilità e reattività della loro organizzazione, tramite quindi la ricerca dell’ottimizzazione della propria supply chain. I distretti, tramite l’utilizzo dei sistemi ICT, possono ottenere rilevanti vantaggi, considerato che gran parte della divisione del lavoro, è fondata su basi di tipo cognitivo e quindi facilmente trasmissibili online. La grande mole delle attività di Ricerca e Sviluppo ad esempio, può essere condotta in maniera congiunta tra più imprese le quali, collaborando anche su tale fronte, ottengono economie non trascurabili.
Purtroppo la maggior parte delle nostre aziende distrettuali, utilizzano oggi gli strumenti di ICT in modo molto limitato.
La posta elettronica ad esempio, pur essendo presente in molte aziende, non viene efficacemente utilizzata per comunicazioni a monte ed a valle con i fornitori e clienti.
Tuttavia, recenti studi condotti dalle società Censis e Rur, evidenziano un incremento dell’uso di tali strumenti informatici, quali ERP e software per la gestione integrata delle procedure di acquisto.
Ciò che ostacola la fattiva collaborazione interaziendale online, non è tanto la mancanza di piattaforme digitali utili per lo scambio dei dati, delle informazioni e della conoscenza, ma piuttosto l’esistenza di problematiche di natura culturale.
Uno dei principali ostacoli che limitano fortemente l’utilizzo delle nuove tecnologie all’interno dei distretti, è rappresentato infatti dal timore della perdita della propria autonomia gestionale e delle eventuali posizioni di leadership raggiunte all’interno dell’area stessa e questo quindi perché per realizzare tali cooperazioni digitali, si rendono appunto necessarie le condivisioni di informazioni strategiche anche con i propri concorrenti.
Non per questo però si deve sostenere che soluzioni di e-supply chain siano del tutto improponibili all’interno di queste aree economiche particolari, ma occorre un’attività di sollecitazione delle aziende leader, o anche delle organizzazioni di categoria, per la presa di coscienza dei reali vantaggi derivanti dallo sviluppo congiunto delle attività produttive.
Si potrebbe cominciare ad esempio, dalle attività di logistica condotte in modo congiunto, ovvero dalle attività di approvvigionamento condiviso di beni non produttivi e, successivamente, insistere anche sulle attività più strategiche.

Relazioni interaziendali fondate sull’uso delle ICT

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(Fonte www.federcomin.it)

Dalla ricerca, emerge dunque la volontà delle imprese distrettuali e dei localismi produttivi di avvicinarsi gradualmente alle nuove applicazioni fondate sull’uso condiviso delle nuove tecnologie.
L’esperienza delle prime iniziative aziendali che hanno sfruttato le opportunità offerte dalle comunità virtuali (definibili anche come marketplace verticali) ha spinto anche altre aziende ad affrontare concretamente l’implementazione di tali nuove soluzioni di business.
Il fenomeno, pur non registrando di fatto quote elevate di partecipazione e condivisione, rappresenta comunque un aspetto innovativo emergente e non trascurabile, in vista soprattutto di future collaborazioni interaziendali, finalizzate in maniera esplicita alla riorganizzazione dei modelli produttivi e progettuali non solamente quindi, in un’ottica di promozione e comunicazione di marketing aziendale verso il mondo esterno.

L’evoluzione del marketplace

L’esigenza dell’infomediazione nel BTB, è legata essenzialmente alla opportunità per le imprese di giungere ad una fattiva integrazione dei propri processi aziendali con quelli dei vari partner, situati a valle ed a monte del processo produttivo, quale conseguenza quindi della riconfigurazione della catena del valore.
Abbiamo già detto come le imprese di più piccole dimensioni, che non dispongono di budget sufficienti all’implementazione di una simile strategia di e-supply chain, necessitano di servizi offerti da “terze parti”, quali i marketplace.
Solo grazie all’attività di tali intermediari infatti, le imprese possono sfruttare le opportunità e le potenzialità del BTB. Il compito principe di detti spazi di mercato virtuali, è quello di permettere alle aziende di accedere a potenziali clienti e fornitori geograficamente distanti, facilitandone l’incontro tramite una catalogazione mirata delle imprese operanti in specifici settori industriali.
Vengono così generate nuove opportunità commerciali di acquisto e vendita, con l’aggiunta di servizi mirati per lo svolgimento dei processi sottostanti gli scambi.
La quasi totalità delle società di ricerca, hanno effettuato studi approfonditi sullo sviluppo futuro del BTB condotto tramite marketplaces.
I risultati degli studi, anche se non coincidenti nei “numeri”, hanno come unico denominatore la crescita progressiva del fatturato prodotto dalle aziende, soprattutto di piccole dimensioni, con l’ausilio di queste terze parti di fiducia.
Per quanto concerne il mercato italiano, la società di ricerca IDC6 , prevede che il valore del BTB realizzato tramite marketplaces raggiungerà, a fronte dei “soli” 2 miliardi di Euro del 2001, quasi 20 miliardi di Euro nel 2003 e oltre 100 miliardi di Euro nel 2005.

Previsione del BTB italiano, valori in milioni di Euro.

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(fonte IDC 2001)

Il valore generato da un marketplace, per le aziende che si affiliano, è rappresentato in primo luogo dalla possibilità di ampliare il proprio raggio d’azione rispetto ai canali commerciali tradizionali, permettendo così anche alle aziende di piccole e medie dimensioni, di raggiungere fornitori e clienti prima non raggiungibili.
In secondo luogo, le aziende ottengono un incremento dell’efficienza sia nella catena degli approvvigionamenti che in quella della distribuzione, potendo realizzare economie di costo nelle transazioni.
I marketplaces, possono essere classificati in due grandi categorie: “orizzontali” e “verticali”.
Il marketplace orizzontale, basato principalmente sui prodotti, offre la sua attività a più settori merceologici e quindi comune a più industrie. Tale modello, opera trasversalmente lungo la catena del valore delle imprese fornendo in particolar modo prodotti e servizi non sempre strategici per il core business aziendale, come materiali di facile consumo utili all’organizzazione del processo produttivo, parti di ricambio delle attrezzature utilizzate, servizi di tipo finanziario agevolati, di logistica, di amministrazione, ecc.
Un marketplace orizzontale si occupa principalmente di selezionare prodotti e negoziarne il prezzo con i fornitori, realizzando cataloghi omogenei cui tutti i partecipanti possono far riferimento per i propri acquisti.
Il marketplace verticale, basato sull’industria, è invece specializzato nel servire in modo specifico un determinato settore economico. Il compito di tale modello è quello di coadiuvare i buyers e sellers nell’incontro di nuovi partner commerciali. Quello che sicuramente rappresenta un elemento innovativo di tali intermediari, rispetto alle forme di marketplace orizzontale, è la loro specializzazione settoriale, dove le imprese partecipanti ottengono, a basso costo, conoscenze strategiche in uno spazio di totale fiducia, così da sfruttare le competenze ed esperienze positive raggiunte dalle altre aziende partecipanti.
Il marketplace funge quindi da “aggregatore” di servizi anche di tipo tradizionale (come ricerche di mercato, fonti di credito, di certificazione, di gestione logistica aggregata, ecc.) che le imprese stesse ottengono però a costi di gran lunga inferiore rispetto alle procedure e modalità proprie dell’economia tradizionale.
Data l’intangibilità dei processi di progettazione e sviluppo dei prodotti, le aziende che ricorrono ai servizi di aggregazione offerti dal marketplace, sviluppano soluzioni di virtual product developement o di e-design tramite cui permettere, anche all’azienda cliente, di partecipare fattivamente al processo di sviluppo del prodotto stesso.
Tramite l’utilizzo digitale di strumenti tipo il QFD (Quality Function Deployment), è infatti possibile progettare ed ideare la produzione sulle specifiche esigenze del cliente, potendo estrarre e trattare tutte le informazioni all’uopo necessarie in real time, grazie quindi all’interattività che si instaura tra le parti.
Tali soluzioni Internet based permettono quindi il passaggio dal semplice e-commerce al più complesso e-business. Le aziende quindi, tramite il marketplace, non solo possono realizzare approvvigionamenti online ma sviluppare soluzioni particolari di collaborative commerce e product development così da ottenere un’integrazione completa, sia con l’azienda cliente nella fase di progettazione, produzione ed assistenza, sia con l’azienda fornitrice per l’approvvigionamento di materie prime utili alla realizzazione del bene stesso.
Inoltre, si ottengono direttamente dal marketplace, servizi di tipo logistico, di credito e finanziamento, certificazione di serietà e competenza delle parti con cui si instaura la collaborazione, servizi di amministrazione e di consulenza.
I marketplace evoluti, divengono quindi ambienti virtuali di lavoro, di ricerca e soprattutto di interazione tra operatori di settore che presentano esigenze simili e che trovano nei servizi di ICT offerti, una nuova fonte di vantaggi economici, tramite cui ridurre progressivamente il time to collaboration.

Il caso UNITEC D

Uno degli elementi che contraddistingue la sopravvivenza e lo sviluppo dei nuovi intermediari, è rappresentato dalla loro capacità di offrire vero valore aggiunto per le imprese partecipanti. Il vero valore infatti, non è rappresentato esclusivamente dalla possibilità di effettuare scambi in rete, ma anche e soprattutto da una serie di servizi che l’azienda potrebbe delegare in outsourcing, ovvero ritrovare all’interno del marketplace stesso.
Sulla base di tali considerazioni, il caso aziendale della tesi, è rappresentato dall’attività svolta dall’azienda italo-tedesca UNITEC D, la quale, grazie alle tecnologie di comunicazione digitale, ha permesso alle proprie aziende clienti di ottenere sensibili risparmi di costo tramite una condivisione aggregata degli acquisti tra più aziende ed una gestione elettronica dei processi di approvvigionamento.
In particolare, è stato esaminato il caso del “Magazzino Virtuale”, frutto delle possibilità di delegare in outsourcing la gestione delle scorte, associando alla diminuzione delle stesse, un incremento parallelo della relativa disponibilità.
Tramite particolari software, UNITEC riesce infatti ad organizzare il funzionamento dei magazzini delle proprie aziende e, tramite strumenti di e-logistic tra i diversi impianti produttivi e quindi di provvedere direttamente agli approvvigionamenti.
Il caso del magazzino virtuale, rappresenta a mio avviso, un primo passo che le aziende possono compiere per una condivisione delle proprie risorse. Tale progetto, nasce inizialmente per la condivisione ed approvvigionamento condiviso delle scorte aziendali di tipo non strategico, all’interno dei distretti industriali italiani.
Di fatto, nel momento in cui il management aziendale prenderà coscienza dei vantaggi ottenibili anche tramite una condivisione di risorse di tipo strategico, senza nulla perdere in termini di autonomia e posizioni di leadership, si raggiungerà il tanto sospirato passaggio dell’e-commerce verso l’e-business.

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